La commozione di Polsi

18 marzo 2020 - 10:16

A più di 1000 metri dalla cima del Montalto che, con i suoi 1955 metri di quota, costituisce la massima elevazione e il centro stesso dell’Aspromonte sul fondo di unvero e proprio abisso orografico (il Vallone della Madonna), è posto il Santuario di Polsi, circondato da atavici boschi di pini, abeti, faggi, castagni e querce, sovrastato da rupi proterve e da canaloni precipiti, lambito dalle acque cristalline della Fiumara Buonamico, che serpeggia, con infiniti meandri, verso oriente. Il santuario è collegato a San Luca, il paese del versante ionico del massiccio nel cui territorio ricade, patria di Corrado Alvaro, che proprio su Polsi e sulla gente d’Aspromonte scrisse pagine memorabili, da due piste a fondo naturale lunghe una trentina di chilometri ciascuna e spesso impraticabili per le frane. Una strada, altrettanto lunga e malmessa lo congiunge alla statale 183 tra Melito di Porto Salvo, sulla costa meridionale della Calabria, e Gambarie, principale centro turistico dell’Aspromonte. Il pellegrinaggio Durante tutta l?estate, con culmine il 2 settembre, giorno in cui si svolge l’annuale festa della Madonna della Montagna, il santuario è meta di un ininterrotto pellegrinaggio, effettuato con i più svariati mezzi di trasporto, ma spesso a piedi (per voto o per antica consuetudine) da decine di migliaia di persone, provenienti dalla provincia di Reggio Calabria e dalla Sicilia orientale, che invadono la valle, pregano, urlano invocazioni, piangono di commozione o di sofferenza, strisciano carponi leccando il pavimento della chiesa, procedono scalzi portando pesi, suonano tamburelli, zampogne, pipite, organetti e chitarre battenti, cantano, ballano interminabili tarantelle, mangiano e socializzano con chiunque. Su tutto domina lo sconvolgente rito sacrificale di centinaia di capre, che, almeno fino ad un paio di anni fa (quando un intervento dei carabinieri del N.O.E. ne impedì lo svolgimento per ragioni sanitarie) venivano macellate sul posto e poi cucinate in grandi calderoni su fuochi a legna, insaporite da tutti gli aromi che la montagna offre spontaneamente. Come in un antico rito espiatorio dedicato alla “dea madre” divinità femminile incarnazione della fertilità e della rinascita, oggi rappresentata dalla miracolosa statua della Madonna, uomini e donne d’ogni età e di qualunque estrazione sociale, soprattutto contadini e pastori, si “tuffano” verso il santuario, per strade e sentieri lungo le pendici del vallone, per vivere esperienze di intensa spiritualità ed uscirne come purificati e rigenerati. Si potrebbe pensare ad una tradizione in declino, ma la realtà è esattamente all’opposto: al pellegrinaggio prende parte una gran quantità di uomini e donne, tra cui molti giovani, che qui vengono anche per ritrovare le proprie radici e la propria storia.