La mozzarella di bufala

18 marzo 2020 - 10:38

Ci sarebbe piaciuto raccontare la storia delle mozzarelle, abitualmente consumate, prodotte con il latte delle bufale prelevato da mungitori che, cantando antiche nenie, richiamano le femmine con accanto il loro piccolo, perché solo con esso vicino donano “volentieri” il loro pregiato e nutriente nettare.

Forse una volta lo era, perché lo si racconta; oggi la mungitura è sterilmente meccanica, cruda, senza accenno di poesia; è rimasta solo la stagionalità della fertilità per cui non sempre si ha la massima produzione di latte: guarda caso, il periodo meno prolifico e perciò con meno lattazione, combacia con il periodo estivo quando la richiesta di latticini freschi raggiunge il massimo.

Non lo faremo in questa sede, ma torniamo alla bufala ed al suo vero grande prodotto, vanto dell’Italia.

Nera, con peli folti ed ispidi, testa grossa un po’ sproporzionata, orecchie lunghe sotto le corna di discrete dimensioni, corpo disarmonico e sguardo un poco triste: questo animale non è la quintessenza della bellezza. Il bufalo (Bos bubalus) è originario dell’India orientale e l’ipotesi più accreditata è che sia stato introdotto in Italia dai Longobardi, nel 596 d.C., sotto il regno di Agilulfo.

Fin dal 1800 si è stanziato molto bene nelle aree paludose dell’Agro romano, nella piana della provincia di Salerno e nel Casertano dove, per la povertà dì foraggi e per condizioni ambientali disagevoli, nessun altra razza bovina sarebbe potuta essere produttiva.

La bufala dà un quantitativo di latte nettamente più basso di quello della vacca.

In compenso è più ricco (contiene una maggior percentuale di grassi e di proteine) ed è caratterizzato da un aroma molto particolare e da una flora microbica tipica, il cui ruolo è fondamentale per il processo di caseificazione e per il valore organolettico del formaggio finito.

Alla mozzarella si arriva con un ciclo di lavorazione esclusivo in quanto occorre produrre una pasta caseosa “filata”.

Il latte è riscaldato a 32-35°C e poi cagliato. Il coagulo si frantuma in pezzettini grandi come una nocciola che si lasciano sotto siero per alcune ore.

La cagliata viene quindi separata e si impasta con acqua quasi bollente fino a trarne una grossa corda elastica, bianca, la quale si può modellare e mozzare (da qui il nome del formaggio). La mozzarella è poi rassodata in acqua fredda e salata per un quarto d’ora circa in una salamoia appositamente preparata.

Dopo di che è pronta per la commercializzazione immersa in acqua acidificata.

Il loro pregio è la freschezza ed è indispensabile consumarle nel più breve tempo possibile poiché la loro vita è brevissima.

Non vanno mai conservate in frigorifero perché i grassi condensandosi alterano gli aromi particolari ed il gusto peculiare della mozzarella.

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