Ghiacciai, specie in estinzione

18 marzo 2020 - 2:11

Non servono Cassandre o profeti di sventura, nei guai ci siamo, e fino al collo, anche senza invocare catastrofi planetarie.

Il riscaldamento del pianeta è l’emergenzapiù grave, probabilmente irrisolvibile, della nostra epoca. Sembra però che ai grandi strateghi del business a ogni costo, quelli che decidono le sorti del mondo, interressi solo monetizzare tutto il possibile.

Fino alla catastrofe!

Un esempio per tutti: la Groenlandia rappresenta, con i suoi immensi ghiacciai, la più grande riserva d’acqua dolce della Terra. I grandi inquinatori planetari, sostenuti dall’attuale governo americano, fatalmente ammaliato dal fascino della speculazione sui combustibili fossili, ha sempre minimizzato, dopo averla a lungo negata, la relazione tra emissioni in atmosfera e riscaldamento globale.

E ridicolizzato, spostando gli eventuali effetti a ere future (almeno un migliaio di anni), le evidenze scientifiche che lanciavano allarmi sullo scioglimento dei ghiacci del Polo Nord e della Groenlandia.

I quali, per assurdo, immettendo acqua dolce soprattutto nell’Atlantico, potrebbero essere responsabili dell’interruzione della Corrente del Golfo, con un effetto paradossale: tutto l’emisfero nord-occidentale, Europa e Stati Uniti, sarebbe soggetto a una nuova, devastante glaciazione!

La gigantesca massa di ghiaccio della Groenlandia potrebbe dissolversi entro il 2060, secondo gli studi, presentati all’assemblea della American Association for the Advancement of Science, da Eric Rignot – ricercatore al Jet Propulsion Laboratory della Nasa di Pasadena, e Pamir Kanagaratnam, del Center for Remote Sensing of Ice Sheets dell’università del Kansas.

Uno scatto di Cesare Re  che immortala il Ghiacciaio del Rutor

I due climatologi documentano con foto riprese dai satelliti della Nasa l’erosione impressionante dei ghiacciai groenlandesi, che si sono ridotti dell’8% negli ultimi dieci anni, e questo porterebbe, in mezzo secolo, alla loro scomparsa. Con effetti inimmaginabili sul clima globale del pianeta e sull’innalzamento del livello dei mari.

Totalmente indifferenti a questi dati matematici e alle sorti future del mondo, i “poteri criminali” della speculazione economica hanno un nuovo obiettivo: comprare le quote di inquinamento della Groenlandia, per installare sull’isola megaimpianti di raffinazione del petrolio, siderurgici, e tutto ciò che ormai non sembra più realizzabile nelle aree popolate.

Sembra una fantabarzelletta, tanto è assurda, ma purtroppo è invece una verità tragica e neanche troppo complicata da comprendere. Il protocollo di Kyoto ha definito, con un parametro di relazione, una “quota” concessa di emissioni in atmosfera a ogni singola nazione, corrispondente alla sua superficie.

Le multinazionali dell’inquinamento, negli anni scorsi, hanno cercato, a volte riuscendovi, di “acquistare” dai paesi più arretrati, soprattutto africani, queste “quote di inquinamento”, in cambio di denaro e aiuti.

La Groenlandia, oggi, è il nuovo eldorado di questa follia speculativa: il governo locale dell’isola sta trattando con la Danimarca la propria autonomia, che verrà sancita a breve. A questo punto, i circa sessantamila innuit che vivono in quel mondo di ghiacci, interessati solo a riprendere le antiche abitudini legate alla pesca, ma senza nessuna certezza di sussistenza, potrebbero trovare estremamente vantaggioso che grandi società straniere li riempissero di soldi per poter buttare in cielo del fumo…

Ghiaccio di casa nostra

Credo impossibile ogni commento a una simile infamia, permessa solo dal totale disinteresse ed egoismo che ognuno di noi dimostra nella quotidianità, ignorando la soglia di pericolo sempre più elevata che i nostri modelli comportamentali innescano.

Occupiamoci allora dei ghiacci di casa nostra, se non altro per renderci conto che, probabilmente, i nostri figli vedranno – e subiranno – un mondo molto più povero di quello in cui abbiamo avuto la fortuna di vivere noi, senza riuscire a capire la necessità di proteggerlo.

Uno scatto di Cesare Re che immortala il ghiacciaio del Belvedere, in un’immagine che risale al 1995

L’Italia, con il 21 per cento, è al secondo posto dopo la Svizzera per estensione delle masse glaciali alpine; fin dal 1915, il Comitato Glaciologico Italiano, nato nell’ambito del Club Alpino Italiano, si occupa di monitorare sistematicamente i ghiacciai e, in particolare, la misura delle variazioni frontali. A questo scopo ogni anno si svolge una campagna glaciologica nella quale numerosi operatori effettuano, alla fine della stagione estiva di ablazione, misure e fotografie da capisaldi, osservazioni sull’innevamento e sulla morfologia delle fronti.

Quest’attività non si è mai interrotta, salvo durante i periodi bellici, fornendo così una delle più lunghe serie esistenti al mondo di osservazioni delle variazioni delle fronti glaciali.

Secondo l’ultimo censimento del 1989 i ghiacciai delle Alpi italiane sono circa ottocento. Un piccolo ghiacciaio è pure presente al Gran Sasso, nell’Appennino Centrale. I ghiacciai italiani occupano una superficie di circa 500 kmq (un quinto dell’intera copertura glaciale delle Alpi) e sono concentrati principalmente nei massicci più elevati delle Alpi Occidentali e Centrali. Il complesso glaciale continuo più esteso è quello dell’Adamello (18 kmq), mentre il ghiacciaio vallivo più grande è quello dei Forni (13 kmq). Tuttavia gran parte dei ghiacciai italiani è rappresentata da piccoli ghiacciai di circo e di vallone.

Cesare Re torna su suoi passi e fotografa a distanza di diversi anni lo stesso ghiacciaio. Le differenze sono evidenti.Il ghiacciaio del Belvedere nella seconda immagine (anno 2002) contrariamente a quanto può sembrare non è in buona salute: i ghiacciai del versante Est del Monte Rosa sciogliendosi sono scivolati verso il basso, spingendo il ghiacciaio del Belvedere verso valle. Il ghiacciaio ha incontrato roccia dura e non potendo scendere ulteriormente si è impennato originando i pinnacoli e le torri visibili nella foto.

Attualmente circa 150 ghiacciai sono ogni anno monitorati da un centinaio di operatori volontari, anche con la collaborazione di gruppi afferenti ad altre associazioni.

I dati sono semplicemente terrificanti: dalla seconda metà del XX secolo è in atto una fase di accentuata contrazione che ha portato i ghiacciai italiani a perdere circa il 40% della loro superficie. Il limite delle nevi si è innalzato di circa 100 metri. Molti piccoli ghiacciai sono scomparsi, mentre i maggiori si sono talora frazionati in individui minori, arretrando le loro fronti anche di 1-2 km. Questa fase di ritiro glaciale, riconosciuta in quasi tutti i ghiacciai di montagna della Terra, viene attribuita al riscaldamento climatico in corso.

Tra il 1980 e il 1999 la percentuale dei ghiacciai in ritiro è passata dal 12% all’89%

Su 104 estensioni glaciali, la variazione media della regressione è valutata in –4,8 m/anno, per complessivi –95,4 m nell’arco del ventennio considerato. La fase di regresso è stata più consistente per il settore Lombardo, per il quale il ritiro medio cumulato delle fronti è di quasi 150 m.

Emergenza idrica

Siamo di fronte ad un evento di portata globale. Con il ritiro dei ghiacciai si sta riducendo una riserva idrica fondamentale, in caso di estati siccitose. Durante le ultime estati abbiamo misurato forti riduzioni di spessore dei ghiacciai, anomale in particolare nel mese di settembre

sostiene il professor Claudio Smiraglia, presidente del Comitato Glaciologico Italiano.

“I ghiacciai si stanno anche frammentando in unità più piccole. Quello del Lys, in Valle d’Aosta, ha per esempio perso la connessione tra la lingua in basso ed i bacini superiori. Secondo recenti ricerche i ghiacciai alpini si ridurranno di volume del 50 per cento rispetto agli anni ’80 entro il 2025 e la perdita entro il 2100 sarà superiore al 90 per cento.

Non c’è tempo da perdere, se non abbandoneremo presto petrolio e carbone per scegliere la strada delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, non saremo più in grado di contrastare il riscaldamento globale“.

La nostalgia della Nord

In questo contesto, si inserisce, mi sia permesso, una malinconica nostalgia. Ho vissuto i miei primi quarant’anni in Val di Fiemme, all’ombra delle grandi cime dolomitiche.

Tra tutte, la mia preferita era la Regina, quella Marmolada sempre bianca di neve sul versante nord. Non ricordo quante volte l’ho salita, con piccozze e ramponi, lungo strisce di ghiaccio duro come il diamante. Il contatto, anche in piena estate, con quell’elemento primordiale, mi ha sempre dato un’ebbrezza che non so descrivere.

Negli anni ’80, alla base della parete, grandi seracchi formavano spaccature e grotte dove arrivavano i turisti, salendo da Pian dei fiacconi, per farsi fotografare in un magnifico ambiente glaciale.

Quando mio figlio Attila aveva quattro anni, l’ho portato sotto quella magnifica montagna e gli ho promesso che, quando sarebbe stato un pò più grande, l’avremmo scalata insieme, quella parete di ghiaccio. Era il 1996. In pochi anni, la parete Nord della Marmolada si è dissolta. Il ghiaccio scomparso, resta solo qualche chiazza scura tra le rocce friabili.

Attila, nel frattempo, è cresciuto, si è appassionato alla montagna, andiamo spesso ad arrampicare, a sciare, a scoprire i segreti del bosco.

E la domanda è ricorrente: “Papà, quando andiamo sulla Nord?”

Mi dispiace, non potrò mantenere quella promessa.

La grande lingua di ghiaccio della Nord non esiste più.

Dossier di:
Michele Dalla Palma