Come ogni opera disegnata da madre natura, il suo equilibrio è però precario e fragile, sempre in bilico tra le scogliere che si tuffano in mare e i terrazzamenti che hanno rispettosamente modificato il volto delle valli per renderle adatte alla coltivazione e all’insediamento di comunità.
Una regione che ha saputo coniugare lo sviluppo economico con il rispetto per il suo straordinario patrimonio ambientale, suggellato dalla creazione di aree protette che avevano il compito di presidiare il territorio da aggressioni dell’uomo.Proprio per questo motivo sono stati istituiti, tra gli altri, il Parco Regionale di Portofino e il Parco Nazionale delle Cinque Terre, che hanno l’importante missione di preservare ambienti e luoghi che sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo e che rappresentano un’impareggiabile attrattività turistica per la Regione Liguria, traducendosi in una fonte economica per i paesi e le località che ne fanno parte.
Ma dal 2011 qualcosa è cambiato, la Liguria è finita su giornali e telegiornali, non più solo nei format dedicati ai viaggi e all’ambiente, ma ha conquistato la prima pagina della cronaca per eventi drammatici che hanno lasciato una cicatrice profonda, scavata dalle vittime, dai danni e dalla distruzione che ha provocato una gigantesca colata di fango che si è abbattuta sui paesi delle Cinque Terre e della Val di Vara.
Immediatamente la stampa e il Governo, nonché le autorità della protezione civile, hanno puntato il dito sulla sulla mancanza di idonee cautele nella edilizia degli ultimi decenni, che hanno reso gran parte del territorio impermeabile e inidoneo ad assorbire precipitazioni ingenti. La cementificazione, di cui abbiamo già trattato sulle pagine della nostra rivista, è un fenomeno che non tende ad attenuarsi ma che, anzi, in questo decennio è diventato ancora più acuto, rendendo migliaia di ettari di terreno non più recuperabile.
Ma in una terra come la Liguria, proprio per le sue caratteristiche morfologiche, la cementificazione ha delle conseguenze ancor più drammatiche e gli eventi del 2011 purtroppo lo hanno mostrato in maniera forte, sfigurando il volto di interi borghi marinari.Uno dei peggiori mali Italiani sta nella mancanza di memoria a lungo termine, tanto che un caso balzato agli onori della cronaca, discusso in ogni sede, anche da rappresentanti politici (Liguri e di Roma) che si sono impegnati a intervenire per far si che “.. queste tragedie non si ripetano!”, è caduto incredibilmente nel dimenticatoio.
Nulla di diverso dalla solita commedia, tante urla e pugni sui tavoli che, col passare dei mesi, si trasformano in un nulla di fatto, pochi interventi di ripristino dei luoghi e nessuna opera strutturale di lungo termine per rimediare agli errori del passato. Tutto questo è sconcertante, l’ennesimo teatro delle promesse non mantenute, delle lacrime di coccodrillo e degli impegni improrogabili che, spesso, non finiscono nemmeno nell’agenda politica. Perché, lo sappiamo bene, un’opera di graduale recupero del territorio costa e non da ritorni mediatici ed “elettorali” immediati.
Insomma, nulla a cui la storia politica del nostro paese degli ultimi vent’anni non ci abbia già abbondantemente abituato, ma in Liguria si sono voluti superare stupendoci con un disegno di legge che, ad una prima lettura, sembrerebbe essere partorito dagli autori di un programma satirico. La giunta delle Regione, rinnovata nella primavera del 2015 con l’elezione del Presidente Toti, ha approvato il 19 Ottobre 2015 un importante Disegno di Legge il cui ambito di disciplina è il c.d. “nuovo piano casa”, destinato a disciplinare il comparto urbanistico regionale.
Diciamo subito che si tratta di un disegno di legge e pertanto, prima di diventare vera e propria legge, dovrà essere discusso ed approvato dal Consiglio Regionale, ma il suo attuale tenore letterale, pensando agli eventi del 2011, fa rabbrividire perché raggiunge il livello “paradosso” ma.. lasciamo parlare i fatti.
Cercando di sintetizzare quanto prescritto dall’enunciato normativo, possiamo dire che nella precedente formulazione di questa legge vi era una norma che disciplinava le modalità di ampliamento di edifici esistenti, specificando il rapporto tra le volumetrie esistenti e quelle di nuova costruzione.
L’articolo successivo si occupava invece di stabilire alcune incentivazioni, in termini di volumi di ampliamento, rispetto ai paletti posti dalla norma precedente. In sostanza, se l’ampliamento è eseguito per fini meritevoli, ad esempio per il rispetto dell’efficienza energetica o degli standard antisismici, si concedono maggiori margini di incremento dei volumi.
Ma quello che ci interessa è nella norma ancora successiva, che riguarda dettagliatamente le “esclusioni dall’applicazione” degli articoli precedenti, enucleando quelle ipotesi nelle quali ampliamenti di edifici esistenti, o costruzione di nuovi manufatti, non sono comunque concesse.In modo del tutto razionale e comprensibile questa norma stabiliva:
Pertanto quanto disposto dalla precedente normativa regionale sembrava essere del tutto razionale e ragionevole, del resto come non condividere il divieto di cementificare ed ampliare manufatti abusivi (anche se condonati) o proibire di costruire in un parco, quale quello delle Cinque Terre. L’unico rilievo che si potrebbe muovere a queste disposizioni, è di rappresentare solo il “minimo sindacale” per una buona tutela di un territorio fragile e martoriato dal dissesto idrogeologico, quale quello Ligure, con l’auguri che un nuovo piano edilizio sia ancora più attento e restrittivo in materia.
Ecco che ci troviamo di fronte alla famigerata nuova (proposta di) legge deliberata dalla Giunta regionale, la studiamo e cosa notiamo? Che le citate due restrizioni, a tutela del patrimonio ambientale e del territorio regionale, non sono state semplicemente modificate, ma brutalmente abrogate. Una scelta di politica legislativa nata vecchia, di almeno 40 anni, che non tiene minimamente conto della storia recente di questa regione e che non ha rispetto del dramma che hanno vissuto molto popolazioni liguri.
Intendiamoci, riportando le parole di Toti “Non facciamo colate di cemento indiscriminate ma riqualificazione”, potremmo rispondere che siamo certi non si consentirà la costruzione di un eco-mostro sul Promontorio di Portofino o a ridosso di Monterosso. Ma forse varrebbe la pena ricordare al Presidente dalla Regione che le tragedie che hanno colpito la Liguria in questi ultimi anni, come detto dagli esperti della Protezione Civile, non sono frutto di una specifica e particolare opera, ma sono il risultato di anni di lenta e costante piccola cementificazione che ha portato, nel tempo, ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Per concludere questa disamina citerò un principio che ha guidato i nostri padri costituenti nella stesura della Carta Costituzionale, ovvero il “Bilanciamento degli Interessi”, che è applicato ogni qua volta due principi costituzionali, entrambi singolarmente degni di massima tutela, entrano in conflitto tra loro perché contrastanti. In questo caso si comprime il meno possibile l’uno per permettere all’altro di essere rispettato.
Questo per dire che la necessità di far ripartire l’economia e il comparto immobiliare sono obiettivi assolutamente prioritari per un governo regionale (e nazionale) ma queste esigenze non possono arrivare a mettere in pericolo l’incolumità delle popolazioni, aumentando ulteriormente (anche minima parte) lo stress di un territorio già in forte crisi. Di fronte a tragedie come quelle che sono accadute qualche anno fa anche l’economia deve cedere il passo. Che poi, a conti fatti, forse anche l’economia trarrebbe maggior beneficio dalla tutela del patrimonio territoriale.
L’Opinione di Massimo Clementi
Per non dimenticare gli eventi che colpirono la Liguria nel 2011, ecco un intervento del nostro Capo Redattore Enrico Bottino, che documentò personalmente quanto accaduto:
Il 25 e 26 ottobre 2011 le nubi oscurarono il cielo scatenando l’inferno sulle Cinque Terre e la Val del Vara. In quei fatidici giorni la provincia di Spezia venne annientata dall’acqua. Tutto in un attimo. All’indomani dell’alluvione la gente iniziò a lavorare duramente per cancellare l’immagine di un Paradiso spazzato via dal fango. La loro, fu la reazione migliore alla devastazione portata dall’acqua, la risposta giusta per tornare alla normalità e far rinascere quel paradiso che abbiamo ammirato durante le nostre escursioni nel Parco Nazionale. Prima di quel tragico evento erano i pergolati bassissimi a digradare verso il mare nel regolare alternarsi di muretti e fasce. Il 25 ottobre a scendere dai pendii dove ha radicato la vite e hanno trovato spazio i muri delle case di Vernazza e Monterosso sono state enormi colate di terra che hanno lasciato alle spalle frane, morti, feriti e disperazione. All’indomani dell’alluvione la gente di Vernazza passava dai terrazzi per entrare nelle case sepolte dal fango: una massa di 22mila metri cubi e alta 3 metri aveva ricoperto via Roma e invaso tutto il centro cittadino. Elettricità, gas, acqua potabile e la rete telefonica erano venuti meno, negozi chiusi, tante abitazioni abbandonate. Nella vicina Monterosso al Mare caddero 77 millimetri di pioggia in poche ore. Giornali, televisioni e video amatoriali pubblicati nella rete mostrarono le case di Brugnato e Borghetto Vara sventrate dalla furia dell’acqua, a Pignone antichi ponti trascinati via dalla corrente, opere d’arte scomparse dalle chiese vittime della piena, i letti dei fiumi invasi dai detriti e più alti del manto stradale. Con una violenza inaudita abbiamo rischiato di perdere il paradiso amato da tutti noi. La ragione è una sola: si è costruito troppo e male, dove non si sarebbe dovuto!