Camminare è sicuramente un modo forte per incidere nel sociale, per ricostruire valori forti e condivisi che mettano al primo posto l’uomo e uno sviluppo della nostra società basato sulla solidarietà e sulla giustizia sociale. Una società che punti ad includere ed unire, anziché dividere ed etichettare.
Il gesto del camminare può mettere in rete tutte quelle realtà che possono diventare motore, stimolo, incentivo per creare sviluppo, lavoro, socializzazione e benessere. In sintesi, un nuovo modello di società, che può portare i suoi benefici effetti anche attraverso un miglioramento della qualità del vivere urbano.
Considerare il camminare, nella sua accezione più ampia, come elemento portante di un nuovo concetto di mobilità urbana, vuol dire fare una precisa scelta, come uomini responsabili e coscienti, nei confronti delle future generazioni.
Ci sono sempre più persone che vorrebbero muoversi con i mezzi pubblici e a piedi ma, quasi mai, trovano città pronte a rispondere a questo bisogno di mobilità sostenibile. È quindi necessario ripensare il concetto stesso di città, che dovrà guidare una nuova programmazione di sviluppo urbano, basandosi su un diverso rapporto tra la città e l’uomo.
I percorsi pedonali devono diventare veri e propri sentieri intermodali del trasporto urbano, che permettano di raggiungere punti di interesse come ospedali, scuole, biblioteche e uffici comunali alternativi alla mobilità automobilistica.
L’integrazione con la mobilità pubblica, lo sviluppo di nuovi progetti di mobilità ispirati ai principi della sostenibilità ambientale, della valorizzazione del territorio e del benessere psicofisico del cittadino, sono la via maestra da seguire.
Gli amministratori pubblici devono porsi nuovi obiettivi, nuove prospettive e avere nuovi occhi per guardare al camminare come strumento per vivere meglio, in senso ampio, non solo da un punto di vista fisico, ma anche sociale e mentale.
Il concetto di “paesaggio urbano” può sembrare un ossimoro, soprattutto se pensiamo a certe periferie degradate delle nostra città, ma solo con questo scatto mentale, con questo cambio di pensiero si potrà realmente arrivare a risultati inaspettati.
Le città sono nate intorno al camminare, poi è arrivata l’automobile e ha cambiato il volto dei nostri centri urbani.
Strade sempre più ampie, superstrade cittadine, tangenziali, splendide piazze trasformate in parcheggi. I pedoni ormai sono relegati ai marciapiedi, sempre più stretti e sempre meno protetti dai parcheggi selvaggi: tutto questo ha imbruttito le nostre città.
L’automobile è un elemento estraneo al paesaggio cittadino, la sua presenza disturba, impoverisce e deturpa.
Alcune città hanno cercato di limitare le auto lasciando più spazio alle persone, questo ha permesso a intere aree urbane di riqualificarsi e tornare agli antichi splendori, finalmente liberate dall’assedio delle auto, del traffico e dell’inquinamento.
I nuovi piani urbanistici dovranno ridisegnare le città, gli spazi urbani, in funzione dell’uomo e non più dell’automobile, l’uomo deve riconquistare gli spazi che gli appartengono ma che troppe volte gli sono stati sottratti.
L’integrazione tra i percorsi a piedi e il mezzo pubblico, un trasporto pubblico funzionale, sicuro, decoroso e sufficiente in termini di orari e percorsi, possono trasformare le città nel segno della bellezza e della sostenibilità.
Le vie liberate dal traffico e dallo smog devono tornare belle, pulite e godibili. I comuni devono contribuire e incentivare il recupero dei colori storici degli edifici, recuperare le aree verdi, incentivare attività commerciali decorative come chioschi e bancarelle, ordinate e in linea con lo stile urbanistico, tutto nella direzione di un nuovo “paesaggio urbano”
Incrementare le aree verdi è una priorità, luoghi di ristoro che tengono basse le temperature delle città e ossigenano l’aria. Il verde deve invadere le città, è finito il tempo dell’abbattimento di alberi e parchi per fare posto a parcheggi, strade e ipermercati. Chi cammina vuole e rispetta il verde pubblico, la città deve lavorare con la natura e non contro la natura.
Per cambiare le città servono interventi strutturati, piani pluriennali che coinvolgano tutti gli attori: dai sindaci, ai commercianti, passando per le università e i cittadini. Bisogna muoversi prima di raggiungere il punto di non ritorno, quello che porta all’esplosione di insanabili fratture sociali.
Per capire meglio questo punto basta guardare agli anni 60/70, anni in cui l’edilizia ha sfornato quartieri dormitorio ed eco-mostri, inospitali e alienanti, in cui masse di popolazione isolate e completamente slegate dal territorio urbano vivevano nella delusione e nel disagio, creando contrapposizione tra periferia e città, vista come territorio nemico e ostile. Luoghi fertili per il disagio minorile e la microcriminalità.
Bisogna andare oltre il centro storico e iniziare a cambiare il volto dei quartieri periferici con la creazione di aree pedonali, parchi, luoghi di incontro e socializzazione come biblioteche e piccoli teatri. Solo così si può restituire un volto umano a questi luoghi e porre rimedio al disagio che è sedimentato negli anni.
Meno centri commerciali e più negozi, botteghe e osterie, il tempo delle cattedrali nel deserto è finito, con gli anni ’90, con la sete di consumo incontrollato che ha ucciso intere periferie, colpendo i parchi, i piccoli negozi e le attività locali.
L’obiettivo è solo uno: restituire le città all’uomo, abbattendo i volumi di traffico veicolare e recuperando il paesaggio urbano, per un cambiamento positivo per le prossime generazioni, che crei una base solida e concreta su cui costruire un nuovo modello di mobilità urbana e, soprattutto, di una nuova convivenza civile.