La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare. È questo il titolo del rapporto di Greenpeace uscito ad agosto, che denuncia una situazione tutt’altro che rosea per lo stato delle acque salate. I frammenti plastici rappresentano una percentuale che si aggira tra il 60 e l’80% dei rifiuti dispersi nell’oceano, per un totale di circa 260 mila tonnellate. Se a questa cifra aggiungiamo tutto il beach litter e i rifiuti che stazionano sui fondali, lo scenario si fa ancor più oscuro.
Le insidie maggiori di questo trend negativo sono rappresentate dalla grande capacità dispersiva della plastica e dalla sua altissima resistenza alla decomposizione. I frammenti vengono degradati in parti sempre più piccole che non scompaiono mai del tutto e finiscono per diventare parte dell’alimentazione di migliaia di organismi marini.
Sono le cosiddette microplastiche, particelle di diametro e lunghezza inferiori ai 5 millimetri, che vengono involontariamente ingoiate da vertebrati e invertebrati, dal plancton alle balene.
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Lo studio di Greenpeace ha individuato più di 170 specie soggette ad ingestione di microplastiche, tra cui pesci molto comuni sui mercati ittici. La presenza di frammenti plastici è stata rintracciata in percentuali differenti a seconda dei punti di rilevamento, con punte dell’83% sugli scampi che vivono intorno alle coste britanniche.
Anche crostacei e molluschi non sono esenti dalla contaminazione delle plastiche: cozze, vongole e ostriche ad esempio le assorbono nell’acqua che quotidianamente filtrano per nutrirsi.
Gli studi sull’impatto delle microplastiche sull’uomo sono ancora ad uno stadio embrionale, anche se ci si sta concentrando soprattutto sulla potenziale pericolosità per la salute umana degli additivi e dei contaminanti che contengono. Ciò che si sa con certezza, è che l’accumulo di frammenti negli organismi marini provoca spesso lesioni agli organi interni.
In attesa di ulteriori accertamenti e di dati riguardanti l’impatto delle plastiche sull’uomo, Greenpeace ritiene che sia necessario applicare il principio di precauzione, e che vada supportato un piano di regole volte a ridurre l’utilizzo e la produzione di plastica.
In particolar modo si fa riferimento ad un decremento delle microsfere utilizzate in maniera crescente in bagnoschiuma, shampoo, dentifrici e altri prodotti dell’industria cosmetica.
In apertura: piccoli frammenti di plastiche ritrovate in mare. Foto di MPCA photos.