Panorama sul Terminillo Terminillo - foto: E. Ferri
C’è un piccolo massiccio in Appennino Centrale, a poco più di 100 km dalla Capitale, che in questi mesi ha catalizzato l’attenzione dei social e della stampa locale e nazionale: il Monte Terminillo, in provincia di Rieti nota per la verde Valle di San Francesco oasi di pace, per i campionati internazionali di volo a vela e, in antico, considerata da Plinio il Vecchio l’Ombelico d’Italia.
La vetta più alta del Terminillo raggiunge 2217 metri sul livello del mare, si erge maestosa tra tutti i Monti Reatini ed è apprezzata per la diversità dei suoi rilievi e la bellezza panoramica che si ammira dalla cresta.
Il Gran Sasso verso l’Abruzzo, la catena della Laga verso Amatrice, il Monte Velino del Parco Velino Sirente, il Vettore del Parco dei Sibillini, il Monte Amiata verso la Toscana. Durante le belle giornate si ammira anche il Mar Tirreno, più raramente l’Adriatico.
Dalla città lo skyline del massiccio si staglia come un baluardo inconfondibile, con la nitida forma trapezoidale che si chiude ad un estremo con tre vette, all’estremo opposto con uno sperone che precipita a valle.
In origine Terminillo era già noto come Monte Gurgure e Mons Tetricus citato da Virgilio nell’Eneide, mentre Marco Terenzio Varrone decantava gli usi dei pastori di condurre il bestiame alle sue pendici.
Nell’Ottocento si chiamò Terminillo poiché rappresentava un termine, un confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli.
Sulla cresta di nome Sassetelli, frastagliata e a tratti franosa (vi si sale attraverso il sentiero CAI 401), si appuntò l’interesse dei primi viaggiatori e dei pionieri, alpinisti ed esploratori.
Nel 1903 fu realizzato il primo rifugio intitolato al re Umberto I (oggi rifugio Massimo Rinaldi a 2108 m, vi si arriva solo tramite sentiero a piedi), costruito dalla sezione del CAI di Roma ed esposto all’Esposizione Universale di Parigi prima ancora di essere sistemato sulla cima centrale.
Poi arrivarono gli anni Trenta e la montagna divenne la meta di un numero sempre maggiore di sciatori. Abbondanti nevicate rendevano il Terminillo bianco una meta apprezzata proprio per la sua vicinanza con Roma, fino al punto di guadagnarsi l’appellativo “Montagna di Roma”. Ci si arrivava allora attraverso sentiero, a dorso di mulo.
Grazie all’intervento di Angelo Manaresi allora Presidente Generale del CAI, Mussolini decise nel 1942 di far costruire una strada carrozzabile contribuendo personalmente con la somma di 400.000 lire.
Diede ordine al Podestà di Rieti di portare a termine i lavori rapidamente. Ma il Podestà dovette poi placare le critiche dei cittadini poiché molti dei fondi utilizzati per la strada al Terminillo erano invece destinati ad un’opera di maggiore interesse pubblico, la bonifica della paludosa Piana Reatina.
Da qui fu breve il passo alla retorica di regime, della montagna muscolare che tempra mente e corpo.
Il Duce era fotografato vittorioso e a torso nudo sulle pisce di sci, nella sua tipica posa statica. Anche il Giro d’Italia nel 1936 fece tappa a Terminillo con la prima crono scalata. Si decretava così l’immagine simbolica del Terminillo consegnandolo all’immaginario futuro.
Lo sci alpino, praticato fin dagli esordi con rudimentali sci in legno di frassino mentre di nocciolo erano i bastoncini, era il nuovo trend sportivo di allora.
La convincente propaganda di comunicazione messa in atto, la rappresentazione attraverso lo sport della forza e della potenza dell’identità nazionale, favorì naturalmente la creazione di una moderna stazione sciistica sul Terminillo.
Ma sul versante oggi considerato sbagliato, quello a Sud, più assolato. Non si sarebbe potuto immaginare allora che dopo meno di un secolo si sarebbero dovuti apportare correttivi e politiche per contrastare crisi climatica, riscaldamento planetario e sfruttamento intensivo della montagna su scala locale e globale.
La montagna di ogni dove non regge più gli impatti: il nuovo consumo di suolo, il disboscamento selvaggio, il turismo di massa, l’inquinamento, le cattive politiche di sfruttamento non sostenibile.
Tuttavia alcune montagne sono abbandonate, molte aree interne in Appennino sono spopolate e impoverite, resistono i vecchi e arrivano i giovani “ritornanti” che vedono proprio nella montagna la possibilità di un insediamento totalmente diverso dal passato.
Abbracciano una mentalità green, scelgono uno stile di vita e di attività lavorativa fatto di sobrietà e di libertà, di tradizione e di innovazione, cooperativo e salutare, ben lontano dallo stress che impone la grande città con i suoi ritmi e le sue leggi inesorabili.
Dopo il fervore edilizio con la costruzione di alberghi, ostelli per sciatori d’élite, ristoranti e colonie per bambini, il Terminillo subì lo stallo drammatico durante l’occupazione tedesca, tanto che fu trasformato in lazzaretto per ricevere i feriti reduci dal bombardamento di Montecassino.
Ebbe il suo momento di rinnovato apogeo soprattutto tra gli anni 60 e i 70. Residence e villini furono costruiti a Pian de Valli e rispecchiarono i canoni di un’edilizia di qualità.
Il Tempio votivo di San Francesco che ne custodisce una reliquia fu coperto da un immenso mosaico blu raffigurante la Creazione che va da cima a terra dello svettante abside neogotico.
Negli anni della Dolce vita celebri attori e registi, tra tutti Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Vittorio De Sica, venivano a Terminillo a sciare o per girare un film; in precedenza, già nel 1949, l’attrice Gina Lollobrigida scelse la chiesetta degli alpini come location per il suo matrimonio.
Lo sviluppo del Terminillo andò a braccetto con l’industria dello sci, poiché proprio questo era richiesto dagli sciatori della vicina Capitale che compravano seconde e terze case passando a Pian de Valli le vacanze e affittando gli appartamenti nei nuovi residence e villaggi costruiti stavolta ad alveare, non più destinati all’élite romana che preferiva il villino nella faggeta.
Per il Terminillo era il boom, si sdoganava il turismo bianco di massa, i maestri di sci pensavano che sarebbe stato sempre così. Anzi, la linea dello sviluppo economico in futuro sarebbe cresciuta come la neve sempre abbondante sulle piste.
Lo sci da discesa, sport popolare grazie anche al mito di Alberto Tomba, era un rito per le famiglie e tutti imparavano sulle difficili e strette piste della “Montagna di Roma”.
Sul finire del XX secolo è invece arrivato, lento ma inesorabile, il declino del Terminillo: impianti sciistici vecchi, abbandonati o chiusi, gestione criticata, sempre meno neve, hotel riconvertiti a residence, la scuola elementare chiusa, negozi serrati.
Gli sciatori romani preferivano le altre località dell’Appennino Centrale per il turismo bianco, Roccaraso, Ovindoli e Campo Felice, forse meno belle dal punto di vista del contesto paesaggistico ma servite dall’autostrada e quindi più comode. Intanto le sovvenzioni con denaro pubblico si erano interrotte.
La Cassa del Mezzogiorno, una vera e propria tecnostruttura che promuoveva sul territorio provinciale lo sviluppo assicurando interventi straordinari e tanti soldi, chiuse definitivamente nel 1992. Arrivò la crisi economica, chiusero le fabbriche più importanti e al posto della neve arrivò la depressione dell’intero territorio.
Il Terminillo non poteva sottrarsi a questa deriva. Gli sciatori, allettati dalla varietà dei servizi e dalle migliori offerte qualità – prezzo, preferivano fare qualche ora in più in macchina per sciare sulle Dolomiti o sulle Alpi facendo settimane bianche o allungando i weekend nei grandi comprensori, a quote più alte.
Finito il mito “Montagna di Roma”, il Terminillo è diventato la stazione turistica del mordi e fuggi, con impianti sciistici per la gran parte chiusi e obsoleti, con il peso di oltre 2500 appartamenti sfitti, pochissimi hotel, negozi e ristoranti, con un pugno di residenti, con due eco mostri abbandonati e mai finiti (la piscina coperta con la distruzione nella Valletta di un parco giochi pubblico; gli spogliatoi nel Campo d’Altura, il centro sportivo polivalente a 1600 metri di quota).
Ora pare difficile fare anche la manutenzione ordinaria delle strade.
La neve arriva sempre di meno, salvo annate eccezionali da foto ricordo. La “Montagna di Roma” è diventata, senza troppa consapevolezza, il paradiso dei trekker, del turismo slow, delle passeggiate contemplative di chi non vuole sudare e fare sforzi, dei ciclisti e dei motociclisti che riconoscono la qualità straordinaria del contesto ambientale fuori dall’abitato.
Ci si va per sfuggire la morsa del caldo torrido d’estate, cosicché anche quest’anno si conferma il tutto esaurito. Una nuova immagine del Terminillo sta rinascendo, senza rientrare nell’istituzione di un parco regionale.
Il massiccio è riconosciuto per essere altro, per le peculiarità naturalistiche uniche nel suo genere, per le sue faggete, per i suoi habitat protetti e fragili all’interno di un’area piuttosto piccola, battuta dai venti caldi del mar Tirreno e non dai venti freddi dei Balcani, come nel caso del vicino Abbruzzo dove le nevicate sono infatti più abbondanti.