20 metri di litorale italiano vengono mangiati dal cemento ogni giorno

18 marzo 2020 - 15:31

Secondo il “Rapporto Ambiente Italia 2016” pubblicato da Legambiente, più del 50% delle coste italiane sono state trasformate negli ultimi decenni a causa dell’edificazione di case e palazzi, e la tendenza non pare arrestarsi.

I mali che affliggono il Mare Nostrum e gli oltre 7.000 chilometri di coste italiane non sembrano placarsi. Le trasformazioni del litorale per mano dell’uomo, che continua a edificare case e palazzi in riva al mare proseguono ad un ritmo di 8 km l’anno.

Dei 6.477 km di costa analizzati, ben 3.291 sono stati trasformati irreversibilmente dall’azione umana. Di questi, 719 sono occupati da industrie, porti e infrastrutture, mentre 918 da centri abitati. Sono invece più di 1.600 (circa il 25% dell’estensione litoranea totale) i chilometri di costa edificati con case, palazzi, ville e villette.

È questa la triste istantanea presentata nell’ultimo “Rapporto Ambiente Italia 2016” di Legambiente, presentato il 28 giugno a Roma.

Un ecomostro in cemento sulla costa campana. Foto di Gennaro Visciano.

Secondo il Rapporto, non è solo il mercato dell’edilizia a danneggiare lo stato del litorale italiano. Oltre alla cementificazione, altri tre fattori influiscono negativamente sulla salute delle coste: erosione costiera in costante aumento, scarsità di depurazione delle acque urbane e beach litter.

Abbiamo già parlato della crescente tendenza dell’erosione costiera in Italia: secondo il Rapporto 2016, circa un terzo delle spiagge è interessato da fenomeni erosivi. Le cause sono molteplici, e riguardano le trasformazioni causate dai porti, la mancanza di sedimenti provenienti dai fiumi, fermati da dighe e sbarramenti artificiali, e l’innalzamento costante del livello del mare.

Gli effetti dell’erosione costiera. Foto di Stephen Bowler.

Inoltre, più del 25% degli scarichi cittadini inquina le acque del mare per mancanza di depurazione. In alcune località la percentuale tocca il 40%, e sono circa 1.022 gli agglomerati urbani in procedura di infrazione europea, che provocheranno una spesa da 476 milioni di euro l’anno alle casse statali.

Infine il beach litter, il tappeto di rifiuti – soprattutto plastica e vetro – che ricopre in percentuali sempre maggiori le spiagge. Oltre a colonizzare i fondali, i rifiuti plastici si disperdono e risultano inquinanti nel 45% dei prelievi effettuati da Goletta Verde, l’imbarcazione di Legambiente che monitora lo stato di qualità del mare.

Il beach litter, un tappeto di rifiuti che si deposita sulle spiagge. Foto dell’U.S. Fish and Wildlife Service Headquarters.

Il quadro si complica ulteriormente se a questi tre fattori uniamo l’azione dei cambiamenti climatici, che sempre più spesso provoca disastri e stravolgimenti nella morfologia costiera.

Secondo il Rapporto, l’unica via di uscita percorribile è un cambio nelle politiche, che consenta ai territori di saper rispondere in maniera più preparata ai fenomeni atmosferici di grande intensità e che regoli in maniera più incisiva l’azione delle betoniere in riva al mare.

Impressionante immagine della piazza di Monterosso al Mare, durante l’alluvione che ha colpito le Cinque Terre nel 2011. Foto di Sirio Negri.

Infatti, nonostante sia in vigore la legge n.431 dell’8 agosto 1985, detta “Legge Galasso”, che tutela le aree naturali dall’edificazione entro i 300 metri dalle coste, dal 1988 sono stati oltre 220 i chilometri di litorale trasformati dal cemento. Tra le regioni più interessate, la Sicilia (65 km), il Lazio (41 km) e la Campania (29 km).

In apertura, Taormina. Foto di Fernando Garcia.

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