Sull’Appennino il castagno era considerato l’albero del pane, principale sostentamento per le popolazioni locali, tanto dal divenirne simbolo del paesaggio forestale e culturale, insieme a essicatoi, mulini e villaggi oggi abbandonati.
Siamo in provincia di Alessandria, in Val Borbera, nel comprensorio del comune di Carrega Ligure.
L’itinerario descritto si avvicina al vasto patrimonio di tradizioni e conoscenze correlate alla cultura della castagna, patrimonio della popolazione e oggi divenute oggetto di una forma innovativa di turismo eco-compatibile.
Una volta giunti a Vegni, si parcheggia l’automobile all’inizio del paese e si percorre a piedi, a destra, il primo tratto di strada asfaltata in salita che sopravanza le case dell’abitato.
Il percorso si snoda sotto ai faggi, altre piante tipiche sono l’acero di monte, il nocciolo e il sorbo montano. Giunti ad un bivio, si lascia la carrareccia principale che svolta bruscamente a sinistra per proseguire diritti in mezzo alla faggeta.
Sono trascorsi 20 minuti da quando, seguendo il segnavia nr 242, si raggiunge la Sella dei Campassi (m 1142), un punto panoramico dove alla testata della valle si riconosce la cima dell’Antola con l’inconfondibile croce e sul versante opposto i paesi di Croso, Campassi e Agneto.
Dal colletto si prosegue per il sentiero che inizialmente perde quota per poi risalire immerso nella penombra di esemplari di rovere, cerro e carpine nero.
Enormi castagni inselvatichiti tradiscono la passata presenza di un borgo: infatti, dopo aver guadato due ripidi rii si arriva ai Casoni di Vegni (m 1154); il piano inferiore delle abitazioni era adibito a stalla, al piano superiore vivevano le famiglie, ancora oggi vi si possono trovare panche, mobili e strumenti da lavoro.
Il sentiero passa a ridosso delle case pericolanti e fagocitate dalla vegetazione, si raccomanda pertanto la massima attenzione.
Proseguiamo: una ripida salita il sentiero ritorna in piano e dopo circa mezz’ora si raggiunge Ferrazza (m 1111), villaggio non totalmente abbandonato e posizionato su un piccolo pianoro esposto al sole. Superata una piccola cappelletta con annesso lavatoio, si prosegue a mezza costa e dopo venti minuti si arriva a Reneuzzi (m 1075), frazione definitivamente abbandonata nel 1961.
L’Oratorio dedicato a San Bernardo Abate, con il campanile a vela, fortunatamente ancora in piedi, custodisce un altare e caratteristici affreschi. Delle abitazioni invece non rimane nulla salvo i muri perimetrali, la più curiosa è quella all’inizio del villaggio che ha i muri arrotondati per consentire il passaggio agevole dei carri trainati dai buoi.
Da qui si può proseguire a destra, lungo una mulattiera che scende sul fondovalle dove si trovano il Mulino dei Gatti e il Mulino Gelato, un tempo alimentati dalle acque del rio Campassi.
A Reneuzzi, nel camposanto le tombe sono antecedenti agli anni ’50, l’unica di fattura più recente è quella di Davide Bellomo, nome legato ad un tragico fatto di sangue e qui sepolto su volere dei suoi genitori. Era il 22 settembre 1961 e anche l’ultimo abitante di Reneuzzi se ne era andato.