Il nostro itinerario ha inizio dall’ingresso posto nelle vicinanze dell’Anfiteatro. Varcato il ponte che supera il fossato delle mura di cinta, ecco comparire a destra l’enorme emiciclo dell’Anfiteatro, una grandiosa costruzione capace di ospitare l’intera popolazione pompeiana dell’epoca. L’imponente edificio fu ricavato nella zona sud/orientale della città grazie alle sfruttamento di un terrapieno che si ergeva a ridosso delle mura. In esso, oltre agli spettacoli ludici realizzati dai combattimenti dei gladiatori, venivano presentati anche altri duelli come la “venatio”, crudeli lotte dell’uomo contro le fiere, eppure quelle delle bestie feroci con gli animali domestici e dei felini contro cervi e gazzelle. Due elementi emergevano dall’indole dei pompeiani che assistevano agli spettacoli offerti nell’arena: la crudeltà del piacere tratto dallo spargimento di sangue ed il coraggio espresso dai combattenti. Oggi, la funzione dell’arena è stata ripresa offrendo sia spettacoli teatrali che musicali. Accanto all’Anfiteatro vi è l’enorme spazio aperto, circondato da un colonnato, della Grande Palestra ove s’allenavano i gladiatori prima di esibirsi nell’arena. Aggirando l’Anfiteatro si raggiunge l’antico ingresso occidentale della città, all’altezza della Porta di Sarno; spogliata dagli stessi pompeiani che utilizzarono i suoi elementi decorativi per abbellire le proprie abitazioni, per essa transitavano numerose carovane e mercanti qui costretti a fermarsi per il pagamento del pedaggio. Per la porta transita la Via dell’Abbondanza, l’arteria stradale più lunga di Pompei che l’attraversa da un lato all’altro della città. Veniamo così a trovarci sulla più grande e più lunga tra le strade pompeiane, il “decumano major’; la cui carreggiata è pavimentata con blocchi poligonali in pietra calcarea e lavica. I bordi dei marciapiedi presentano un’altezza che va dai 30 ai 50 centimetri ed il transito dei pedoni era facilitato non solo dall’ampio spessore di questi ultimi ma, vista la tendenza di questa strada ad avere il centro più alto, lo scolo delle acque piovane avveniva per mezzo di cunette laterali poste al di sotto dei marciapiedi; il passaggio da un lato all’altro della strada era reso possibile camminando su grossi blocchi di pietra (collocati parallelamente ai bordi) disposti in modo tale da lasciare lo spazio per permettere il passaggio alle ruote dei carri; molto simili, nelle intenzioni, alle odierne strisce pedonali poste agli incroci delle grosse metropoli. Proseguendo ora lungo il percorso di Via dell’Abbondanza che da Porta di Sarno conduce a Porta Marina, si cercherà di offrire, andando alla conoscenza tra le antiche pietre, le pareti, gli ingressi e le colonne delle case, delle ville e di altri edifici, una visione descrittiva di quella che poté essere, con molta probabilità, la vita a Pompei durante le ultime settimane prima della grande tragedia. A sinistra s’incontra la Villa di Giulia Felice ritornata alla luce nel 1757 per volere dei Borbone. Essa presenta un unico corpo cinto da mura e distribuita, al suo interno, da ambienti polifunzionali: abitazione; bagno pubblico con le retrostanze del frigidario, tepidario, calidario e laconicum (bagno di sudore); negozi; osteria con locali da affitto; orto e fruttetto con giardino porticato. È, questa, una delle strutture abitative più grandi dell’intera città e non a caso la sua posizione è posta nelle vicinanze della Porta di Sarno. Accanto ad essa, sempre sulla sinistra, troviamo le case di Venere e di Loreio Tiburio. Due insule successive, sempre sulla sinistra, incontriamo la bottega del Fornaio di Soterico. Questo edificio era un’abitazione con bottega e locale di vendita al piano stradale mentre il panificio, lo spazio della preparazione e della cottura delle “forme”, conteneva quattro mulini, un forno con serbatoio ad acqua, una stanza per l’impastatrice, tavolati e scaffalature in legno, un deposito per il grano e una piccola stalla per il ricovero degli asini. Ancora quattro insule e, all’altezza della Casa del Sacerdote Amandus, si volge a sinistra scendendo per un cardo che sfiora, sulla destra, la Casa del Criptoportico fino a raggiungere la Casa di Menandro, il famoso scrittore di trame e poemi tragici; una bellissima abitazione in cui, durante gli scavi che le hanno ridato la luce, sono stati ritrovati numerosi reperti in argento come borse, monete, contenitori, monili, utensili, ecc. In fondo al vicolo compare una muratura ad “opus” che cinge un enorme terrapieno costituente quell’esteso ammasso di pietre, lapilli ed erbacce che oggi ricoprono questa parte di Pompei (la Regio I) colma di terra, nascosta da 2000 anni e che aspetta ancora di essere scavata. Si aggira l’isolato, sfiorando la Casa degli Amanti, e si perviene al decumano maggiore risalendo lungo lo stretto Vico di Tesmo. Raggiunta nuovamente Via dell’Abbondanza, all’incrocio con la Casa dei Citarista e proseguendo verso occidente, si lascia sulla destra la Casa di Epidio Rufo e, mentre appena si è in vista dell’enorme complesso delle Terme, si prende a salire sulla destra lungo la principale Via dei Vesuvio. Scoperto nel 1858, l’edificio delle Terme di Stabia risale ad epoca sannitica e si trova in uno del punti più frequentati e di facile accesso al centro della città. La particolarità di queste terme era la suddivisione dei bagni in spazi riservati alle donne separati da quelli degli uomini, la cui frequentazione veniva regolamentata tramite l’uso di un quadrante solare che garantiva l’accesso ai servizi per tutti i bagnanti. Continuando sempre a salire lungo la Via del Vesuvio (Cardo maximus), tre insule dopo le Terme compare, sulla destra, il più grosso edificio delle Terme Centrali, posto alla confluenza tra la Via di Noia e la Via della Fortuna (Decumano maximus). Si prosegue in leggera salita per Via del Vesuvio e si lasciano la Casa di Orfeo, sulla sinistra, e la Casa di Cecilio Giocondo sulla destra; si oltrepassa poi un successivo incrocio e si transita accanto alla Casa degli Amorini dorati che si trova a sinistra, fino a giungere presso la Porta del Vesuvio, una tra le più frequentate dell’antica città. Inserita nella cinta muraria settentrionale ed eretta dai sanniti, essa fu seriamente danneggiata dal sisma del febbraio del 62 d.C.
Si rientra in città discendendo per il Vico dei Vettii fino ad incrociare il Vico di Mercurio. Raggiunto questo, si volge a destra e si è alla Casa dei Vettii. Ritornata alla luce nella seconda metà del primo decennio del XX secolo questa è sicuramente la casa più visitata, frequentata e famosa di tutta Pompei. Con il suo cortile interno porticato la casa mostra, attraverso i suoi ambienti, tutte le forme espressive dell’arte, dei costumi e del vissuto quotidiano della Pompei degli anni migliori. Ritornati sul decumano, di fronte alla Casa dei Vettii, si apre l’ingresso settentrionale della Casa del Fauno. Proseguendo ancora lungo il Vice dl Mercurio, quattro insule dopo la Casa dei Vettii si perviene alla Strada Consolare. Volgendo infine a destra, si transita attraverso la Porta d’Ercolano, (o Erculanea) posta nella parte occidentale della città. Superato il varco si apre un percorso extraurbano con una strada a tre corsie, di cui quella centrale era riservata per il transito dei carri e le due laterali per i pedoni. Questa porta era indicata anche come la Porta del Sale poiché da qui transitava il prodotto che proveniva direttamente dalle saline della vicina costa. Uscendo dalla città si apre la Strada dei Sepolcri che presenta, su entrambi i lati, una successione di tombe e di botteghe lungo un percorso di circa 200 metri. Questa strada, indicata anche come la Via delle Tombe, compare improvvisa appena fuori le mura ed offre una parte di città ricca di stele marmoree, are, cippi, edicole e recinti funebri allineati a perdita d’occhio lungo una grande arteria pavimentata con pietra nera vesuviana su cui s’affacciavano tabernae, osterie e sontuosi accessi di ville. A tergo di questi mausolei è possibile riconoscere quelli che sono i resti di alcune tra le ville extraurbane più belle presenti nella Pompei romana; e così a destra, verso nord, si apre la Villa delle Colonne a Mosaico mentre a sinistra, in direzione sud, compare la Villa di Cicerone. Questa scenografica composizione di reperti si chiude, sullo sfondo a sinistra, con l’imponente struttura della Villa di Diomede edificata sui livelli sfalsati delle pendici vesuviane e con un giardino collocato più in basso rispetto agli altri ambienti prospicienti la strada. Al culmine di questa, un bianco brecciolino attraversa dei frutteti e conduce a quella che è, forse, la più enigmatica tra le residenze dell’antica Pompei: Villa dei Misteri. Qui, più che altrove, si riscontra di come il pompeiano dedicasse una gran parte della sua giornata all’espletamento dei suoi doveri religiosi all’interno della propria abitazione; ed è in questa che su alcune pareti sono raffigurati una serie di affreschi legati al misterioso culto di Dionisio (il dio Bacco), una benevola e universale divinità del mondo romano. Dio del vino, nonché turbolento liberatore del genere umano esso, qui, rappresenta i simboli dell’irrazionalità e dell’irrefrenabilità della natura umana. Gli ambienti interni di questa casa, ieri come oggi, giocano un ruolo determinante poiché la loro distribuzione favorisce quelle che, probabilmente, erano le atmosfere dell’epoca: grandi spazi interni, cunicoli e corridoi, portici e colonnati, retrostanze e nicchie, un continuo ed alternarsi gioco di luci e di ombre, un intrecciarsi di pieni e di vuoti, di spigoli e di rientranze. Tutto ciò determinò, forse, quello che era uno dei “misteri” della Pompei dell’epoca: un luogo deputato non solo al culto e alla preghiera, ma anche un ambiente ove avevano accesso solo gli eletti o gli iniziati. Ritornati lungo la Via delle Tombe, Strada dei Sepolcri si attraversa nuovamente la Porta Erculanea rientrando in città e proseguendo lungo la Via Consolare fino alla biforcazione col Vico del Farmacista. Al bivio si prende a sinistra e si raggiunge la Via delle Terme. Qui, subito a sinistra, si para l’ingresso della Casa di Pensa e, successivamente, la Casa del Poeta Tragico, un’elegante abitazione d’epoca imperiale, racchiusa intorno ad un atrio tuscanico e la cui facciata presenta due botteghe laterali ed un ingresso “fauces” caratterizzato da un mosaico raffigurante il “cave canem” alla catena. Uscendo sulla strada, di fronte a quest’ultima compaiono quelle che erano le botteghe esterne. Attraversata la Via di Mercurio ha inizio la Via della Fortuna e due insule dopo, sulla sinistra, compare l’ingresso meridionale della Casa del Faun o. Racchiusa interamente in un insula, questa è un grosso complesso abitativo d’origine sannitica suddivisa in due parti ben distinte: il Grande Peristilio, con 44 colonne doriche rivestite di stucco e situato a N, ed il Peristilio nel centro, con colonne ioniche in blocchi tufacei. In essa sono raffigurati affreschi parietali e mosaici decorativi in puro stile pompeiano. L’atrio tuscanico che s’apre dall’ingresso di Via della Fortuna conserva la copia della statuetta ellenistica del fauno danzante. Dalla Via della Fortuna si lascia la Casa del Fauno e, proseguendo verso oriente, si discende per la prima svolta a sinistra lungo il tortuoso Vicolo Storto che conduce alla Via degli Augustali; raggiunta questa, si continua sempre a sinistra lungo il Vico del Lupanare. Proprio all’altezza delle Terme Stabiane e all’incrocio col Vico del Balcone Pensile, compare l’insolito edificio del Gran Lupanare, una casa a due piani con angoli obliqui che era uno dei venticinque bordelli “autorizzati” dell’intera città ad essere costruiti e attrezzati per queste specifiche funzioni. Il suo accesso, per mezzo di un breve corridoio, conduce in una serie di stanze aventi giacigli in muratura sui quali erano adagiati materassi imbottiti di paglia; sull’ingresso di ognuna s’intravedono parzialmente conservati, graffiti e dipinti: raffiguranti varie posizioni erotiche che suggerivano, al clienti, le varie specializzazioni praticate in quella camera. Eccoci allora giunti nuovamente su Via dell’Abbondanza e subito varcare, sulla sinistra, l’ingresso delle Terme Stabiane: una ricca configurazione di ambienti grossi e piccoli che ruotano intorno alla Palestra centrale (del V/IV secolo a.C.), alla vasca del “nataio” sistemata ad occidente e a “calidario”, posto a oriente. Dalle Terme ora si scende lungo la Via Stabiana, e dopo aver passato sulla desta la Casa dl Cornelio Rufo, si giunge all’altezza della zona dei Teatri che si aprono a destra. Entrando e scendendo una serie di gradini compare a destra la gradinata del Piccolo Teatro (o Teatro coperto) dell’ 80 a.C., detto “Odeon” e che ospitava piccoli rappresentazioni o concerti. Uscendo da esso si apre un grande peristilio che dà su di un ampio piazzale che serviva da campo per le esercitazioni della vicina Caserma dei Gladiatori. Seguendo invece a destra per un grande portico in tufo si accede alla platea del Teatro Grande (o Teatro scoperto) di Pompei. Considerata la costruzione più antica della città fino ad oggi conosciuta essa, probabilmente, risale al VII/VI secolo a.C.; l’originaria struttura fu ricavata da una cava naturale seguendo precisi principi d’ingegneria ellenica. Ancora verso ponente, uscendo dal Teatro, si entra nell’inconsueto spazio del Foro Triangolare ove sono presenti i resti di un antico tempio dorico di origini italiche risalenti al VI secolo a.C.; tale edificio fu cinto, in epoca sannitica, da un portico in tufo utilizzato per le attività sportive e ricreative. A monte del Foro compaiono, sulla destra, la Palestra Sannita e il Tempio di Iside. Quest’ultimo, interamente raso al suolo dal terremoto del 62 d.C., era uno dei luoghi di culto (tra i più antichi in Campania) più frequentati dai pompeiani capaci dl comprendere, dall’aristocrazia al popolino, una moltitudine di “seguaci” suggestionati da questa divinità egizia. Uscendo dall’area del Foro triangolare si tralasciano le strade che s’aprono a destra e a sinistra e s ‘imbocca la Via dei Teatri che si sviluppa verso N fino a ritornare su Via dell’Abbondanza. Giunti su questa, si prende a sinistra e si prosegue fino a sfociare nell’immenso e geometrico spazio determinato dagli edifici e dai templi che compongono il Foro Civile. Il suo sviluppo ebbe inizio da una piazza che fungeva da mercato in epoca presannitica e da un primitivo insediamento osco posto all’incrocio di vie annonarie territoriali. Lentamente questo spiazzo divenne il centro di un piccolo nucleo abitativo e raggiunse le attuali dimensioni intorno al V secolo a.C.. Intorno al Foro cominciarono subito a sorgere edifici pubblici e luoghi di culto. A settentrione si erge il Tempio di Giove, mentre a mezzogiorno si scorgono i resti delle Curie, sede dell’amministrazione municipale. Entrando nel Foro, dalla Via dell’Abbondanza, subito a destra compare lo splendido complesso architettonico dell’edificio di Eumachia Sacerdotessa pubblica, appartenente ad una delle più antiche e benestanti famiglie di Pompei (gli Eumachii), fece erigere questo complesso destinandolo a sede di una delle “corporazioni” (specie di sindacato dell’epoca) di lavoratori più attive del tempo: i Folloni. Tali spazi, indicati anche come “Borsa della Lana”, erano adibiti per le attività e la vendita di articoli legati al manufatto; tavoli, arredi e mercanzie probabilmente erano collocati lungo i corridoi che scorrevano tra il colonnato. Un altro spazio, di dimensioni più contenute, si apre sul fianco settentrionale dell’edificio di Eumachia: esso è il Tempio di Vespasiano. Al centro si erge un altare in marmo bianco ove è rappresentata una scena di sacrificio che rammenta e ne tramanda il ricordo per il culto dell’imperatore augusteo. Al lato N di quest’ultimo si aprono gli ardimentosi spazi del Santuario dei Lari, i cui ambienti furono sapientemente abbelliti da ricche decorazioni marmoree. Chiude l’angolo nord/orientale del Foro l’enorme spazio rettangolare del Macellum, il mercato coperto (generi ortofrutticoli). Eretto in epoca imperiale quest’ambiente era circondato da un portico sotto cui erano sistemate, lungo i lati e secondo una serie di spazi equamente distribuiti, numerose botteghe. Nello spazio al centro vi era il Tholus, il mercato coperto riservato alla vendita dei prodotti ittici. L’edificio che compare di fronte al mercato, è il Tempio di Giove. Collocato nella parte settentrionale, esso chiudeva a nord l’area del Foro dominando, con la sua facciata, il suo ingresso e il suo colonnato, il centro della vita pubblica e religiosa di tutta Pompei. Nella sua cella interna si venerava la triade degli dei capitolini, a simbolo e testimonianza della fedeltà a Roma: Giove, Giunone e Minerva. Il versante orientale del Foro ha così schierato una serie di edifici pubblici che hanno il loro punto di culmine nell’Arco di Tiberio, che si erge alla destra del Tempio di Giove. Mentre a sinistra, dopo un arco commemorativo troviamo gli ampi spazi dell’Horreum, i magazzini a tutt’oggi riutilizzati con le stesse funzionalità di un tempo: deposito di materiali estratti dalle precedenti campagne di scavo. Ecco dunque comparire, al termine dei magazzini, l’enorme spazio in cui si ergeva il Tempio di Apollo. L’area di quest’ultimo, contraddistinto da un colonnato In tufo e stucco, era stata ricavata presso un’altura che dominava la struttura urbanistica dell’intera città. Il Tempio di Apollo chiude a S facendo angolo con Via Marina, mentre sul lato opposto sorge ciò che resta della Basilica (II secolo a.C.), il luogo più frequentato dell’antica Pompei, là dove si esercitavano le funzioni sia dell’amministrazione pubblica che della giustizia. Dalla Basilica, proseguendo in direzione delle sbocco di Porta Marina, incontriamo sulla sinistra i resti del Tempio di Venere Pompeiana, un sacro edificio dedicato al culto della dea protettrice della città e la cui sistemazione, non a caso, fu creata presso la vicina Porta Marina, uno dei più importanti accessi a Pompei durante l’epoca imperiale. Viandanti, mercanti e semplici passanti, sia in entrata che in uscita dalla città, non potevano fare a meno di poter dedicare un saluto e un ringraziamento alla dea madre della “civita” pompeiana. Il nostro periplo, che ci ha condotto alla conoscenza di una delle città più antiche e meglio conservate, tramandataci dai gloriosi fasti dell’epoca Imperiale e, ancor più indietro nel tempo, da quelle civiltà preitaliche, termina presso Porta Marina, nella zona sud/orientale di Pompei. Tutte ciò che è emerso fino ad oggi dalla polvere magmatica è solo una parte del perimetro urbano della Pompei originaria. Fin dai primi decenni del XX secolo ebbe inizio una sistematica e razionale metodologia scientifica nella conduzione delle opere di scavo. Durante l’arco di un quarantennio (1924-1961) l’archeologo Amedeo Maiuri condusse le operazioni di scavo eseguendo una tecnica a strati restituendo, così, una cronologia storica il più vicino attendibile alla realtà del luoghi dell’epoca. Molto si aspetta oggi dai restauri programmati per il recupero di ciò che è tuttora sepolto, sia progetti ministeriali che interventi pubblici o privati ma, purtroppo, molto ancora resta da fare per far sì che erbe, inquinamento, umidità, degrado, danni geomorfologici e determinati da eventi atmosferici e, soprattutto, l’enorme e continua marea di turisti (molto spesso trasformati in vandali) non diano il “colpo di grazia” definitivo alle pur fragili strutture che hanno resistito, fino ad oggi, per oltre 2000 anni.