Negli ultimi cinquant’anni molte specie sono scomparse, altre rischiano di estinguersi mettendo a rischio la sopravvivenza degli ecosistemi di cui fanno parte.
L’uomo ha il dovere di preservare l’ambiente e le risorse della Terra per le generazioni future.
Tra queste c’è sicuramente il lupo, ma non quello malvagio della favola di Cappuccetto Rosso e reso celebre dai fratelli Grimm che lo vollero sconfitto, nel più classico dei finali.
Nel 1974 venne pubblicata “Inchiesta sulle distribuzione del lupo (Canis lupus) in Italia” in cui l’autore, Luigi Cagnolaro ed i suoi collaboratori, dimostrarono che il lupo era scomparso da tutte le regioni dell’arco alpino già intorno al 1910.
Le uniche due popolazioni sopravvissute nell’Appennino centro-meridionale (principalmente in Abruzzo e Campania) erano oramai ridotte a meno di 100 esemplari.
Oggi, dopo oltre 40 anni, il lupo in Italia ha ricolonizzato una buona parte dell’areale storico sugli Appennini, espandendosi pure nei versanti italiani, svizzeri e francesi delle Alpi occidentali e centrali, raggiungendo probabilmente gli 800-900 esemplari.
Questa straordinaria e inaspettata esplosione demografica e geografica ha molteplici cause tra cui::
L’I.S.P.R.A. (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha evidenziato che il lupo è presente in tutto il territorio nazionale con picchi significativi in Emilia, Liguria, Marche, Umbria ed Abruzzo.
Questo ritorno però non ha reso tutti felici.
I rari attacchi ad allevamenti di bestiame hanno alzato la tensione con gli allevatori che, preoccupati anche dai roboanti titoli della stampa locale, hanno finito per essere eccessivamente spaventati dagli attacchi di questo predatore che sono però molto rari.
Un’opinione comune molto diffusa è che questo “ritorno” del lupo sia frutto di una reintroduzione da parte dell’uomo, ma è stato un fenomeno naturale e spontaneo.
Le storie sul lupo e le denuncie di aggressioni a capi di bestiame hanno generato un timore infondato per questo predatore.
È necessario un impegno comune per una soluzione pacifica e per far si che questo patrimonio naturale ed essenziale all’ecosistema, possa essere realmente tutelato.
Alcune indagini territoriali hanno portato alla scoperta di 824 esemplari, sparsi dall’arco alpino alle regioni centro meridionali, con branchi costituiti in media da poche unità, tra 2 e 8.
I metodi di indagine non invasiva (ovvero catalogando le tracce biologiche), hanno consentito di stilare anche una genealogia e creare una distinzione tra lupi veri e propri, cani lasciati liberi o inselvatichiti e ibridi, nei casi di incrocio, raro, di un cane e un lupo.
Questa prima analisi ha permesso di comprendere come non tutti gli assalti alle greggi siano riconducibili al lupo.
L’osservazione dei resti ha infatti dimostrato come in diverse occasioni, la responsabilità sia da attribuire a branchi di cani rinselvatichiti e non di lupi.
Questa indagine ha inoltre evidenziato come il bracconaggio, l’avvelenamento e gli investimenti stradali siano responsabili ogni anno dell’uccisione del 20% della popolazione totale di lupo italiano.
Tra i miti da sfatare, vi è anche l’idea che i lupi possano essere pericolosi per l’uomo.
Questo animale è estremamente schivo ed è perlopiù presente in aree quasi inaccessibili all’uomo.
Anche il loro avvicinamento ad aree abitate non è sicuramente da considerarsi preoccupante, l’uomo non è una preda, e il lupo se ne tiene alla larga.
I lupi percorrano molte centinaia di chilometri prima di stabilirsi in maniera stanziale in un’area ed è quindi facile che possano finire a contatto in zone con presenza antropica.
È necessario uno scambio di informazioni e di dati, insieme ad una efficace comunicazione, per consentire alle comunità locali di adottare accorgimenti utili ad una più serena e pacifica convivenza con il lupo.
Gli allevatori non sono più preparati a queste convivenza, ma pochi accorgimenti sono sufficienti per limitare molto i possibili problemi.
La persecuzione secolare di questo mammifero ha portato a una scomparsa progressiva che era giunta quasi alla totale estinzione della specie.
Solo di recente le trasformazioni in ambito rurale hanno riportato a condizioni sufficienti alla sopravvivenza di questo predatore.
Gli allevamenti rimangono l’elemento critico della questione, infatti gli animali al pascolo rappresentano facili prede per il lupo.
Dunque, pur cibandosi prevalentemente di selvaggina, a volte non disdegna le greggi, specie quando si trova in condizioni particolarmente favorevoli.
Quando i capi sono al pascolo e dispersi su ampie superfici, senza alcuna presenza umana, senza cani da guardia addestrati e in assenza di recinzioni, chiaramente i rischi per il bestiame sono particolarmente elevati.
Un’attenta mappatura territoriale, attraverso l’analisi dei reperti riconducibili al lupo, permette di individuare le aree a maggior rischio convogliando verso di esse risorse atte a preservare le mandrie, evitando dispendiose e inutili azioni in larga scala.
Le agevolazioni per la costruzione di recinti più sicuri, l’introduzione di cani a difesa delle greggi, l’informazione sulle buone prassi di allevamento, hanno dimostrato grande efficacia nella prevenzione, portando ad un miglioramento dei rapporti tra uomo e lupo.
Lotta al bracconaggio e costituzione di guardie specializzate nel gestire le situazioni legate al lupo, strategie di contrasto all’ibridazione e al randagismo, semplificazione delle procedure per la richiesta di risarcimento e migliori pratiche di allevamento, stanno evidenziando come, con l’impegno di tutti, sia possibile condividere determinati spazi con questo splendido animale.
Certamente è indispensabile, da parte delle istituzioni, un concreto aiuto per ristorare le perdite economiche degli operatori, affinché si possa procedere con giuste compensazioni senza dimenticare, come la presenza del lupo sia un’attrattiva turistica preziosa per i turismo outdoor e naturalistico.