Abbiamo incontrato Hervé Barmasse in occasione dei Beat Yesterday Awards, l’evento organizzato da Garmin Italia per premiare straordinarie storie legate al mondo dello sport e giunto alla sua settima edizione.
Anche quella di Hervé è una storia di coraggio e di impegno. Nato da una famiglia di guide alpine, all’ombra del Cervino, da ragazzo aveva intrapreso la strada dello sci da discesa, con ottimi risultati. Aveva un talento cristallino in quella disciplina e sembrava destinato ad una grande carriera.
Fino a quando un incidente lo costringe ad interrompere quel percorso, un momento molto difficile nella vita di Hervé, dal quale però è riuscito a ripartire grazie al supporto della famiglia e alla sua forza di volontà.
Chiusa una via, ne ha aperta un’altra, quella dell’alpinismo, la disciplina che gli ha restituito la felicità.
La montagna rimane il suo habitat naturale, quando sale per la prima volta sulla vetta del Cervino, che ha visto quotidianamente fin dalla sua nascita, Hervé comprende di aver trovato in quell’esperienza il suo percorso di vita.
Da quel momento inizia la sua vita da alpinista, conquista il Cervino più di 150 volte, aprendo nuove vie in solitaria e segnando numerosi record.
Dopo la ‘sua’ montagna Hervé inizia a scalare vette in ogni angolo del mondo: dal Pakistan al Nepal fino alla Patagonia, anche se all’alpinista valdostano più che collezionare record interessa recuperare un approccio alla montagna più rispettoso e autentico.
Hervé non è interessato solo a raggiungere la vetta più alta per appuntarsi la medaglia del record sul petto, ma è legato al lato più romantico e passionale dell’alpinismo.
Nelle sue spedizioni ricerca le vie più tecniche, interessanti e, soprattutto, inesplorate.
Nel 2010 ha affrontato una delle imprese più emozionanti: ovvero la salita della parete sud del Cervino – il Couloir Barmasse (1.200 m di via di misto difficile ABO) – insieme a suo padre, Marco.
Nel 2011 ha aperto tre vie sulle tre montagne più iconiche delle Alpi italiane. Sulla parete sud-ovest del Monte Rosa ha aperto il Viaggio nella Memoria, la Classica Moderna sulla parete sud del Monte Bianco e una solitaria sulla parete sud del Cervino, chiamata Viaggio nel Tempo.
Nel 2014 ha completato in solitaria e per la prima volta, il collegamento invernale delle quattro creste del Cervino. Nel mondo ha poi aperto vie in Patagonia, Pakistan e Cina, alcune delle quali in inverno.
Un uomo che è di casa tra vette e montagne, a cui chiediamo qualche consiglio per chi invece su sentieri e vetta ci arriva per le prime volte o comunque senza una lunga esperienza sulle spalle.
_ Dopo la pandemia molte persone hanno riscoperto la montagna e l’outdoor. Cosa consiglieresti a chi si approccia per la prima volta con questi ambienti?
“Questi ambienti vanno affrontati con coscienza e rispetto. Il primo passo è informarsi, rivolgendosi magari alle guide alpine che sono i professionisti della montagna.
Quando ci si avvicina alla montagna, specie quando si affrontano percorsi più impegnativi, è meglio chiedere. Non costa nulla. Questa secondo me deve essere la base. Ci sono tanti consigli che si possono dare.
Provo a darne qualcuno: quando si inizia con il trekking meglio fare itinerari all’altezza della propria preparazione, senza esagerare col dislivello.
Prestare poi attenzione alle proprie condizioni di salute e, cosa spesso sottovalutata, imparare a mantenersi idratati, anche di inverno. Bisogna poi proteggersi non solo dalle intemperie ma anche dal sole.
In alta montagna, soprattutto quando c’è neve o ghiaccio, c’è una super irradiazione dovuta la riflesso dei raggi del sole sui cristalli di neve e ghiaccio”.
_ Invece per coloro che si approcciano all’alpinismo, che consigli dai per iniziare?
“Quando si entra nel mondo alpinismo cambia ancora tutto. Lo scenario è più difficile e complicato. Si deve utilizzare attrezzatura tecnica, dall’imbrago ai ramponi, scarpe da scalata, moschettoni.
É necessario quindi fare un corso di preparazione, per arrivare ad affrontare la montagna con la giusta preparazione.
Gli ambienti di alta montagna possono essere pericolosi, c’è bisogno di una conoscenza approfondita. Quando si fa un’escursione su ghiacciaio, è importante conoscere i pericoli del ghiaccio, come i seracchi e i crepacci.
Purtroppo la recente tragedia della Marmolada ci ha ricordato il rischio di questi ambienti, specie con la crisi climatica che li sta colpendo.
Va sempre ricordato che in realtà sulle montagne, anche nelle condizioni di caldo e siccità come quelle dell’ultima estate, ci sono sempre itinerari che possono essere consigliati e altri che magari è meglio evitare.
Ma la montagna non si deve chiudere, ma si deve semplicemente affrontare con coscienza e prudenza”.
_ La cronaca testimonia come il cambiamento climatico stia mettendo a dura prova gli ambienti alpini. Durante le tue esperienze in quota hai avuto modo di notare questo impatto?
“La crisi climatica è evidente quando si frequenta l’alta montagna ma, ancora più preoccupanti, sono i dati della scienza che lo confermano e ci danno purtroppo prospettive poco incoraggianti sul futuro di questi ambienti.
Poi ci sono i testimoni diretti, che sono i montanari e gli alpinisti, persone che la montagna la vivono e che da anni evidenziano gli effetti del cambiamento climatico. Non c’è solo lo scioglimento dei ghiacciai, ma si stanno proprio indebolendo le montagne.
Ormai sono sempre più frequenti sgretolamenti, frane, crolli e temperature assolutamente inusuali. Faccio un esempio, quest’ultima estate sul Cervino si poteva tranquillamente stare in maglietta a maniche corte a 1478 metri di altitudine”.
_ Quindi ci vuole ancora più preparazione e attenzione quando si frequenta l’alta montagna…
“L’alpinista è un termometro di questo cambiamento, di questa crisi climatica.
Che cosa fare? Purtroppo questo ci porta a dover essere estremamente prudenti, quando ci sono queste condizioni di alte temperature, la montagna diventa più pericolosa.
Il rischio però si può sempre contenere attraverso l’esperienza, la cultura e la conoscenza. Sono ambienti nei quali non c’è spazio per la improvvisazione, ma con la preparazione giusta si possono frequentare con tranquillità”.
_ Il numero di frequentatori di ambienti outdoor è cresciuto esponenzialmente, questo è un rischio per gli ecosistemi montani oppure è un’opportunità per accrescere la sensibilità ambientale delle persone?
“Facciamo l’esempio dei grandi parchi americani che sono riusciti a convogliare milioni di persone nei loro territori, senza però che questo avesse un impatto sull’ambiente.
Il turismo può essere convogliato nella giusta maniera. Certo è necessario avvicinarsi a questo turismo con preparazione, ma è bello che la montagna sia di tutti e che sempre più persone imparino ad amarla e apprezzarla.
Se mi avvicino alla montagna, con l’attrezzatura giusta, con l’umiltà di chiedere consiglio a chi è più preparato, allora sono sulla strada giusta. Non puoi partire da neofita e andare a scalare il Monte Bianco, devi fare dei passaggi, poi arriverai anche in cima, sulla montagna più alta delle Alpi.
Con delle semplici regole di conoscenza, prudenza e un po’ di allenamento tutto (o quasi) è possibile”.
_Spesso si sottovaluta l’aspetto fisico, ma le attività outdoor in montagna sono faticose.
“Certo, la montagna prevede uno sforzo fisico, è un’attività sportiva abbastanza dispendiosa sotto il profilo energetico.
Ecco perché l’allenamento è importante, si può fare tranquillamente in città per poi godersi un buon fine settimana in quota.
C’è una montagna per tutti. Questo secondo me è giusto dirlo. Però avviciniamoci con l’esperienza e diamoci il tempo di conoscere e adattarci, si fa un passo alla volta, si aumenta il proprio limite”.
_ Insomma ci vuole prima di tutto cura per l’ambiente…
“É ancora possibile portare avanti una frequentazione rispettosa della montagna. Ogni persona deve solo imparare a fare attenzione a come si comporta in questi ambienti.
L’importante è non lasciare mai traccia del proprio passaggio.
Oggi purtroppo la grande affluenza sulle montagne lascia pesanti segni sulle vette, succede soprattutto sull’Everest e il K2, dove ogni anno vengono abbandonati quintali di rifiuti (in particolare corde di nylon) dagli alpinisti alla ricerca della grande impresa.
La traccia dell’uomo invece non deve mai esserci, chi ama la montagna deve, prima di tutto, imparare a rispettarla, che è la regola fondamentale di ogni montanaro”.
_ Chi viene dalla città e, magari, non ha mai vissuto davvero la natura e la montagna, come può imparare la cultura e il rispetto di questi ambienti?
“Ci sono diversi corsi che si possono seguire, c’è il Club Alpino Italiano che è presente in ogni regione d’Italia che promuove attività di informazione e formazione. Si può partire da qui per avvicinarsi alla montagna imparando tutte le sue regole non scritte.
La prima è proprio il rispetto, che può essere trasmesso non solo da professionisti, ma anche da amici più esperti. Ci vuole un pizzico di umiltà e volontà di mettersi in gioco lasciandosi un po’ indicare la strada.
Quella, secondo me è la premessa. Anche perché in montagna i pericoli e i rischi che ci sono, se sbagli puoi pagare a caro prezzo.
Questo però non dovrebbe mettere in allarme, ma semmai spingere le persone a seguire sempre le regole della prudenza per affrontare qualsiasi cosa qualsiasi attività sportiva outdoor.
Anche perché oggi le attività outdoor sono molte: c’è il trekking, l’alpinismo, il trekking su ghiacciai, le vie ferrate, l’arrampicata, la mountain bike e tantissime altre attività che si svolgono in questi ambienti.
Dobbiamo pensare che l’outdoor si sta ampliando e dunque per ogni attività ci vuole la giusta conoscenza, la giusta pratica e i giusti insegnanti che indicano la strada migliore per fare progressi”.
_ Da diverso tempo sei impegnato anche nell’attività di divulgazione, hai prodotto documentari, tenuto corsi e scritto libri. In chiusura di questa intervista, ci parleresti dei tuoi programmi per il prossimo anno?
A breve partirò per l’Himalaya con l’obiettivo di tentare la scalata di un 8000 in stile alpino, ovvero pulito, senza lasciar traccia, senza bombole d’ossigeno, corde fisse, campi pre allestiti e sherpa.
Solo io, il mio compagno di avventura e dodici chili di zaino per affrontare una scalata invernale che in questo stile non è mai stata affrontata da nessuno. È un obiettivo molto ambizioso, ma è un obiettivo al quale tengo.
Un obiettivo che secondo me, se riuscissimo a portarlo a termine, dimostrerebbe proprio che alla fine non c’è bisogno di tanta tecnologia e tanta attrezzatura, ma semplicemente di buon allenamento per salire le montagne e lasciarle pulite.
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