La lana nell’abbigliamento outdoor

9 marzo 2021 - 13:56

Per capire le ragioni del ritorno della lana, forse la cosa migliore è soffermarsi sulle motivazioni storiche del suo utilizzo e sul perché del suo declino.

Fino a pochidecenni or sono la lana è stato il materiale di base dell’abbigliamento outdoor, almeno per quel che riguarda lo strato termico intermedio e anche quello esterno impermeabile.

Fra i materiali a disposizione dell’uomo prima dell’avvento del sintetico la lana si distingue, infatti, per la sua capacità di termoregolazione.

La disposizione naturale delle fibre è tale da consentire agli indumenti di lana di formare delle celle che trattengono l’aria a contatto con il corpo, creando una sorta di cuscinetto isolante rispetto all’ambiente esterno più freddo o più caldo.

Questo è il segreto dei caldi maglioni della nonna, ma anche degli indumenti di lana usati dai popoli del deserto come i tuareg, proprio per ripararsi dal caldo.

Altra qualità della lana è la sua elevata capacità di assorbire l’umidità senza generare il fastidioso “effetto bagnato”, che caratterizza altre fibre naturali come il cotone.

Ciò avviene perché la lana è igrosocpica, cioè la struttura delle sue fibre è tale che queste riescono ad “incorporare” nel proprio nucleo molecole d’acqua per una quantità pari a oltre il 30% del proprio peso specifico, lasciando la superficie asciutta, quindi preservando la capacità termoregolatrice dell’indumento.

Un tessuto prezioso

Dai tempi più antichi, infine, l’uomo ha imparato a sfruttare la predisposizione delle fibre di lana ad infeltrirsi, cioè ad aggrovigliarsi fra loro.

Quando vengono sottoposte a determinati trattamenti (in sostanza il lavaggio unito a un’intensa azione meccanica di sfregamento, compressione e battitura) le scaglie che ricoprono i singoli filamenti di lana tendono ad agganciarsi fra loro compattando e annodando le fibre in modo irreversibile.

Da qui deriva la produzione di panni di lana non tessuti (il feltro) e di tessuti di lana trattati con un processo che ne favorisce l’infeltrimento (follatura), caratterizzati da una buona impermeabilità e resistenza al vento.

Insomma, un ottimo “guscio” naturale, che faceva parte del guardaroba dei primi escursionisti e alpinisti (anche se spesso gli venivano preferiti i capi in cotone trattato con vari procedimenti di impermeabilizzazione, più leggeri e maneggevoli di quelli in lana).

Viste tutte queste indubbie qualità ci si può domandare perché la lana sia caduta in disuso e sostituita dalle fibre sintetiche.

Le ragioni sono diverse e quelle economiche non sono certo all’ultimo posto: la filiera che porta alla produzione del sintetico è decisamente meno costosa di quella della lana e i capi che ne derivano sono accessibili ad un mercato molto più ampio.

 

I limiti della lana per l’abbigliamento outdoor

Ma per gli appassionati di outdoor c’è un altro parametro rispetto al quale le fibre sintetiche risultano decisamente vincenti: la leggerezza.

La comparsa delle prime giacche di nylon nel Dopoguerra rese ben presto obsoleto l’utilizzo degli indumenti di lana follata o cotone impermeabilizzato come strato esterno isolante.

Al posto di questi giacconi ingombranti e pesanti (e che aumentavano ulteriormente il loro peso quando erano bagnati) ora escursionisti e alpinisti potevano disporre di “gusci” sempre più leggeri, compatti, durevoli e impermeabili.

Per scalzare la lana dal suo ruolo principe di strato termico ci vollero però altri trent’anni e le ulteriori evoluzioni tecnologiche che hanno portato alla produzione delle fibre di poliestere con cui sono fatti i pile.

Anche in questo caso la carta vincente fu la leggerezza: a parità capacità isolante il pile ha un peso molto inferiore rispetto alla lana, in più le sue fibre sono altamente idrofughe, cioè non trattengono l’acqua, quindi anche sotto la pioggia non si appesantiscono e asciugano molto rapidamente.

Tanto è bastato per mandare in soffitta camice e maglioni…

Sembrava finita qui, invece, nell’ultimo decennio, la lana, scacciata dal secondo e dal terzo strato dell’abbigliamento outdoor, è tornata a far valere le sue ragioni dove meno ce lo saremmo aspettato: lo strato intimo (magliette, calzamaglie e calze).

Proprio lì, dove da sempre l’abbiamo evitata per via della sua ruvidezza che provoca prurito e irrita la pelle, i nuovi capi di abbigliamento tecnico in lana tornano a dare battaglia al sintetico.

L’arma segreta si chiama Merino, un tipo di lana dalle fibre così fini (hanno un diametro di 18/19 millesimi di millimetro) da piegarsi a contatto con la pelle senza generare alcuna sensazione di fastidio (almeno nelle persone che nn soggette a particolari ipersensibilità).

Risolto questo problema, il resto viene da sé. La capacità igroscopica della lana la rende efficace tanto quanto il sintetico per l’utilizzo a contatto pelle e il trasferimento del sudore agli strati superiori dell’abbigliamento.

Inoltre, mentre le fibre sintetiche sono una vera e propria incubatrice di batteri e necessitano di specifici trattamenti per limitarne la proliferazione, la lana è naturalmente antibatterica e non genera cattivi odori.

L’elasticità caratteristica delle fibre di lana garantisce poi un’ottima vestibilità degli indumenti intimi e la loro scarsa tendenza a generare cariche elettrostatiche limita l’accumulo di particelle di polvere e sporcizia.

Da qui a dire che da domani butteremo tutti via l’intimo sportivo sintetico per passare alla lana il passo è ancora lungo, anche perché, per ora, poliestere e affini continuano a mantenere il loro primato in termini di economicità e resistenza all’usura.

Certo è che, se dopo l’escursione avete in programma un appuntamento galante e non avete tempo per tornare a casa a cambiarvi e “docciarvi”, vi conviene mettere la maglietta di lana merino invece della solita T-shirt sintetica e puzzona…