In the Corno alle Scale Regional Park, on the way to lake Scaffaiolo, on a summer day.
Sono quasi 5.000 gli ettari di terreno, tra boschi e radure, che caratterizzano il Parco del Corno alle Scale, nato nel 1988 per proteggere, salvaguardare e valorizzare l’ecosistema faunistico e forestale dell’omonimo massiccio.
Il Corno alle Scale è la cima più alta dell’Appennino bolognese con i suoi 1.945 metri di quota, ed è così denominato per la caratteristica forma a gradoni delle stratificazioni arenacee che lo compongono.
Il massiccio possiede tre cime poste sulla linea di crinale che dalla sommità dei Balzi dell’Ora degrada lentamente verso il lago Scaffaiolo.
Sono Punta Sofia (m 1939), sormontata da un’imponente croce metallica, la vetta Corno alle Scale (m 1945) e Punta Giorgina (m 1927).
Il lato est della montagna è estremamente ripido, scosceso e solcato da profondi canaloni, con un dislivello a picco di quasi mille metri sulla sottostante zona di Segavecchia.
Una pendenza meno accentuata caratterizza al contrario il versante ovest, che ospita, poco sotto la croce, il rifugio “Le Rocce” ed alcune piste da sci con i relativi impianti di risalita.
Le fioriture che nel periodo estivo arricchiscono il sentiero dei Balzi dell’Ora – dove “òra” è sinonimo di vento – sono costituite da rare specie di rupicole d’alta quota.
Tra queste è facile riconoscere l’aquilegia alpina, la genziana purpurea, l’astro alpino, la pulsatilla alpina, il semprevivo montano, la primula orecchia d’orso, il giglio martagone e altri fiori che colorano le numerose cenge.
Ph.: Gettyimages/Manuela Finetti
Sempre sulla parete est, con un po’ di fortuna, è possibile avvistare la maestosa aquila reale che volteggia sfruttando le correnti ascensionali.
In mezzo alle rocce, si possono vedere branchi di mufloni o simpatiche marmotte ritte in piedi al suono di striduli richiami d’allarme.
Il massiccio del Corno alle Scale, zona di protezione integrale, costituisce il fulcro del Parco Regionale rappresentandone la sua punta di diamante sotto il profilo naturalistico e di biodiversità.
Non meno interessanti sono le zone di pre-parco, caratterizzate da connotati rurali, collinari e ricche di storia e tradizioni locali.
Borghi in pietra, antichi metati (o essiccatoi per le castagne), mulini a ruota orizzontale, stalle, fienili.
Altri opifici di attività che un tempo avevano un ruolo determinante nella sopravvivenza delle genti di montagna, abbondano lungo questo tratto di Appennino.
I saggi montanari che da secoli abitano questi luoghi hanno rispettosamente plasmato il territorio adeguandolo alle loro esigenze di vita.
Sono sempre stati pienamente consapevoli che alla base della loro esistenza vi era un uso razionale dell’ambiente e delle risorse naturali.
L’economia del luogo era in particolar modo legata strettamente alla castagna e ai suoi derivati, così come all’allevamento di ovini.
A seguito di un lento ma inesorabile abbandono dei mestieri artigianali legati al bosco, la natura ha progressivamente riconquistato gli spazi sottratti alla vegetazione.
Ha cancellato, come vento sulla sabbia, le sempre più impercettibili tracce antropiche.
Non è inusuale infatti, passeggiando per i sentieri, imbattersi in piazzole per carbonaie.
Il loro terreno nero, già parzialmente ricoperto di giovani arbusti, lascia trapelare l’originario utilizzo del sito.
Anche la presenza rimboschimenti a conifere, atti a stabilizzare i versanti ed ottenere legname pregiato, testimonia l’interazione dell’uomo con l’ambiente.
Altre specie arboree testimoniano uno stretto legame tra la mano dell’uomo e la natura locale.
Così nel caso del castagno, individuabile a quote praticamente montane, e delle roste, terrazzamenti nei pendii per facilitare l’accumulo e la raccolta delle castagne,
Oggi le specie arboree ed arbustive autoctone del nostro Appennino stanno ripopolando spontaneamente i castagneti abbandonati.
Essenze a foglia caduca come la roverella, il nocciolo, il carpino nero e l’acero, ricreano il cosiddetto bosco misto, che caratterizza la fascia collinare dei rilievi fino a circa 900 metri di altezza.
Oltre questa quota si entra nella fascia montana dove predomina il faggio.
Meravigliose faggete ammantano le pendici dei rilievi, giungendo fino al margine superiore della vegetazione arborea.
I 1800 metri costituiscono un limite invalicabile per i questi alberi dall’alto fusto.
Ormai trasformati in cespugli dal gelo e dal vento, devono cedere il passo alla brughiera, al mirtillo e alla prateria, uniche formazioni in grado di resistere ai rigori del clima di alta quota.
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