Alla scoperta della Civiltà Mineraria della Sardegna
L’evento che si è tenuto nei giorni scorsi a Laconi e Iglesias, dedicato alla presentazione delle opportunità offerte dalla regione Sardegna nel settore dei camministorici e religiosi, è stato l’occasione per approfondire la conoscenza dello straordinario patrimonio turistico e culturale rappresentato dalla civiltà mineraria che da tempi antichissimi ha segnato la storia e le tradizioni dell’Isola.
Nel corso dell’evento, infatti, è stato presentato alla stampa e agli operatori turistici l’affascinante percorso del Cammino Minerario di Santa Barbara, un itinerario escursionistico a tappe che si articola nel territorio di Iglesias, collegando le storiche aree di miniera con le località dell’entroterra e la chiesette rurali, antichissimi luoghi di devozione popolare.
“Circa seimila anni avanti Cristo, in Sardegna, l’attività mineraria ebbe inizio con la lavorazione dell’ossidiana“, spiega il Dott. Luciano Ottelli, direttore del Parco Minerario Storico e Ambientale della Sardegna.
“L’antica civiltà nuragica lasciò importanti resti delle attività metallurgiche in cui primeggiano le lavorazioni in rame di cui i famosi “bronzetti” sono le testimonianze più rappresentative – continua Ottelli – Successivamente, popoli diversi, Fenici e Cartaginesi si interessarono a questi giacimenti. Soprattutto i Romani lasciarono importanti testimonianze, le quali ci richiamano alle voci remote dei “Damnati ad metalla” il cui significato e legato allo stato di condanna ai lavori forzati nella miniera per i nemici di Roma. Tra i condannati si ricordano, nel 190 d.C., il vescovo Callisto che, liberato, diventerà Papa, e il Papa Ponziano, che morirà nelle miniere sarde nel 235. La dura vita dei minatori venne magistralmente descritta da Lucrezio nel “De Rerum Natura”.
Con la fine della dominazione romana si affievolì l’attività mineraria. Soltanto nella seconda meta del XIII secolo, nel corso della dominazione pisana, riaffiorano le testimonianze della ripresa dei lavori minerari in Sardegna.
Il rifiorire dell’attività estrattiva si deve soprattutto al pisano Conte Ugolino della Gherardesca, che Dante Alighieri immortalerà nella Divina Commedia. Egli fece di Villa di Chiesa, l’attuale Iglesias, una fiorente città mineraria, anche in grado di battere una propria moneta con l’argento estratto nelle miniere del circondano. Lo sviluppo di tale attività impose l’adozione di precise norme legislative, che, redatte in lingua pisana originale, sono riunite in un codice noto come “Breve di Villa di Chiesa”.
Con la fine della dominazione pisana e l’inizio di quella aragonese, l’attività mineraria quasi svanisce in Sardegna. È solo a partire dalla seconda meta del XIX secolo che l’industria mineraria sarda, grazie alla conduzione di tecnici e amministratori di grandi capacita, riprende notevole fervore produttivo realizzando crescenti produzioni di galena argentifera, di blenda e di calamina.
Nel secolo XX ebbe notevole sviluppo anche l’attività carbonifera. II periodo florido delle miniere sarde ha fine alle soglie del terzo millennio.
Oggi le miniere non sono più in produzione, ma sono diventate giacimenti culturali di interesse internazionale. A questa civiltà mineraria sono strettamente legati i nomi degli oltre 1700 minatori che sono caduti sul lavoro nelle miniere dell’Isola in poco più di un secolo e mezzo di attività.
Ciò che rimane oggi nella nostra Isola della “Civiltà Mineraria”, può essere considerato un libro nelle cui pagine si apprendono avvenimenti e vita di un glorioso passato industriale“.