Quanto vale un inverno senza neve?
Mi scuso, innanzitutto, con tutti gli italiani del Centro-Sud che si trovano sommersi da continue tormente di neve capaci di paralizzare la quotidianità creando immensidisagi e disservizi, e potrebbero sentirsi irrisi da un titolo simile.
Però la realtà è che, sull’arco alpino e in particolare nell’area orientale – Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia – sono almeno due mesi che, letteralmente, non passa una nuvola. E in queste pagine parliamo di turismo invernale e dell’industria dello sci.
I capricci della meteorologia
Un’eccezionale alta pressione stanziata alle latitudini settentrionali ha finora impedito qualunque precipitazione atmosferica, e, a qualunque quota in questa prima parte di inverno, questa porzione di Alpi, dal Bernina agli altipiani carsici che si affacciano sul Golfo di Trieste, si presenta in condizioni estive. Più fortuna hanno avuto, quest’anno, i confini montuosi occidentali del Piemonte interessati a inizio dicembre da abbondanti precipitazioni nevose, che invece lo scorso anno erano totalmente mancate anche in quel settore, mettendo pesantemente in crisi l’industria turistica invernale. Quantomeno quella che afferisce al mercato dello sci da pista.
Quindi, per il secondo anno consecutivo, il turismo dello sci è stato salvato, almeno in parte, dall’utilizzo massiccio dell’innevamento artificiale. Che ha creato, nelle ultime stagioni, un solco ormai difficilmente colmabile tra i comprensori attrezzati (come quelli del Trentino Alto Adige) e che utilizzano piste da sci tracciate sopra i duemila metri, e le stazioni che invece non hanno saputo, o potuto, attrezzarsi con i “cannoni da neve”.
Nell’ultimo decennio, ci sono stati almeno cinque inverni determinati da grande siccità e carenza di precipitazioni sulle Alpi, perciò non si possono più considerare questi eventi come fatti casuali, ma come situazione consolidata. Pertanto l’utilizzo della neve prodotta artificialmente è ormai una necessità primaria per i comprensori sciistici.
Senza acqua non si scia!
È questa la prima, inesorabile, selezione a cui devono sottostare le località che vogliono avere garanzie di poter soddisfare le aspettative del turismo legato allo sci da pista. La possibilità di accedere a grandi bacini – naturali o artificiali – per innevare i tracciati di discesa è indispensabile, e oggi l’impianto di innevamento è molto più importante di qualunque altra infrastruttura, compresi gli impianti di risalita, assolutamente inutili senza un adeguato innevamento programmato. Ma l’acqua, come ben sappiamo, è un bene prezioso e non sempre facilmente disponibile, pertanto nel business plan di una stazione sciistica il reperimento dell’acqua e il costo del suo utilizzo deve essere la prima voce da verificare.
A basse quote non si scia!
La quota è la seconda criticità che deve essere valutata. Gli investimenti in nuovi impianti sciistici sulle Alpi oggi vengono considerati finanziabili solo se hanno la stazione di partenza sopra i 1400 metri di quota, ma recentemente la Svizzera ha portato questo limite a 1800 metri, a dimostrazione che, nelle previsioni dei prossimi anni, la quota “critica” per avere temperature utili allo sfruttamento dei cannoni sarà sempre più alta.
Ma serve fare nuovi impianti di risalita?
Assolutamente no, dal punto di vista della redditività. Da nessuna parte. Per un motivo molto semplice: il numero degli sciatori è in continua e costante diminuzione da almeno vent’anni!
Costruire nuovi impianti e infrastrutture per lo sci da pista, che hanno costi molto elevati, oggi è utile solamente ai grandi comprensori con l’obiettivo di MANTENERE la propria quota di mercato, e non certo per aumentarla. Nell’immediato, un nuovo impianto o una nuova pista di discesa può anche attrarre sciatori curiosi di novità “rubandoli” a comprensori limitrofi, ma è sempre un fenomeno temporaneo. La realizzazione di nuovi impianti e di nuove piste serve, in definitiva, per allettare la propria clientela turistica (oggi molto incline al “nomadismo”) spingendola a tornare in quella località.
I numeri dello sci nel mondo
I dati aggiornati al 2015 forniti da International Report on Snow & Mountain Tourism, un documento che fornisce una prospettiva mondiale sullo sviluppo e sul peso economico del mercato dello sci paese per paese, coprendo il 99,8% del volume totale di questo mercato, iniziano con una premessa, evidenziando “una tendenza generale verso la stagnazione di questo mercato“. Anche la zona delle Alpi (che comprende Austria, Francia, Italia e Svizzera, quindi l’area di maggiore attrazione per il turismo invernale), pur continuando a beneficiare delle visite di clientela internazionale, registra una sistematica diminuzione del numero di sciatori. Dall’inizio degli anni 2000, la misurazione annuale delle visite da parte degli sciatori ha dimostrato che questo calo non è solo legato alle condizioni metereologiche e alla neve, o alle condizioni buone o cattive dell’economia.
Il problema è più importante e strutturale: dai dati è emerso che la popolazione di frequentatori della montagna sta crescendo, ma non il numero di sciatori e di visite per singolo sciatore. In parole semplici, ci sono sempre meno “nuovi sciatori” e anche chi viene considerato uno “sciatore affezionato” tende a diminuire il numero di visite e discese sulle piste.
I numeri dello sci in Italia
Lo stesso rapporto dedica un focus anche alla situazione italiana, evidenziando come siano presenti sulle nostre montagne alcuni comprensori sciistici molto dinamici – ad esempio il Super Ski Dolomiti che conta 450 impianti di risalita e 1200 km di piste – che offrono un alto livello di infrastrutture, di impianti di risalita e d’innevamento.
Tuttavia, il mercato italiano è formato da una moltitudine di piccoli operatori che, operando soltanto sul mercato locale, non sono in grado di attrarre in alcun modo nuova clientela esterna; valutando il trend in sempre maggior calo del numero di persone che si avvicinano allo sci e allo stesso tempo la riduzione delle visite per singolo sciatore, è evidente che questi piccoli operatori sono destinati a veder diminuire sistematicamente il proprio giro di affari. L’industria italiana del turismo sciistico si mostra dunque piuttosto frammentata, basata principalmente su clienti nazionali e presenta il tasso più basso di partecipanti stranieri dei paesi alpini.
Il rapporto sull’Italia si conclude verificando che il numero di utenti complessivi ha continuato a diminuire, e la valutazione è che il nostro paese in questo settore ha un profilo di mercato maturo e non sono prevedibili crescite nel futuro.
Alle stesse conclusioni, con dati ancora più precisi, è arrivato anche l’Osservatorio Modena Skipass, che nell’ultima edizione dell’autunno scorso ha presentato un’analisi di mercato dal titolo poco lusinghiero “Sci in caduta libera”.
Secondo questo studio, che offre dati numerici inoppugnabili, basati sulle vendite di attrezzatura, in nove anni il mercato dello sci in Italia si è dimezzato. Colpa della crisi, delle nuove discipline e della settimana bianca che diventa weekend…
Dal 2004, il mercato dello sci alpino è crollato del 50%: nella stagione 2004-2005 erano stati acquistati 398.000 paia di sci, dieci anni dopo il dato scende a 173.000. Stesso trend per scarponi, attacchi e tutti gli accessori afferenti a questa disciplina, che hanno fatto crollare il fatturato da 106 milioni di Euro di giro ad appena 52 milioni.
Com’è cambiato il turismo della montagna?
Alla luce di queste valutazioni, si potrebbe pensare che il turismo invernale montano sia in crisi… ma non è così, e per capirlo analizzeremo alcuni dati di importanti osservatori di settore, partendo da dati concreti su quanto vale oggi, in Europa, la galassia degli sport outdoor in montagna, che hanno come massima espressione, numerica ed economica, l’escursionismo.
Da almeno 15 anni (con una temporanea flessione, dovuta alla crisi globale, tra il 2008 e il 2011) il mercato degli sport legati al turismo nelle aree a spiccata vocazione ambientale vive una continua crescita che, dal 2012, sale con un trend annuo del 3%.
I dati delle vendite 2014 di articoli sportivi dedicati alle attività outdoor è di oltre dieci miliardi di Euro, dove le calzature fanno la parte del leone con un incremento del +5,5%, seguite dall’abbigliamento con una crescita del 2,5%. Il mercato europeo più grosso è la Germania (26%), seguita da Inghilterra/Irlanda (14%), Francia (12%), e Italia al quarto posto con 6%, ma in forte crescita c’è l’area Est con Russia al 6% in primo piano.
In Italia il turismo outdoor, in base ai dati pubblicati a ottobre 2015 dall’osservatorio BIT, inteso come viaggi e vacanze finalizzati a praticare attività sportive all’aria aperta, vale dieci milioni di viaggi all’anno, con un fatturato di oltre nove miliardi di Euro. In queste cifre, il turismo degli sport in montagna vale oltre il 60%.
È in crisi lo sci, NON la passione per la montagna!
Questo è l’altro, per alcuni aspetti stupefacente, dato che emerge dai numeri, asettici e inesorabili: diminuisce il numero dei praticanti dello sci in pista, ma cresce il numero dei frequentatori della montagna! Le novità introdotte nel mercato delle attività sportivo-ricreative outdoor e montane hanno generato un cambiamento di abitudini.
Gli sciatori italiani si assestano oggi poco sotto ai 2 milioni di praticanti, a cui vanno aggiunti, come frequentatori delle piste di discesa, circa 500.000 snowboarder.
Ma oggi a fare tendenza sono le attività “free”… e a registrare una straordinaria impennata è lo scialpinismo che si assesta a circa 100.000 praticanti abituali, mentre il Freeride cresce con punte di 10.000 nuovi appassionati ogni anno.