La letteratura ha insegnato per secoli a viaggiare, o meglio, ha consentito a tante persone di esplorare luoghi lontani tra pagine ricolme di mirabolanti descrizioni: romanzi, storie, racconti, novelle, hanno così tracciato percorsi ideali attraverso cui intere generazioni di lettori hanno imparato a muoversi con disinvoltura. Facendo esclusivamente leva sulla forza della parola scritta, palazzi, strade, città, si sono così materializzate su di una mappa di luoghi suggerita idealmente dall’autore. Ci sono scrittori che, negli anni, si sono impossessati di determinate realtà geografiche per rimodellarle, plasmarle e restituirle cariche di specificità artistiche non più scindibili dal modello originario. È il caso, per esempio, della costa orientale della Sicilia: già conosciuta attraverso la letteratura classica di Eschilo e Pindaro, ma “rimessa in vita”, in tutta la sua brutale drammaticità, dalla penna di Verga, uno scrittore in grado di tracciare narrazioni-descrizioni degli scorci più suggestivi di questo pittoresco angolo dell’isola. Così, il lento decadimento della famiglia dei “Malavoglia”, assume delle precise connotazioni geografiche: “Un tempo erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza, ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo”. L’intero romanzo è dunque ambientato ad Aci Trezza, un piccolo paese di pescatori vicino Catania contraddistinto da luoghi tipici ancora riconoscibili: le strade coperte di polvere, il porticciolo, la piazza, l’osteria, la Casa del Nespolo; luoghi presi in prestito da Verga per sorreggere casa, lavoro e famiglia, i tre capisaldi che puntellano il suo poetico “ideale dell’ostrica”. Da Aci Trezza spostiamoci nella vicina Vizzini, in piazza Umberto, per affacciarci, dal balcone della casa di Verga, verso quei luoghi che hanno fatto da sfondo a buona parte della sua produzione letteraria; attraverso le pagine del “Mastro Don Gesualdo” ci avventuriamo così tra luoghi più adatti a celebrare le aspirazioni sociali del muratore “verghiano”: in via Santa Maria dei Greci, incontriamo il Palazzo Trao-Ventimiglia, ragguardevole esempio di architettura tardo-barocca, dal quale “al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso”; poco distante ecco la casa di Mastro Don Gesualdo in cui “si vedeva tuttora l’arco dipinto a donne nude e a colonnati, come una cappella”. Ma Vizzini è anche lo scenario su cui si dipanano le rocambolesche avventure di Lola, Alfio e Turiddu i personaggi principali di “Cavalleria Rusticana”. Il sipario si leva in via Volta, sulla finestrella da cui ogni sera Lola amava ascoltare “nascosta dietro il vaso di basilico, e si faceva pallida e rossa”, e da dove “un giorno chiamò Turiddu” per finire schiava di un peccaminoso e tragico tradimento. Avendo violato il codice non scritto dell’onore, caratteristico della tradizione arcaica siciliana, Turiddu è sfidato a duello da Alfio tra le tavole e le botti gonfie di vino dell’osteria della Gna’Nunzia, ben riconoscibile ancora oggi in piazza Santa Teresa; qui, secondo la fantasia verghiana, i due contendenti si sarebbero scambiati il terrificante bacio della sfida. Una sfida che si concretizza al riparo da occhi indiscreti tra le umili costruzioni di un antico borgo di conciatori poco distante da Vizzini: “prima di giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il fieno, quando era andato coscritto, e si mise in cammino pei fichidindia della Canziria”. Un luogo che fa la sua comparsa anche in “Jeli il pastore” grazie alla pendice brulla immaginata da Verga quale scenario ideale per accogliere le immense macchie biancastre delle mandrie di Mazzarò.