Ma perché un personaggio già entrato, ai tempi della salita del 1959, nel mito e nella storia dell’alpinismo avrebbe dovuto inventare una storia senza fondamenti?
Cesare Maestri. Patagonia, 1958. Agli antipodi del Mondo, in un luogo ancora avvolto dall’ignoto e che pochi umani hanno raggiunto, si sta combattendo una battaglia alpinistica tutta italiana.
In quelle regioni desolate e ostili, sconvolte dai venti polari e dalle tempeste originate dagli oceani Pacifico e Atlantico si scontrano a poche miglia di distanza, c’è la montagna più bella e difficile del pianeta: il Cerro Torre.
L’ha scoperta, solo pochi anni prima, un altro leggendario esploratore italiano, Padre Alberto Maria De Agostini, che ha dedicato oltre cinquant’anni di vita all’esplorazione delle remote regioni del continente sudamericano.
Ben due spedizioni, che raccolgono il meglio dell’alpinismo e dell’arrampicata mondiale di quegli anni, si sfida- no aggrappandosi, su due versanti opposti, ai graniti lisci e ghiacciati di un monolito di pietra verticale di novecento metri di altezza.
Da una parte Walter Bonatti e Carlo Mauri, dall’altra Bruno Detassis e Cesare Maestri.
Il Torre si presenta subito per quello che è: una montagna “impossibile”, e le due spedizioni rientreranno in Italia senza alcun risultato.
Ma Cesare Maestri, già allora una leggenda internazionale dell’arrampicata, è conosciuto anche per un suo motto: “Non esistono montagne impossibili, ma solo uomini incapaci di scalarle!”
Negli anni Cinquanta, l’alpinista trentino è famoso col soprannome di “Ragno delle Dolomiti” e considerato uno dei migliori arrampicatori del mondo, con un curriculum impressionante di salite estreme, gran parte delle quali realizzate in solitaria, e spesso in salita e in discesa, senza mezzi di protezione e assicurazione.
Un autentico fenomeno in anticipo di almeno vent’anni su quello che diventerà il free climbing, l’arrampicata moderna.
Cesare Maestri è di nuovo sui graniti del Cerro Torre. Con lui c’è il bolzanino Toni Egger, non un alpinista qualsiasi, ma quello che è considerato uno straordinario arrampicatore su granito, e soprattutto il più forte ghiacciatore del dopoguerra, avendo già compiuto imprese memorabili sulle montagne andine, tra cui la prima salita del Nevado Jirishanca, il “Cervino delle Ande”.
Come Maestri, anche Egger è un fenomeno che anticipa, di almeno una generazione, quelle che saranno le moderne tecniche di arrampicata su ghiaccio. Una cordata di autentici fuoriclasse, i migliori della loro epoca nelle due rispettive discipline, arrampicata su roccia e ghiaccio.
Per l’assalto al Cerro Torre, la “montagna impossibile” non si può avere di meglio.
Al Campo Base, ai piedi della montagna, li aspetta Cesarino Fava, altro alpinista trentino che da anni vive in Argentina.
È stato lui, l’anno prima, a scatenare le ambizioni del “Ragno delle Dolomiti” mandandogli una cartolina con una sola frase: “Cesare, devi venire in Patagonia, qui c’è pane per i tuoi denti.”
Negli anni ’50 non ci sono telefonini o tecnologie in grado di comunicare con gli alpinisti in parete, e da molti giorni Cesarino non ha più notizie dei due fuoriclasse impegnati sull’impressionante parete est del Torre.
Le tempeste patagoniche flagellano la zona e solo a tratti, per pochi secondi, si può scorgere qualche frammento della montagna. Tutti i giorni, Fava sale dal campo alla base della parete, nella speranza di incontrare gli amici di ritorno dalla scalata. Anche quella mattina, 3 febbraio 1959.
Ma sono troppi giorni che Toni e Cesare sono in parete, hanno sicuramente finito le scorte di viveri e lo sconforto attanaglia i suoi pensieri… se neppure oggi scendono, dovrà tornare a valle, al Chalten, un avamposto militare dove soggiornano alcuni gendarmi argentini a guardia dei controversi confini col Cile, per tentare di organizzare una spedizione di soccorso.
Immerso in queste nefaste considerazioni, intravede una macchia scura sul ghiacciaio ai piedi del Cerro Torre… è Cesare Maestri. In fin di vita. Di Toni Egger nessuna traccia.
Cesare Maestri racconterà di aver raggiunto la cima e, in mezzo alla tormenta, aver iniziato la discesa a corde doppie senza neppure riuscire a vedere dove stavano andando.
Durante una di quelle operazioni, una valanga era precipitata dalla parete travolgendo Toni Egger e gran parte del materiale, compresa la fotocamera in cui erano presenti gli scatti realizzati sulla sommità del Cerro Torre.
Alcuni poveri resti di Egger verranno trovati, sul ghiacciaio del Torre, solo nel 1974, ma nel frattempo si sono già scatenate le polemiche su quella salita “impossibile”, alimentate dalla mancanza di qualsiasi riscontro fotografico.
Tanti grandissimi alpinisti cercheranno, nei decenni successivi, di ripetere la “Via Maestri” sulla parete est, ma sarà un altro italiano, Ermanno Salvaterra, solo 45 anni dopo, a ripercorrere alcuni tratti della via del 1959.
Ciclicamente, alpinisti e stampa specializzata di tutto il mondo hanno messo in dubbio, sempre più accanitamente, la salita di Maestri ed Egger, formulando ipotesi, ricostruzioni, immagini fotografiche, scovando apparenti incongruenze e dettagli non precisi nella relazione della scalata compiuta da Cesare Maestri.
A novant’anni, il “Ragno delle Dolomiti”, un tempo famoso per la sua irruenza e per l’energia con cui ha sempre difeso le sue salite e le sue scelte, ha perso la voglia e la grinta per difendersi, e appare come un vecchio guerriero incapace di comprendere perché, dopo aver combattuto e vinto mille battaglie, venga messo in dubbio il suo onore, ancor prima delle sue, universalmente riconosciute, conquiste alpinistiche.
Che, per contrappasso, sono state premiate nel corso dell’ultimo Film Festival di Trento – tra i più importanti eventi mondiali dedicati alla montagna e alle imprese alpinistiche – con la Genziana d’Oro alla carriera. Un riconoscimento certo e indiscutibile alla straordinaria, e per certi aspetti ineguagliabile, avventura di Cesare Maestri sulle montagne della Terra.
Molti sostengono di no. Autentici “microbi”, nella storia dell’alpinismo, personaggi come Rolando Garibotti, il più feroce accusatore del grande arrampicatore trentino, che ha passato anni a studiare e analizzare al microscopio fotogrammi di parete per riuscire a sostenere che Maestri ha mentito.
Hayden Kennedy e Jason Rurk, che nel 2012 hanno compiuto la “eroica impresa” di schiodare la Via del Compressore (realizzata, sempre sul Torre, da Cesare Maestri nel 1970), una sorta di monumento storico dell’arrampicata artificiale mondiale, in nome di una “etica alpinistica” che equivale, in campo artistico, a bruciare le opere di Picasso, Pollock o Lucio Fontana perchè hanno creato dei “capolavori” semplicemente facendo righe, gettando colori o tagliando una tela.
Questi, e tanti altri individui loro pari, nonostante la loro brama di notorietà sublimata nell’attacco a Maestri, sono già stati cancellati da una quotidianità che, anche nel mondo alpinistico, macina in modo frenetico e veemente successi, polemiche, imprese e protagonisti.
Diversa la posizione di Messner. Anche lui, per quasi trent’anni, accusato (e solo recentemente scagionato) dalla stampa mondiale di aver abbandonato e sacrificato il fratello sul Nanga Parbat nel 1970.
Forse per una perversa forma di difesa, e per dimostrare che non era l’unico “grandissimo” in campo alpinistico ad avere buchi neri nel proprio passato, dagli anni ’90 ha iniziato a mettere in dubbio la salita di Maestri. Con un accanimento cresciuto nel corso degli anni mascherato da bisogno di ristabilire la “verità storica”.
Io credo che, in ogni aspetto della realtà umana, a volte bisogna fare un atto di fede. Ed è quello che, da assoluto agnostico quale sono, faccio nei confronti di Cesare Maestri.
Non perchè ho avuto la fortuna di conoscerlo (conosco anche quasi tutti gli altri). Ma perché, in base a infinite prove documentate, può essere considerato uno dei più grandi arrampicatori di tutti i tempi, anche senza il Cerro Torre.
Lo stesso vale per Toni Egger. Perciò la domanda è elementare: perché un personaggio già entrato, ai tempi della salita del 1959, nel mito e nella storia dell’alpinismo avrebbe dovuto inventare una storia senza fondamenti?
Può, una fotografia o un’ipotesi formulata a posteriori su indizi spesso inconsistenti, valere più della parola di un uomo che ha compiuto, osservato da infiniti testimoni, molte altre imprese all’epoca considerate altrettanto “impossibili”?
L’impresa sul Cerro Torre non ha apportato una sostanziale modifica al curriculum straordinario di uno dei più grandi interpreti e precursori dell’arrampicata moderna, e allora, perché inventare una salita?
Cesare Maestri è, a pieno diritto, nell’olimpo universale dell’Alpinismo.