La riscoperta dei sapori genuini è da sempre uno dei cavalli di battaglia del mio modo di essere. D’altra parte il “sillogismo del buongustaio” ha una logica stringente: se davvero il nostro Bel Paese è qualcosa di più di un abusato fondale da cartolina, allora anche gusto e olfatto debbono essere argomenti essenziali per chi vuol parlare di cultura del territorio.
Non molto tempo fa l’annosa questione del “Cosa mangiamo?” aveva fatto capolino sulle pagine dei quotidiani nazionali.Sotto accusa le etichette, o meglio, la discrepanza fra ciò che il cliente crede d’acquistare dando uno sguardo distratto alla confezione e ciò che in realtà si accorgerebbe d’aver comprato se – lente d’ingrandimento in una mano e manuale di chimica nell’altra – decidesse di decifrare quel rebus di percentuali e formule chimiche che, almeno in teoria, racconta vita, morte e miracoli del cibo che ci mettiamo in pancia.
La triste “commedia degli equivoci” è quella di sempre: olii italiani spremuti da olive spagnole, cioccolato di margarina, cosciotti di pollo infarciti di glucosio (giusto per renderli più appetibili ai nostri palati traviati e addomesticati), wurstel di puro suino che di puro, e di suino, hanno poco o nulla, e via di seguito.
La Comunità Europea ha da poco emanato nuovi regolamenti, per rendere le etichette più leggibili e mettere a disposizione dei consumatori le informazioni necessarie per fare scelte più consapevoli. Però si sa: fatta la legge… Certo, trovare rimedi efficaci allo strapotere dell’impero del mal-mangiare non è semplice. Noi però una speranza ce l’abbiamo: è la signora Adelina e di sicuro la conoscete anche voi, magari con un altro nome… Lei manda avanti il ristorante di famiglia e, se la trovi in giornata giusta, ti puoi far spiegare per filo e per segno come si fa a fare un coniglio così buono. Naturalmente non ti svelerà mai tutto, perché la ricetta è quella che le ha insegnato sua nonna e dentro c’è quel famoso ingrediente segretissimo…
A dire il vero di speranza ne abbiamo più d’una, perché nel paese accanto a quello dell’Adelina c’è l’osteria di Michele (certo che lo conoscete!). Lui il coniglio lo fa buono uguale, ma ha tutto un altro sapore e tutta un’altra storia. Poi c’è Anna con le sue seadas, Giovanni e il suo vermentino spettacolare, Giuseppe che fa quelle marmellate di prugne indimenticabili… Le loro facce, le loro storie, i loro vestiti sporchi di terra e i grembiuli macchiati di sugo sono le etichette che li contraddistinguono. Magari non sono precise e puntigliose come quelle miniate sulle confezioni dei prodotti del supermercato, ma ci potete leggere di cose buone e genuine, di tradizioni e di cultura. Se siano vere o meno queste cose non potete capirlo solo con gli occhi. Il coniglio dell’Adelina non è fatto di formule chimiche e percentuali di grassi e carboidrati: queste etichette occorre imparare a leggerele col naso e con la bocca… è una scuola impegnativa, ma molto piacevole.Buon appetito!
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