Nelle Langhe sui tracciati dei cartunè
Nei secoli passati, le Langhe erano percorse da importanti vie di comunicazione tra i porti della Liguria e la pianura piemontese. La merce più preziosa che attraversavale sue strade era il sale, sul quale i signori locali imponevano forti tasse. Così, al commercio legale del giorno si affiancava spesso quello notturno e clandestino: il contrabbando. Erano, infatti, numerosi gli “sfrosadori”, i contrabbandieri, che percorrevano sentieri nascosti tra i boschi, come altrettanto numerosi erano gli episodi di lotte con i doganieri, spesso così aspre da sconfinare in autentiche guerre tra eserciti contrapposti. I percorsi seguivano prevalentemente le creste delle colline, evitando il più possibile di transitare a ridosso dei corsi d’acqua, ritenuti poco sicuri. Si trattava di sentieri tortuosi, utilizzabili a piedi o con bestie da soma, che richiedevano poca o nessuna manutenzione. Solo con la dominazione francese, dopo l’800, si sentirà il bisogno di tracciare nuove strade, dette “carrettabili”, più larghe e percorribili con carri trainati da cavalli. L’innovazione segnerà la scomparsa dei muli, degli asini e di molti vecchi sentieri. Darà inizio però all’epoca, breve ma intensa, dei “cartunè”, i carrettieri, e di tutto un mondo legato a questo modo di viaggiare: osterie, fontanili, stazioni di accoglienza e ristoro per cavalli e uomini, località che diventavano crocevia delle nuove vie di transito. Con l’avvento dell’asfalto e con la moderna scoperta turistica delle Langhe, ai carretti si sono sostituite le carovane di “enoturisti” e “gastronauti”. Ma le tracce delle antiche vie, delle vecchie osterie, del mondo che ruotava intorno alle carovane di “cartun” esistono ancora, anche se appaiono a malapena tra gli intonaci delle nuove abitazioni. Non possono però sfuggire all’occhio attento del carrettiere, abituato dalla lentezza del suo incedere a notare ogni particolare che lo circonda. Anche noi abbiamo avuto la fortuna di ripetere l’esperienza di un viaggio attraverso l’Alta Langa in carrozza e a dorso di mulo, al seguito di appassionati che ripercorrono le antiche strade alla maniera e con i mezzi di trasporto dei vecchi “cartunè”. Non è un viaggio facile, dal punto di vista logistico. Occorre scegliere con attenzione le strade dove passare e i punti in cui fare sosta, è necessario badare alle esigenze ed ai tempi degli animali che ci accompagnano, bisogna approntare dei mezzi di appoggio. È anche un viaggio, però, che non si dimentica facilmente. Con i suoi ritmi lenti, cullati dallo scalpiccio degli zoccoli sul terreno – che somiglia stranamente allo sciabordio delle onde del mare – ci permette di gustare a pieno il paesaggio, gli odori, i colori di questa terra. E, soprattutto, di pensare, e di vivere la strada, le soste, la meta, le tante suggestioni, da un diverso punto di vista. Dove non contano più l’arrivare, il dove e il quando, ma solo, finalmente, il qui e l’ora.
È la classica Langa, quella dei vigneti di Barolo e Barbaresco, quella che attira frotte di turisti in cerca di attrattive enologiche, quella che circonda Verduno, punto iniziale del nostro itinerario. Il castello, ricco di storia, vale una visita anche per le sue cantine. Qui si coltiva un tipo di vitigno particolarissimo: il Pelaverga Piccolo. Antichissimo, dalle origini perse nella leggenda e per molti anni dimenticato ha trovato qui i suoi spazi più adatti (è Doc dal 1995). Da Verduno dobbiamo però spostarci verso la zona della Langa più alta, ai confini con la Liguria, dove inizieremo il nostro viaggio e dove ci aspettano gli amici che ci accompagneranno. A Saliceto incontriamo quindi un folto gruppo di “Cartunè” con le loro carrozze, i cavalli e i muli (che suscitano la divertita curiosità degli abitanti). Il paese contiene alcune tra le maggiori testimonianze artistiche di queste valli, come la parrocchiale di San Lorenzo, la chiesa di San Martino a Lignea e il castello. Percorriamo la vecchia Via del Sale, proseguimento di quella ligure, ora risistemata, segnalata e attrezzata dalla Comunità Montana. Nei progetti, sarà un nuovo lungo percorso per viaggiare “adagio”, a piedi, a cavallo o in carrozza, e un veicolo di rilancio di questa parte di Langhe, a torto rimasta fuori dalle grandi rotte turistiche rispetto ad altre ben più note. Il viaggio prosegue fino a Gottasecca, sullo spartiacque tra le valli Uzzone e Bormida. Il suo santuario, isolato tra i boschi, rifacimento seicentesco di un’antica pieve già citata nel 998, è riccamente decorato al suo interno da stucchi e affreschi. Nelle vicinanze Monesiglio, antica sede di mulini e filande, è contraddistinta dalla sagoma del castello cui tutte le stradine del centro conducono. Ma il monumento di maggior interesse è senz’altro la cappella di Sant’Andrea, del 1532, interamente ricoperta di affreschi. Tra le altre prelibatezze di Monesiglio, da consigliare i formaggi. La ditta Cora, pluripremiata in rassegne internazionali, si è specializzata nel trarre aromi e gusti particolarissimi, ottenuti mettendo i formaggi a macerare con foglie di cavolo, di ciliegio, o di fico. La tappa successiva è Prunetto. Un tempo costruito su una collina, fu distrutto da una frana e ricostruito più in basso. La frana, però, ha risparmiato il castello appartenuto ai Del Carretto, distrutto durante la guerra e in abbandono fino a recenti restauri. Al suo fianco, il Santuario dedicato alla Madonna del Carmine, con notevoli affreschi all’interno. Più avanti, incontriamo Bergolo, paese minuscolo ma ben conosciuto per i festival di musica che vi si tengono a maggio, per i suoi murales e per la chiesetta di San Sebastiano, in stile romanico. Si scende poi su Cortemilia, famoso per la coltivazione della nocciola – “Tonda Gentile delle Langhe”, Igp dal 1993 – e per i suoi prodotti dolciari. Le torte, i gelati, i “Baci di Dama”, i “Brutti e Buoni” hanno qui la loro capitale. Ma oltre alle pasticcerie, meritano anche una visita i vicoli del centro storico, il ponte e la chiesa della Madonna della Pieve. Il paesaggio circostante, inoltre, è caratterizzato dai terrazzamenti in pietra arenaria. La zona successiva è il regno del Moscato d’Asti, prodotto nelle due versioni spumante e tappo raso, come testimoniano i vigneti. Ma siamo anche in luoghi di grande suggestione letteraria: qui, tra Castino e Santo Stefano Belbo, Beppe Fenoglio e Cesare Pavese ambientavano le loro vicende. Poco lontano da Castino, la Cascina del Pavaglione, scenario di “La Malora”, è ora un centro culturale dedicato a Fenoglio, mentre a Santo Stefano ogni casa e ogni strada rimandano a scritti di Pavese. Qui hanno sede, tra l’altro, il Museo Pavesiano e il centro studi a lui dedicato.