Nonostante il Soccorso Alpino sconsigli di praticarlo, poiché “la fascia di rischio si eleva notevolmente, in quanto possono presentarsi variabili non ipotizzabili, con conseguenti complicazioni e difficoltà da gestire, molto di più che se si è con altri” (Righi, 2020), l’escursionismo in solitaria è comunque diffuso ed alcuni trekker lo prediligono o lo alternano a quello in gruppo.
Forse perché l’esperienza di camminare in solitudine può rivelarsi di per sé apportatrice di benefici?
Ciò è confermato da uno studio (Coble, Selin e Erickson, 2003), cui faremo più volte riferimento e da cui emerge che, per gli escursionisti solitari coinvolti nella ricerca (10 donne e 10 uomini; età media: 34 anni; media degli anni di pratica: 17 per gli uomini e 10 per le donne), fare trekking da soli è fonte di benessere.
Nello specifico, i venti partecipanti riferiscono che i benefici psicologici goduti sono: libertà di scelta, autonomia e controllo personale, tipici delle attività di svago e tempo libero.
Intervistati, alcuni di loro enfatizzano questi aspetti con frasi tipo: “seguo il mio passo”, “predispongo itinerari miei”. Alcuni spiegano che la solitudine sperimentata durante il trekking dà loro il tempo di riflettere sui propri importanti temi di vita.
Altri affermano che proprio questa solitudine permette loro una maggiore vicinanza alla natura e di “assorbire” quanto si trova nell’ambiente naturale circostante.
Fenomeno questo descritto come molto rilassante, calmante, un’esperienza pacificante, che può condurre anche a un rinnovamento interiore e spirituale.
Caratteristiche che rientrano nell’esperienza di flow (Coble et al., 2003).
Il flow infatti può essere definito come uno “stato psicologico in cui le persone vengono assorbite da un’attività piacevole, con concentrazione profonda e gratificante su quanto si sta facendo, tanto da dimenticarsi di sé e del trascorrere del tempo.
L’elemento fondamentale di tale esperienza è la percezione soggettiva di equilibrio fra le abilità personali e la sfida rappresentata dal compito” (Bortoli, 2020, p. [1]; Csikszentmihalyi, 1975).
Tuttavia spesso i benefici di solito associati ad attività di svago (libertà di scelta, autonomia, controllo personale) e l’esperienza di flow potrebbero essere compromessi da alcuni fattori limitanti, quali la paura, che, in più occasioni, potrebbe insorgere durante l’escursione in solitaria.
È quanto emerge sempre dal già citato studio, che evidenzia le seguenti cinque paure come maggiormente diffuse fra gli intervistati (Coble et al., 2003):
1) Paura di incontrare malintenzionati. È la paura più menzionata. Nello specifico, sia maschi che femmine si riferiscono alla paura che un individuo – sempre di sesso maschile –, incontrato durante il trekking, possa aggredirli.
L’aspetto esteriore, i comportamenti di chi incontrano, le dimensioni del gruppo e la durata dell’incontro sono i fattori che più influenzano l’intensità del loro vissuto.
2) Paura di un infortunio accidentale (ad esempio un sasso si muove mentre vi si cammina sopra, l’escursionista cade o scivola e si rompe una gamba) o di un’emergenza che metta a rischio la vita (ad esempio: ipotermia o disidratazione). In alcuni casi, l’escursionista solitario è spaventato non tanto per se stesso, ma per il proprio cane, che è con lui/lei.
3) Paura di perdersi. Alcuni intervistati correlano tale paura alla loro scarsa abilità nell’orientarsi.
4) Paura di animali selvatici e cani. Ci si riferisce alla paura di subire attacchi da orsi, serpenti o cani da guardia: tale paura è presente in molti anche quando si è in gruppo, ma si accentua quando si è da soli.
5) Paura di furti dei propri effetti personali, all’interno del proprio mezzo di trasporto. Alcuni temono che si forzi l’apertura del proprio veicolo per poterne rubare quanto lì riposto.
Diventa quindi importante capire come affrontare la paura, allo scopo di mantenere alto il benessere, il flow e la sicurezza dell’esperienza escursionistica in solitaria.
L’articolo di nostro riferimento (Coble et al., 2003) ci viene in aiuto. Risulta infatti che gli intervistati adottano le seguenti cinque strategie:
1) Evitamento della minaccia percepita. Per esempio, non andare in una determinata area nota per la presenza di animali pericolosi; nascondersi dietro ad un albero per evitare un incontro indesiderato; se ci si rende conto che non è possibile evitare le fonti di minaccia, si riducono il più possibile i tempi dell’incontro: passo più veloce, brevi cenni di saluto allo sconosciuto .
2) Modifiche all’escursione, cioè, cambiare orario, zona, fino a decidere di interrompere il trekking in solitaria. Per esempio, per affrontare la paura di un infortunio accidentale o di trovarsi in una situazione di emergenza, alcuni limitano la distanza di viaggio da casa o dalla strada più vicina o variano itinerario, se ci sono tratti fuori sentiero, fiumi da attraversare o se si corre il rischio di dover camminare dopo il tramonto.
3) Utilizzo di aiuti e di dispositivi di protezione. Per esempio, per affrontare la paura di perdersi, alcuni percorrono sentieri solo ben segnati, con riferimenti puntuali su dove ci si trova di volta in volta; per la paura di infortuni, alcuni si muniscono di un kit di primo soccorso.
Per la paura di trovarsi in situazioni di emergenza, tipo ipotermia o disidratazione, si procurano cibo, scorte d’acqua e vestiti pesanti, comunicano ai propri familiari l’itinerario dell’escursione; per affrontare la paura di attacchi da parte di animali, si muovo silenziosamente o si immobilizzano se incontrano un serpente, oppure in altri casi, per esempio nelle zone popolate da orsi, fanno molto rumore (campanacci) o portano con sé un cane di grossa stazza.
4) Aumento delle conoscenze o abilità. Imparare dagli errori passati e quindi, per esempio, non sovrastimare le proprie competenze, incrementare la propria preparazione fisica, portare con sé più acqua e attivarsi per migliorare le proprie abilità di orientamento.
A differenza della altre strategie, in questo caso, gli intervistati affermano di sperimentare un corrispondente maggiore senso di realizzazione e di padronanza.
Cioè, per esempio, imparare a leggere le mappe ha il potenziale di trasformare la paura di perdersi nell’opportunità di sentirsi più capaci e competenti.
5) Utilizzo dell’approccio psicologico. Per molti la paura di essere aggrediti da qualcuno incontrato lungo il sentiero si traduce in una più elevata consapevolezza di alcuni dettagli: per esempio, prestare attenzione a come si comporta lo sconosciuto, dopo che gli si passa di fianco.
Questa maggiore consapevolezza denota un approccio attivo, che consiste, appunto, nel valutare chi si incontra e nel rispondere in modo riflessivo (e non impulsivo) ad eventuali minacce percepite.
Ancora, alcuni riferiscono che, attraverso il dialogo interno (cioè, come parlano a se stessi) possono gestire una minaccia che percepiscono oltre il loro controllo: per esempio, se si incontra un gruppo di persone, sono consapevoli che si può fare poco, se non sperare per il meglio, avere un approccio positivo e dirsi fra sé e sé: “Probabilmente anche loro sono qui per i miei stessi motivi”.
Approccio positivo che non sé costante e va rinforzato attraverso reiterati scambi dialogici interni.
Nello studio si evidenza che le ultime due strategie – aumento delle conoscenze / abilità e utilizzo dell’approccio psicologico – possono giocare un ruolo chiave nel mantenere o addirittura migliorare complessivamente l’esperienza di svago.
Gli escursionisti, da un lato, infatti, sviluppando nuove abilità, come si diceva, guadagnano un senso di padronanza e di realizzazione.
Ciò consente loro di far fronte alle sfide incontrate nell’escursione in solitaria e mantenere alti livelli di flow e di autonomia.
Dall’altro, attraverso l’approccio psicologico, possono passare da un atteggiamento diffidente (che, se troppo diffidente o ansioso, potrebbe avere un impatto negativo) a una più elevata consapevolezza rispetto a chi incontrano e all’ambiente.
Sarà così forse più semplice impegnarsi in ragionamenti (Koskela, 1997) orientati a promuovere uno scambio dialogico interno, per esempio, fra una voce dominante intimorita e una seconda voce più fiduciosa, che può farsi strada e mettere in discussione l’altra (Luputon e Tullock, 2000).
In alcuni casi, il limite imposto dalla paura potrebbe diventare uno stimolo per incrementare la fiducia in se stessi, la fiducia negli altri ed il coraggio.
Anche il Soccorso Alpino ci aiuta a definire una buona strategia di gestione delle escursioni attraverso le seguenti linee guida (Righi, 2020):
– Pianificare l’escursione prima, a tavolino,
– Calzare scarpe adeguate (preferibilmente alte),
– Lasciare sempre detto a qualcuno dove si è diretti e che escursione si vuol fare,
– Accertarsi di avere il telefonino carico e dotarsi di powerbank,
– Rifornirsi di acqua a sufficienza e di snack energetici,
– Dotarsi di abbigliamento adeguato a pioggia e a basse temperature,
– Utilizzare i bastoncini nelle discese ripide,
– Essere in grado di leggere la mappa e di usare la bussola, nel caso si scarichi il GPS.
Alla luce di quanto sopra, affinché la propria esperienza escursionistica in solitaria sia il più possibile associata a benessere, flow e sicurezza, può essere importante lavorare su di sé e formarsi, anche con l’aiuto di professionisti, prima di tutto per migliorare la consapevolezza delle proprie paure, per poi affrontarle, grazie a strategie ottimali.