Il Matese

18 marzo 2020 - 9:52

Siamo a Roccamandolfi, piccolo centro abitato di 1300 abitanti a quota 819 metri, splendido paese di origine longobarda di cui si possono ammirare le coperture ancora integralmente in coppi.
Un tempo quando era necessario, era difeso alle spalle dal castello medioevale che ben si erge sulla sommità del colle sulle cui pendici si distende l’abitato. Il castello, dalle torri circolari che fuoriescono con delicatezza dalle murature inclinate alla base, fu cinto d’assedio da Federico Il nell’anno 1221, durante le contese fra Normanni e Svevi, riuscendo a sconfiggere il Conte Tommaso da Celano lì arroccatosi. La fortificazione è addossata sulle ripide pareti della forra scavata dal torrente Callora che lo proteggeva alle spalle; di fronte si impone la mole di Monte Miletto che con i suoi 2050 metri è la cima più alta del complesso montuoso del Matese.
Per visitare il suggestivo e selvaggio ambiente caratterizzato dal corso del torrente è preferibile partire dal ponte in pietra, dove la provinciale scavalca lo stesso fiume, nei pressi della fontanella posta all’ingresso della parte bassa dell’abitato.
Si imbocca un sentiero che mostra antiche tracce di sistemazione con muretti in pietrame a secco e che si snoda poi a mezza costa; il percorso è agevole e parallelo al corso del torrente che si può ammirare in basso.
Il corso d’acqua ha le caratteristiche di stagionalità, arricchito nel periodo invernale dallo sciogliersi delle nevi dei monti del Matese. L’acqua, in questo tratto e sino alla sorgente posta a circa due chilometri, è limpida e trasparente nelle conche in cui si getta da scivoli e cascate che si susseguono senza soluzione di continuità. Per chi vuole vivere da vicino lo spettacolo suggestivo dell’ambiente intatto, reso ancora più emozionante dal percorso che si inoltra fra ripide pareti, è possibile effettuare l’itinerario alternativo lungo il letto del fiume.
Si potranno ammirare salti di chiare acque, anche da notevoli altezze, che si dividono in cento rivoli fra pareti calcaree a cui sono abbarbicate piante di leccio che, nonostante la notevole quota, hanno trovato un microclima adatto. La ragnatela di radici che si infilano fra le fessure della roccia spiega come queste contribuiscano contemporaneamente alla disgregazione ed al consolidamento del terreno.
Nel periodo primaverile inoltrato le ripide pareti di colore grigio sono tappezzate da una miriade di piante sassifragacee che nel periodo della fioritura fanno penzolare ciondoli di fiori bianchi. E’ una realtà ambientale che non mostra tracce di frequentazioni attuali; sino a qualche decennio or sono, quando ancora il mare era da scoprire ed i mezzi economici erano limitati, gli specchi d’acqua e le rocce arrotondate erano la spiaggia ed il mare per i giovani del posto.
Il sentiero attualmente fa perdere le tracce proprio alla sorgente, posta in corrispondenza della rupe del castello e in tempi più addietro certamente suo capolinea, le cui acque sono in parte captate con tubazione volante.
Alla bellezza intatta lungo questo tratto fa da riscontro la bellezza offesa in quello che si sviluppa a valle dopo l’abitato. I luoghi non perdono l’aspetto selvaggio, ma oltre le gole del “Castelluccio” una vecchia discarica per rifiuti di ogni genere, in cui scaricavano dalla strada provinciale, ha lasciato tangibili segni testimoni della incuria per i valori ambientali. Il torrente, inoltre, ha la vegetazione ripariale completamente avvolta da “festoni variopinti” di plastica: i rami e la vegetazione hanno infatti funzionato come un rastrello che ha raccolto tutto ciò che l’acqua trasportava, soprattutto nei periodi in cui questa scorreva impetuosa. Il panorama è così mortificato e reso ancora più triste dal fondo tetro del letto di colore scuro a causa dell’inquinamento di origine urbana. E’ un esempio lampante di come non si sia tenuto in nessuna considerazione un ambiente di rara bellezza rovinato da una semplice discarica altrove posizionabile.

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