Il mistero del passo Dyatlov: 9 ragazzi morti durante un trekking invernale

10 marzo 2021 - 14:23

Nel 1953 un gruppo di ragazzi del Politecnico degli Urali, insieme ad un professore, si mette in cammino per un’escursione invernale di nove giorni e duecento miglia con l’obiettivo di raggiungere la cima della montagna Góra Otorten, sugli Urali, in Siberia. Nessuno di loro però torna vivo da quel trekking, le cause della tragedia rimangono un mistero per decenni.

Il silenzio imposto dalle autorità all’epoca delle indagini e l’assenza di una spiegazione verificata ha dato adito a decine di fantasiose teorie sull’accaduto.Solo dopo sessant’anni dai fatti è finalmente stata trovata una spiegazione scientifica alla vicenda.

I ragazzi si mettono in marcia con gli sci ai piedi, la neve in quel periodo dell’anno nella landa siberiana è molto abbondante, dopo la prima giornata montano le tende per passare la notte in un altopiano nei pressi di una vetta chiamata la Montagna Morta.

 

Durante la notte tre il 27 e 28 gennaio del 1961 accade la tragedia, tutto il gruppo di escursionisti rimane ucciso. Nei giorni successivi sul posto arriva una missione di soccorso, gli operatori si trovano davanti ad uno scenario inspiegabile, trovano un solo corpo con gravi traumi, i resti delle tende distrutte e poco altro.

Solo dopo alcune settimane, quando le nevi iniziano a sciogliersi, una seconda missione di soccorso riesce ad individuare anche i corpi degli altri ragazzi della spedizione e il mistero si fa ancora più fitto. Molti di loro sono completamenti nudi, morti per assideramento, altri presentano inspiegabili traumi, che sembrerebbero combaciare con l’urto con dei corpi contundenti.

Sul posto non si rinvengono tracce di valanghe e nemmeno dell’attacco di animali, in ogni caso resta inspiegabile perché alcuni dei giovani si siano spogliati in mezzo alla neve.

Le autorità russe, nonostante le pressioni delle famiglie, decidono di archiviare rapidamente la questione, attribuendo la tragedia a una “possibile valanga”, da quel momento le autorità sovietiche iniziano a insabbiare la questione.

Solo parecchi anni più tardi, nel 2014, la storia torna d’interesse pubblico, quando il regista americano Donnie Eicharun viene ne viene a conoscenza e decide di documentarsi per preparare un film su quella misteriosa vicenda.

Ricerche  che durano più di quattro anni durante i quali il regista consulta tutti i documenti ufficiali e ripercorre persino il cammino dei ragazzi, fino al passo Dyatlova, luogo della tragedia che ha preso il nome dal capo spedizione.

Un incidente come quello, senza cause e secretato dalle autorità, negli anni è stato fertile terreno per le più strane teorie.

Alcuni hanno parlato di un attacco degli alieni, altri di qualche operazione militare segreta e qualcuno ha perfino ipotizzato l’esistenza dello Yeti. Il regista, con l’aiuto di alcuni esperti, ha sgombrato il campo da queste ipotesi fantasiose e richiamato in causa la valanga.

Quell’area era molto ventosa, spesso soggetta a vere e proprie tempeste di neve, che potrebbero aver fatto staccare una valanga anche ore dopo il passaggio dei ragazzi e anche su pendii non troppo ripidi.

Le ricerche del regista, e il film che ne fu poi fatto, attirarono l’attenzione di anche di due scienziati svizzeri: Johan Gaume, professore alla Scuola Politecnica Federale di Losanna (EPFL), e Alexander Puzrin, del Politecnico Federale di Zurigo, che hanno studiato la vicenda e pubblicato i risultato sulla rivista Nature.

Il primo punto era spiegare le cause di quella distruzione e cercare di capire come una valanga si fosse potuta staccare da quei pendii dolci, nemmeno 30° di pendenza, e provocare lesioni così importanti. Per farlo si sono rivolti allo studio di animazione che ha collaborato al film Frozen, insieme ai designer hanno ricreato un modello delle condizioni di terreno, ambiente e neve nelle quali è avvenuta la tragedia.

Hanno scoperto che proprio le caratteristiche di quel luogo, la scarsa pendenza e i forti venti potrebbero aver provocato una valanga a lastre.

In questi fenomeni grosse lastre di neve e ghiaccio compatti si staccano del pendio scivolando a valle, la quantità di neve è abbastanza limitata, per questo i soccorritori non hanno riconosciuto le tipiche tracce di una valanga.

Per spiegare poi i traumi subiti dalle vittime gli studiosi si sono rivolti al centro ricerca e sviluppo della General Motors, dove vengono svolti i test per la sicurezza delle auto, utilizzando manichini che simulano la resistenza e le caratteristiche del corpo umano.

Con l’aiuto dei tecnici hanno ricreato l’urto di una massa simile alle lastre delle valanghe con i manichini e i risultati hanno confermato le loro aspettative: quei grossi e rigidi blocchi di neve, ad una certa velocità, potrebbero provocare gravi lesioni ad uomo.

L’ultimo mistero è stato risolto con l’aiuto di alcuni medici e biologi, che hanno spiegato cosa accade al corpo umano quando va rapidamente in ipotermia, un fenomeno detto paradoxical undressing.

In pratica quando il corpo si raffredda, i vasi sanguigni si restringono per deviare il sangue dalla periferia del corpo verso gli organi vitali.

Questo causa una perdita di lucidità mentale nota come cold stupid, quando poi la vasocostrizione cede, la vittima sente un forte calore sulla pelle e una generale sensazione di accaldamento.

Questo, unito allo stato di confusione dovuto all’ipotermia, porta le vittime a spogliarsi per rinfrescarsi, questo è ciò che è accaduto ai ragazzi e spiega lo scenario trovato dai soccorritori.

Dopo oltre sessant’anni, grazie ad un serie di fortunati eventi e allo straordinario lavoro di questi ricercatori, le famiglie hanno ricevuto una spiegazione per la perdita dei propri cari, trovando finalmente un po’ di pace. In onore di questi ragazzi è stata istituita una Fondazione benefica e costruito un Monumento nel cimitero di Mihaylovskoe.

 

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