
Sicilia a piedi: 300 km lungo la Via Fabaria tra borghi, mare e tradizioni
Un viaggio a piedi lungo la Via Fabaria, l'antico cammino normanno che attraversa la Sicilia tra templi, borghi barocchi e paesaggi mozzafiato. Da Agrigento a Noto, 296 km di storia, natura e incontri inaspettati
Alla scoperta della Via Fabaria: 296 km a piedi nel cuore della Sicilia
Partiamo in due, nel mese di ottobre, giornate ancora abbastanza lunghe e clima ideale per un itinerariocomunque percorribile tutto l’anno tranne luglio e agosto. Prima destinazione, Palermo.
Poi prendiamo il treno per Agrigento, dove si conclude la Magna Via Francigena (che arriva, appunto, da Palermo) e dove inizia la Via Fabaria.
Inaugurata nel 2023 grazie al lavoro congiunto della Rete nazionale Cammini del Sud, la Fabaria è un Cammino tutto da scoprire, che cuce insieme diversi aspetti del territorio siculo.
Fa parte delle quattro antiche vie che nel medioevo i normanni percorrevano sia per i commerci che per i pellegrinaggi verso i luoghi cristiani, recuperate e ripristinate dall’associazione Amici delle Vie Francigene di Sicilia. Il suo nome viene da una parola araba, fawar, che significa “pozza d’acqua”.
Il percorso principale, 314 chilometri, conduce da Agrigento a Randazzo passando per Catania, con la possibilità, nel tratto iniziale, di passare all’interno o di percorrere la costa fino a Gela.
La variante principale è la Iblea che, dopo le prime 7 tappe, invece di proseguire verso nord in direzione Etna piega a sud, fino a Ragusa, e poi a est per raggiungere Noto. Percorsi allettanti, entrambi, ma non avendo mai visto il ragusano scegliamo il secondo.
Prima parte: da Agrigento a Grammichele, la città esagonale
Probabilmente nessun Cammino al mondo ha un inizio paragonabile a quello della Fabaria: la Valle dei Templi. Uscendo dalla città, a sinistra si profilano colonnate millenarie, davanti si vede il mare.
I segnali sono pochi, il logo della Via (un viandante azzurro) lascia spesso il posto alle strisce biancorosse del Cai. Non ci sono fontane, né chioschi. Ma soprattutto niente ombra.
Questa prima tappa, da Agrigento a Palma di Montechiaro, è di 31 chilometri, e bisogna muoversi presto se si vuole avere tempo per scendere a fare un bagno alla Riserva naturale di Punta Bianca, una meraviglia della natura raggiungibile, fortunatamente, solo a piedi.
La seconda tappa, da Palma a Licata, è un mix di paesaggi, in saliscendi, dalla campagna al mare. In lontananza si vede ancora Agrigento. A mezzogiorno troviamo un posto per bere qualcosa sulla spiaggia. I nostri zaini attirano l’attenzione, ne vedono pochi e spesso chi li porta non è italiano.
Il padrone di questo angolo ombroso e panoramico si fa raccontare cosa stiamo facendo, non conosce la Fabaria e gli mostriamo il percorso sulla Guida, ci regala una bottiglia d’acqua.
A Licata alloggiamo in un palazzo storico che i proprietari stanno, stanza dopo stanza, ristrutturando e aprendo ai viaggiatori. Giriamo a caccia dei murales che ultimamente stanno caratterizzando il paese, già noto per il faro di San Giacomo e il Parco delle Ville Liberty. La sera sono molte le persone del luogo che stanno fuori a bere qualcosa e chiacchierare.
La terza tappa, da Licata a Falconara, è di soli 12 chilometri, perché è in gran parte su spiaggia. Ne approfittiamo per visitare il Museo del Mare, rendendo felice l’addetto, che finalmente può far vedere a qualcuno le ancore preistoriche.
Il percorso si rivela complesso: ville private edificate proprio sulla riva costringono spesso a rientrare all’interno perché quando le onde sono lunghe finiscono direttamente sulle mura di cinta e non c’è più spiaggia.
Per questo, nelle giornate tempestose, può accadere che il mare non consenta il passaggio, e l’unica possibilità di proseguire è prendere l’autobus. E in effetti per la quarta tappa, da Falconara a Gela, dobbiamo ricorrere al mezzo pubblico, perché durante la notte ore di pioggia hanno reso impraticabile il terreno argilloso.
In 25 minuti copriamo il percorso, di circa 22 chilometri, che avremmo fatto in 4-5 ore a piedi. Alle 10,30 siamo a Gela. Avremmo tempo per vedere ciò che offre, ed è sabato, ma il Museo del Mare è chiuso, è chiusa la cattedrale e, soprattutto, è chiuso il museo archeologico.
Possiamo solo affacciarci sulle rovine greco-romane e guardare increduli la ciminiera bianca e rossa del Petrolchimico, che si staglia a cinquecento metri di distanza.
La città è piacevolissima da girare, e prendere un gelato o comprare frutta al supermercato diventa, ormai regolarmente, un’occasione per chiacchierare con le persone: destiamo curiosità. Puntualmente, la seconda domanda, la terza al massimo, è sulle nostre impressioni della Sicilia. Ci tengono. Molto.
La quinta tappa ci porta a Niscemi, e, una volta liberatici dal tratto urbano, diventa un bellissimo percorso di 19 chilometri in una campagna variegata, con estesi campi di carciofi e antichi casali abbandonati.
Una tipica trazzera, lastricata di mattoni e pietre di vario tipo, ci aiuta a percorrere l’ultimo tratto, dove si concentra buona parte dei 380 metri di dislivello della giornata. La cittadina è vivace, ricca di chiese e piena di gente che fin dalle quattro del pomeriggio affolla i bar seduta al sole. Dal Belvedere si vede tutta la piana di Gela, ciminiera del Petrolchimico inclusa.
Da Niscemi a Caltagirone è il percorso della sesta tappa, oltre 23 chilometri che hanno come meta uno dei centri più famosi dell’Isola. Durante la notte è piovuto in abbondanza e i nostri passi sono molto rallentati, i tentativi di evitare l’effetto sabbie mobili non sempre riescono.
La tappa ha un discreto dislivello, 600 metri, è molto ben segnata e negli ultimi chilometri, che scorrono in provincia di Catania, guardando verso l’alto emoziona vedere Caltagirone che man mano si avvicina.
Raggiungerla comporta un’ultima, ripida salita, e quando arriviamo restano poche forze. Le usiamo per vedere la Cattedrale e la celebre scala maiolicata, parzialmente in manutenzione.
La settima tappa, da Caltagirone a Grammichele, è un primo traguardo: con i 20 chilometri della giornata si raggiunge quota 153. Metà cammino. Facciamo il pieno di energie con il cornetto alla ricotta, che ormai è la nostra colazione fissa. Un primo tratto è, purtroppo, sulla Statale ma per fortuna qui le strade sono poco frequentate.
Pochissime auto, moltissime bottiglie di birra vuote. A lungo camminiamo a fianco della ferrovia, poi la traccia piega nei campi e i segnavia spariscono. Arriviamo a metà pomeriggio e incontriamo Loredana, referente di tappa e grande conoscitrice del territorio. Ci consegna il Munus, piccola pergamena per i camminatori che hanno percorso metà della Via Fabaria.
É lei a raccontarci che Grammichele è stata ricostruita come città antisismica da un principe studioso e illuminato, che dopo il sisma del 1693 progettò e realizzò un centro urbano a pianta esagonale, con sei strade principali che sono perfette vie di fuga e, contemporaneamente, anche vie di entrata. Una città aperta a chi arriva, in cui ci si può sempre ritrovare.
Seconda parte: da Grammichele a Noto, passando per Ragusa
A Grammichele inizia la variante Iblea, che in 140 chilometri porta a Noto in 7 tappe, prevalentemente nella provincia ragusana. Nato nel 2010 come Cammino Ibleo, grazie all’impegno di Associazioni ed esperti locali, si sta riorganizzando e al momento è senza referenti di tappa.
Alcuni segnavia lo segnano con colori diversi, e con il nome di Antica traversata sicula. La prima tappa di questa variante, l’ottava di tutto il viaggio, ci porterà a Vizzini, luogo natale di Verga, in 17 chilometri. Attraversando un paesaggio di campi arati e greggi, sentiamo i pastori che inveiscono contro le pecore a centinaia di metri da noi.
Passiamo per colline coltivate, boschetti di pini marittimi, una parete di pomice bianca, una scalinata naturale in pietra e alla fine un sentiero di trekking che probabilmente non viene percorso da tempo.
La salita finale per arrivare al borgo stronca le gambe, ma la bellezza del centro ci sorprende. Molti circoli ricreativi pieni di uomini che giocano parlano o guardano insieme la tv. Diversamente da Niscemi e Grammichele, dove c’erano giovani ovunque, qui vediamo soprattutto anziani.
Lago Drillo – Foto Getty Images
La seconda tappa, da Vizzini a Monterosso Almo, è di 15 chilometri e mezzo e in buona parte attraversa una riserva naturalistica che è una vera sorpresa, ricca di vegetazione, uccelli e acqua. Vale la pena di mangiare il panino sulla riva del lago Dirillo, nonostante sia parzialmente in secca.
Il percorso è sempre più verde: pini marittimi, eucalipti, olivi, poi querce, lecci, alberi da frutta. Muri di pietre chiare attestano un gran lavoro per abitare e coltivare questo vallone percorso dal fiume ma molto soggetto a frane per via del terreno.
A Monterosso Almo, dopo la piazza principale nessun negozio, nemmeno un bar. Ma c’è l’insegna, divertentissima, di un Circolo di conversazione del Regno di Napoli.
La terza tappa, che porta a Chiaromonte Gulfi, è di 15 chilometri, finalmente con costante segnaletica, che qui è quella del Cammino Ibleo, sentiero Cai 803. Scendiamo tra le alture, olivi, lecci, una famiglia di capre.
Ogni tanto qualche casa in pietra o cemento, modesta ma curata, con veranda e sedie, come a dire che non è solo una casa di servizio ma per godersi il luogo. Poi vasti campi collinari delimitati da muretti a secco e vegetazione sempre più verde, finché Chiaromonte non ci compare in controluce.
Si apre man mano la vista sulla piana, nelle pause cerchiamo di ripercorrere con lo sguardo il cammino di questi giorni. Arriviamo stroncati, come sempre, dalla salita finale. L’ultima. Di qui in poi, secondo la guida, le tappe sono tutte in discesa.
La quarta tappa è molto motivante, perché la meta è Ragusa. La raggiungiamo in 23 chilometri, inizialmente nel bosco e poi aperti sulla pianura, con le coltivazioni divise in rettangoli marroni e verdi. In fondo, si rivede il mare.
Il centro di Ragusa – Foto Getty Images
Quando Ragusa appare mancano ancora 9 km e diventa più bella man mano che la distanza diminuisce. Però si fa corteggiare, ci fa scendere per più di 200 metri e risalire di 100, immergendoci in un canyon che rappresenta la via di avvicinamento a un vero gioiello.
Decidiamo di concederci un giorno in più, per gustarne la bellezza. Grazie a un amico vediamo anche Scicli, e ne vale veramente la pena.
Ci raccontano che il ragusano è un’isola felice, e tutto sembra confermarlo. Diventare scenario delle puntate televisive di Montalbano ha dato un ulteriore impulso a una provincia già caratterizzata da solidità economica e cura del territorio.
Bellissima anche la quinta tappa, che inizia traversando tutta Ragusa Ibla, passa per una valle scavata da un fiume e risale fino a Modica, un’altra icona del barocco siciliano, riedificata dopo il terremoto.
Modica, capitale del barocco – Foto Getty Images
Aver percorso solo 17 chilometri consente di visitarla bene, ma anche di scoprire che esistono due varianti di cannoli: quelli con la ricotta di mucca e quelli con la ricotta di pecora. Nel dubbio, prendiamo entrambi.
Da Modica, la Iblea prosegue per Ispica, e per 22,6 chilometri il paesaggio cambia di nuovo, totalmente. Questa sesta tappa è interamente naturalistica, per buona parte si cammina per canaloni e cave scavati dall’acqua, con grotte naturali e siti archeologici rupestri dove si sono accumulate le tracce degli uomini di varie epoche, dalle necropoli preistoriche agli eremi medievali.
È una sorpresa continua, e siamo contenti di aver prenotato il pernottamento in un rifugio nella cava, che ci permette di assaporare senza fretta un posto davvero fuori dal comune.
Settima ed ultima tappa, da Ispica a Noto, 31,4 chilometri. È la più lunga, perché per evitare strade troppo trafficate si arriva a Noto con un lungo aggiramento. Dopo le emozioni della cava, il percorso sembra meno entusiasmante ma le campagne curate sono piacevoli.
L’ultimo tratto, asfaltato, lo è meno, ma l’arrivo ripaga di tutto. La capitale del Barocco merita la sua fama, non solo per le chiese e i palazzi ma per il calore e l’armonia che emana. Un cannolo in un bar di Corso Vittorio Emanuele II e un tramonto dalla terrazza panoramica dell’ex Convento delle Benedettine sono la conclusione migliore per questo viaggio a piedi di 296 chilometri.
Informazioni utili
_ Scopri la guida La Via Fabaria. 300 chilometri in cammino da Agrigento all’Etna
_ Tutte le informazioni per le credenziali sul sito viefrancigenedisicilia.it
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