È il 27 Dicembre 1987, il vento soffia sulle montagne intorno a Breil. Alpi Marittime. È l’inizio dell’inverno. La neve veste col suo manto bianco le foreste di pini silvestri.
Un gruppo di cacciatori avventuratisi tra le montagne cerca di riconoscere sul terreno le tracce lasciate dal cinghiale. È l’alba, i raggi del Sole si fanno strada a fatica tra gli alberi, l’ora perfetta per cacciare.
Quello che i cacciatori ancora non sanno è che quella stessa mattina, in quei luoghi, l’uomo non è l’unico predatore. Ce n’è un altro, più silenzioso, più antico, altrettanto intelligente, che perlustra i boschi in cerca di cibo.
È un attimo: d’improvviso qualcuno scorge un orma, la riconosce.
Non è l’orma del cinghiale. È inconfondibile. È l’impronta del Lupo. L’uomo, alla ricerca della sua preda, disegnando la propria pista ha incrociato quella dell’antico predatore. Potrebbe essere più d’uno, forse una piccola famiglia.
Tra i cacciatori un po’ di sgomento, di incredulità, il lupo non appare da queste parti da più di sessant’anni.
Ma i dubbi si sciolgono con i primi raggi del Sole. I segni della sua presenza sono proprio quelli raccontati dai vecchi del paese. Non c’è tempo di dubitare oltre. Le piste dei due predatori si incrociano ancora.
Si trovano. Si guardano. Un colpo di fucile: il lupo è abbattuto. Ma la sua morte porta con se una buona notizia: il cacciatore erratico, che si pensava finito, è tornato.
E, risalendo la Penisola lungo l’Appennino, riappropriandosi dei territori che già erano stati suoi, è arrivato fin qui, dove era scomparso da quasi un secolo.
Il Lupo appenninico (Canis lupus italicus) è una presenza di antica consuetudine nella penisola.
Si valuta che alla fine del XVIII secolo gli esemplari di questo predatore fossero così numerosi che se ne poteva riscontrare la presenza non soltanto nel suo habitat di elezione tra boschi e colline, ma addirittura in pianura e lungo le coste.
L’aumento della popolazione, lo sviluppo delle aree urbane e, ancora prima, l’estensione delle aree destinate dall’uomo alla produzione ed all’allevamento, furono, nei secoli successivi, la ragione principale di pericolo per la sopravvivenza di questo canide.
Il Lupo si vide gradualmente sottrarre parti sempre più vaste dei suoi territori, trasformati dall’avanzata dell’uomo che li plasmò ai suoi bisogni.
Dovette ritirarsi dai boschi di pianura perchè gradualmente i boschi stessi scomparvero, sottraendogli importanti aree di rifugio e costringendolo a cercarne di nuove tra nell’Appennino.
Sulle Alpi, il lupo italico riuscì a resistere fino ai primi decenni del Novecento.
Uno degli ultimi esemplari di quegli anni venne abbattuto in Piemonte nel 1923. In Sicilia invece, la presenza è testimoniata ancora sulle Madonie negli anni ’40.
Agli inizi degli anni Settanta, l’esistenza della specie è ormai in pericolo.
Si calcolavano poco più di un centinaio di esemplari raggruppati tra l’Appennino abruzzese e quello calabro.
Il rischio di estinzione sollevò una campagna di sensibilizzazione che culminò nel 1971 nell’approvazione di un decreto ministeriale che fece del Lupo un animale protetto e che vietò di somministrare bocconi avvelenati.
Questa operazione ha salvato la specie dall’estinzione.
Il Lupo ha via via riconquistato le sue antiche tane. Ad oggi si valuta che la popolazione sia di circa 6-700 individui, presenti in modo continuo lungo tutta la catena appenninica da Sud a Nord, fino alle Alpi.
L’unità fondamentale di organizzazione sociale è il branco, formato da una coppia, uno o due cuccioli dell’anno. Una vera e propria piccola famiglia.
Raramente il lupo appenninico si raggruppa in un numero maggiore di individui, anche se la consistenza del gruppo varia da luogo a luogo.
Ad esempio in Abruzzo al massimo i gruppi constano di 6- 7 esemplari, mentre sulle Alpi sono ancora più piccoli. I singoli esemplari possono trascorrere ore da soli, ma tornano sempre al branco, per passare insieme le ore di riposo. Quella del Lupo che viaggia da solo, insomma, è una leggenda.
Il Lupo è innanzitutto un animale sociale. Il Lupo solitario, ovvero estromesso dal branco, non ha probabilità di sopravvivenza.
La caccia agli ungulati è piena di rischi: non sempre gli assalti hanno successo e ancora una volta il branco può rivelarsi decisivo, quando si tratta di affrontare prede particolarmente grandi.
Quando il cibo scarseggia, i lupi sono in grado di nascondere sottoterra bocconi di carne per ritrovarli a giorni di distanza. Il lupo finisce le prede con un solo preciso morso alla giugulare che non da scampo alla vittima, paralizzata dallo schock vasomotorio.
Il ritorno dell’antico predatore ha consentito di recuperare intere parti di ecosistemi che hanno dovuto essere ricostituiti.
Per consentire al Lupo di procacciarsi il cibo, vaste aree sono state ripopolate con le sue prede più gradite, gli ungulati selvatici (daini, caprioli, cervi), riducendo al minimo i temuti rischi di assalti al bestiame, per mancanza di cibo.
Un circolo virtuoso: salvaguardia di una specie in pericolo, ricostituzione di un ecosistema.
Oggi in molti parchi lungo l’Appennino il Lupo è protetto e , in alcuni, più facilmente avvistabile.
Dai suoi tradizionali feudi in Abruzzo (Parco Nazionale d’Abruzzo e nel Parco della Majella che ha dedicato un’area faunisitica e il proprio logo), risalendo fin sull’Appennino Tosco-emiliano (dove è presente tra l’altro nel Parco dei Cento Laghi e nel Parco delle Foreste Casentinesi) e poi in Liguria (Parco della Val d’Aveto, primi anni Ottanta) e ancora nel Parco delle Alpi Liguri.
Il lupo, forse, non è poi così cattivo.