L’inverno 2016, il più caldo degli ultimi 200 anni. La siccità ci costerà 1 miliardo di €

18 marzo 2020 - 3:27
Nella foto di apertura: Alta Val Varaita senza neve, dicembre 2015. Foto: Marco Carlone

Un calo drastico delle precipitazioni nevose e temperature al di sopra della media, hanno provocato danni ingenti sia nel comparto turistico che in quello agricolo e agroalimentare.

Ci sono volute intere settimane, e in certi posti nemmeno è bastato. L’inverno 2016 ha già superato il giro di boa e solo nelle ultime settimane ha portato con sé qualche precipitazione nevosa sui rilievi.

A cosa è dovuta questa scarsità di precipitazioni?

Le perturbazioni atlantiche che normalmente interessano l’Europa e l’Italia durante la stagione invernale si sono mantenute per settimane in una posizione più a nord rispetto alla norma, a causa di un persistente anticiclone sull’area del Mediterraneo legato ad un’anomala espansione dell’alta pressione subtropicale.

La causa di tutto ciò? Presumibilmente, si tratta di effetti legati al cambiamento climatico e alle conseguenze di El Nino, il fenomeno che periodicamente porta ad un innalzamento della temperatura di superficie nell’Oceano Pacifico, con effetti diretti sulla circolazione atmosferica globale.

Infografica elaborata dall’Arpae della regione Emilia Romagna. Link: http://goo.gl/mwOxIf

Dopo un dicembre tra i più secchi degli ultimi 200 anni e con una media di precipitazioni ampiamente sotto le tendenze stagionali, la stagione invernale a cavallo tra 2015 e 2016 è stata considerata tra le più calde di sempre.
La situazione non è andata molto meglio a gennaio, con un calo di pioggia e neve che ha superato i 60 punti di percentuale rispetto alla media, e un livello di precipitazioni pari a quello del mese d’agosto.

A renderlo noto è la Coldiretti, che ha effettuato un monitoraggio della situazione climatica italiana sulla base dei dati di Ucea, l’Unità di ricerca per la climatologia e la meteorologia applicate all’agricoltura.

L’agroalimentare: il settore più colpito

La Coldiretti avverte che questo inverno così secco presenterà un conto molto salato da pagare: circa un miliardo di euro, che andranno soprattutto ad interessare l’industria agroalimentare. La siccità causa in particolar modo gravi danni agli ortaggi che normalmente crescono di inverno, così come alle colture di mais e soia necessarie per nutrire i capi di bestiame lungo tutto l’arco dell’anno. Non solo: le temperature miti disorientano la natura ed in particolar modo gli alberi da frutta, i quali rigonfiano le gemme in anticipo come se fosse già periodo di prefioritura, esponendole troppo ad eventuali ondate di gelo che ne comprometterebbero la crescita.

I danni più gravi si riscontreranno con l’arrivo della bella stagione soprattutto lungo il bacino idrografico del Po, lungo cui si produce circa il 35% dell’indotto italiano dato dal settore agricolo. La mancanza di scorte d’acqua e neve che normalmente si accumula sulle cime delle montagne nel periodo invernale si ripercuote di conseguenza nel periodo primaverile. Nei primi giorni di febbraio 2016 la capacità dei tre principali laghi del Nord Italia è scesa ai minimi storici (il lago di Garda manifestava addirittura un calo del 33% delle proprie acque), mentre in alcuni punti si sono registrati punti di secca minimi anche per il Po. Il fiume più lungo d’Italia ha riportato livelli idrometrici di due metri inferiori rispetto allo stesso periodo del 2015 e inferiori anche ai dati di un altro inverno di forte siccità, quello del 2007.

Un ponte di barche sul Po in secca. Foto: Daniel70mi

Il rischio più concreto per il breve periodo è la desertificazione delle aree fertili, fattore che andrebbe a mutare drasticamente l’equilibrio ambientale. Sono già 14 i miliardi spesi negli ultimi 10 anni per arginare i danni causati da alluvioni, siccità ed altri eventi atmosferici di portata straordinaria, a fronte di cui la Coldiretti auspica una maggiore attenzione sul versante del risparmio idrico e su interventi strutturali volti ad accelerare ed attuare il Piano di Sviluppo Rurale per il riavvio del Piano Irriguo Nazionale.

La mancanza di precipitazioni ha favorito inoltre forti concentrazioni di agenti inquinanti nell’atmosfera, abbassando notevolmente la qualità dell’aria non solo nelle principali città ma anche lungo tutta la Pianura padana.

Un campo di mais americano bruciato dalla siccità. Foto: U.S. department of agriculture

Non solo agricoltura, anche il turismo ne risente

Gli effetti negativi di questo inverno senza neve non si sono limitati però a danneggiare il comparto agroalimentare: come prevedibile anche tutto il settore del terziario, le imprese legate al turismo montano e della neve, le strutture ricettive e gli impianti sciistici hanno sofferto non poco la siccità.

Durante le vacanze natalizie sono crollate le prenotazioni negli alberghi, tanto da aver spinto due parlamentari piemontesi a presentare in data 21 gennaio un’interrogazione sulla difficile situazione del settore turistico e sportivo montano.

Alta Val Varaita senza neve, dicembre 2015. Foto: Marco Carlone

Le aree più colpite sono state quelle del Nord-Ovest, dove impiantisti e maestri di sci hanno dovuto prolungare la propria permanenza a casa ben oltre le previsioni, così come gravi sono state le perdite delle vallate la cui economia turistica è incentrata su percorsi per ciaspole, sci di fondo o sci alpinismo. La situazione in certi comprensori era paradossale: vere e proprie lingue di neve artificiale isolate dal resto e circondate da una natura gialla e rinsecchita.

La situazione meteorologica sembra essersi finalmente sbloccata – quantomeno dal punto di vista delle precipitazioni – mentre persistono le temperature decisamente miti, se confrontate con le medie stagionali.
Questa primavera anticipata può sembrare a prima vista gradevole ed invitante, ma nasconde nella sua anomalia una mitezza ingannevole. I conti da pagare saranno infatti molto salati…

Testo di Marco Carlone

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