Alaska: l’amministrazione Trump apre alle trivellazioni

19 agosto 2020 - 15:04

Lunedì l’amministrazione Trump ha approvato il progetto per dare il via alle trivellazioni nell’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska, una delle più grandiriserve naturali degli Stati Uniti, che si affaccia sul Mar Artico e in cui vivono specie animali rare come orsi, renne e lupi.

Dopo essere rimasta sotto tutela per oltre sessant’anni, questa immensa area selvaggia nel nord dell’Alaska rischia di essere violata dalle trivelle.

Un progetto che aveva avuto un primo via libera dal Congresso nel 2017, a maggioranza era Repubblicana, con l’approvazione di una riforma fiscale che autorizzava l’estensione dei permessi di estrazione di petrolio e gas proprio nell’Arctic National Wildlife Refuge.

Mappa dell’area elaborata dal The New York Times

Questa area protetta è oggi il più grande rifugio faunistico degli Stati Uniti, la sua estensione è pari a quella dello stato della Carolina del Nord.

Il Parco venne istituito nel 1960 dal Congresso con il  Arctic National Wildlife Range, nel 1980 venne approvata dall’assemblea legislativa un’estensione delle aree protette che ai 42000 chilometri quadrati ne aggiunse altri 37000.

La legge istituì anche un’area costiera di circa 6000 km2 tutelata ma aperta a possibili esplorazioni per la ricerca di gas e petrolio, nota come sezione 1002. Proprio questo è il tratto di area protetta che sarà perforato per la ricerca di greggio.

La popolazione americana è in larga parte contraria al progetto, uno studio sui cambiamenti climatici condotto dall’università di Yale ha rilevato come il 67% degli americani sia contrario alle trivellazioni nell’artico.

Sono molto dubbi i reali vantaggi dell’operazione

Le critiche mosse all’Amministrazione americana riguardano i vantaggi dell’operazione. Non ci sono dati attendibili sulle quantità di petrolio e gas che si trovano nel sottosuolo, è stata realizzata una sola trivellazione esplorativa nel 1986, ma i dati sono segreti.

Un’inchiesta di Artic Today del 2019 ha svelato però i dati, che si sono rilevati molto deludenti. Anche le più importanti banche d’investimento americane, come J.P. Morgan e Goldman Sachs hanno rifiutato finanziamenti all’operazione ritenuta come conveniente.

Inoltre gli studi condotti dal Governo sull’impatto ambientale del progetto sono macchiati da gravi errori e lacune, come puntualmente contestata dall’agenzia che gestisce la riserva che ha presentato un altro studio più accurato e preciso.

I profitti delle attività estrattive sono stimati dal Governo in circa 1,8 miliardi di dollari, somma ampiamente sproporzionata secondo un’inchiesta del New York Times che, con l’aiuto di alcuni studiosi ed esperti, ha calcolato una resa annua di 80 milioni di dollari, circa il 3% della somma stimata dalla Casa Bianca.

Il crollo del prezzo del greggio degli ultimi mesi, dovuto all’emergenza Coronavirus, è un ulteriore macchia sui benefici dell’operazione.

Insomma non ci sono numeri certi sui ritorni economici, non si conoscono le quantità di greggio e gas che si potranno estrarre dal sottosuolo e sono state ampiamente sottovalutati gli impatti ambientali del progetto.

 

Il valore ambientale dell’area è l’unico dato certo

Questo territorio è un vero e proprio scrigno di biodiversità e fauna. In questa parte dell’Alaska vivono orsi polari, orsi grizzly, lupi e renne, molte di queste specie animali sono protette e a rischio estinzione.

La costruzione di oleodotti, pozzi petroliferi e strade di collegamento molto probabilmente provocherebbero la migrazione e lo spostamento di questi esemplari, rompendo in modo irreversibile l’equilibrio di questo ecosistema.

L’habitat di questi essere viventi sarebbe definitivamente compromesso, un’altra parte di natura selvaggia verrebbe distrutta per far posto a manufatti industriali ad alto impatto.