In Italia l’orso è una specie protetta: le origini della tutela

Risale al testo unico sulla caccia del 1939 la prima norma a tutela dell’orso, con riferimento all’art. 38, che prevedeva il divieto assoluto non solo di uccidere ma anche di catturare il plantigrado.

19 marzo 2020 - 12:14

Ma già nel 1923 veniva istituito con Regio Decreto il Parco Nazionale d’Abruzzo per tutelare, in quella che un tempo costituiva la Riserva di Caccia del re Vittorio Emanuele III, la fauna selvatica e, in particolare, l’Orso bruno marsicano.

Ed è del 1919 la prima richiesta ufficiale di istituzione di un Parco sul territorio dell’Adamello e del Brenta, area protetta poi definitivamente istituita nel 1988.

La presenza dell’Orso bruno fino alla fine del XVII secolo era ancora abbondante e diffusa.

Disboscamenti realizzati per aumentare le aree di pascolo per il bestiame domestico e le aree agricole hanno poi profondamento ridotto e alterato l’ambiente montano, acuendo i conflitti tra uomo e orso, a partire dal XVIII secolo oggetto di una persecuzione diretta che ha determinando una drastica riduzione del numero di esemplari.

Oggi il quadro normativo internazionale e nazionale è profondamente cambiato e prevede il divieto di abbattimento, cattura, disturbo, detenzione e commercio di esemplari di Orso bruno (L. 157/92, DPR 357/97).

In particolare, la Direttiva 92/43/CEE (Direttiva “Habitat”) e le relative norme nazionali di recepimento hanno introdotto anche norme di tutela dei loro habitat e l’obbligo, per le Regioni e le Province Autonome, di garantire il monitoraggio dello stato di conservazione della specie sulla base di linee guida prodotte dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).

In Italia sono presenti due popolazioni geneticamente distinte, localizzate nell’Appennino Centrale e sull’Arco Alpino centro-orientale.

L’areale di distribuzione dell’Orso bruno marsicano è sostanzialmente compreso nel perimetro del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e nella relativa Zona di Protezione Esterna (ZPE), dove sopravvivono circa 40 esemplari.

Sull’arco alpino, l’Orso bruno era quasi estinto a metà anni ’90; a seguito della reintroduzione di 10 esemplari, effettuata nel periodo 1999-2002 con il progetto LIFE Ursus, si rileva oggi la presenza di circa 150 orsi, concentrati nel Trentino Alto Adige, mentre altri 12 esemplari, provenienti dalla vicina Slovenia, sono localizzati nel Friuli.

Morti accidentali dovuti a incidenti stradali, episodi di bracconaggio, avvelenamento e abbattimento, quali quelli verificatesi in Trentino Alto Adige, sono i segnali di un equilibrio non ancora raggiunto tra uomo e orso.

Il Consiglio d’Europa raccomanda che i Paesi Membri si adoperino per la salvaguardia delle specie a rischio estinzione elaborando specifici Piani d’Azione.

Questi piani sono stati redatti e adottati sia per l’Orso bruno marsicano (PATOM) che per quello dell’Arco Alpino (PACOBACE), ma la loro attuazione è quantomeno controversa.

Per sottolineare l’importanza della sopravvivenza dell’Orso bruno potremmo ricorrere alle definizioni di ombrello e bandiera, associate a questa specie, senza sollevare argomentazioni di carattere utilitaristico, legate sempre a un punto di vista antropocentrico.

Ognuno trovi le motivazioni tra i propri valori, ma la salvezza di questa come di altre specie passa per il nostro coinvolgimento attivo, per la nostra volontà di esprimere chiaramente un dissenso di fronte a scelte inadeguate, superando la barriera dell’indifferenza e del silenzio che ha già condannato altre specie all’estinzione.

Testo di Daniel Bazzucchi – Foto di Pietro Santucci

 

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