E’ da considerare un formaggio ormai scomparso, poiché al momento, ci sono pochissimi casari che lo fabbricano. Recentemente un “sodalizio” nazionale sta cercando di farlo “risorgere” rivalutandolo come vanto di antiche tradizioni. Il formaggio Montebore è detto anche Dernice e si produceva nella parte sud-orientale della provincia di Alessandria e trovava le migliori provenienze nella frazione Montebore del comune di Dernice (da cui derivano entrambi i nomi), a Cantalupo Ligure (in Valle Borbera), a Garbagna (in Valle Grue), a S. Sebastiano Curone (in Valle Curone) ed in alcune altre località della zona. Documenti storici testimoniano come già nel 1500 i formaggi di quella zona fossero rinomati alla corte di Milano. Il 28 settemore 1486, il Vicario del Potestà di Tortona, Bernardo Figino, cosi scriveva al segretario ducale Bartolomeo Calco: “sapendo che la Magnificienza Vostra è solita mangiare voluntero qualche fiata uno pocho de formagio et pensava che le robiolete de questo paese sieno mancho ree, gli ne mando ventiquarto per assagio, … (Archivio Stato Milano; Carteggio Interno, Carta 1185). Un’altra testimonianza della fama di questo formaggio risale al 1439 quando, durante il banchetto organizzato da Bergonzio Botta nel suo palazzo di Tortona, in occasione delle nozze tra Isabella D’Aragona e Francesco Sforza, “…Pastori d’Arcadia, … offrirono del formaggio proveniente dalle Valli Tortonesi”. L’esistenza di ulteriori e più recenti documenti storici testimoniano come il formaggio di Montebore fosse presente ancora in abbondanza nei primi anni del 1900. Nel 1971, Luigi Veronelli nella sua “Alla ricerca dei formaggi contadini” ne decanta la tenerezza e dolcezza gustativa del Montebore, ma mette in guardia per la difficoltà di reperire tale formaggio. Nel 1981, Giovanni Delforno (cultore e storico dei formaggi piemontesi) ne descrive ancora la produzione anche se oramai raro e “molto ricercato” in alcuni centri delle provincie di Alessandria, Genova e Pavia. Nella zona di produzione del Montebore sono presenti pascoli tipicamente montani caratterizzati dalla preponderante presenza del timo, una pianta ricca di essenze aromatiche. Tecnologicamente il Montebore si otteneva miscelando latte vaccino (75% circa) e latte ovino (25% circa); le percentuali erano variabili in quanto veniva utilizzato il latte eccedente le esigenze familiari. Il latte veniva riscaldato a 33°C ed a questa temperatura si aggiungeva il caglio liquido (6 ml/10 litri di latte). Dopo circa 1 ora si effettuava la rottura della cagliata mediante l’impiego di un cucchiaio di legno (preferibilmente di carpino nero), avendo cura di ridurre la massa in granuli della grandezza di una noce. Dopo una sosta di 20 minuti la cagliata veniva trasferita nei “ferslin” (formelle di forma cilindrica) e dopo pochi minuti si eseguiva il primo rivoltamento. Tale operazione veniva ripetuta 4-5 volte nell’arco di mezz’ora. Dopo una sosta di circa 10 ore in un luogo fresco ed asciutto, si estraeva il formaggio dalle forme, si salava superiormente e lateralmente e poi si lasciava riposare per circa 4-5 ore su contenitori di legno disposti in pendenza. Al lavaggio delle forme con acqua tiepida leggermente salata seguiva la preparazione dei cosiddetti “castellini”, ottenuti sovrapponendo, in numero variabile da tre a cinque, forme di dimensioni decrescenti in modo da creare una vera e propria “torta nuziale”. In funzione della durata della stagionatura si otteneva il Montebore fresco (24 ore), morbido (5-6 giorni) e stagionato (10-12 giorni). Durante la fase di maturazione si eseguivano alcuni lavaggi (1 per la tipologia fresca, 3 per quella morbida e 5 per quella stagionata).