Unione Europea: Formaggio senza latte
FORMAGGIO? IL LATTE NON SERVE!
L’Unione Europea assume sempre più la forma di un gigante burocratico che fatica a staccarsi dalla sua anima essenzialmente economica,incapace di avere una visione politica di lungo periodo.
Osservando alcune decisioni dell’Unione Europea, talvolta ho come l’impressione che l’anima meramente economica di questa “organizzazione” continuerà ancora per molto tempo a dominare le sue politiche. Questo è piuttosto evidente quando si assiste a curiosi tentativi di applicare i principi del libero mercato e del libero scambio a settori che dovrebbero andare oltre il mero lato economico, guardando anche ad opportunità e merito delle questioni.
È notizia recente l’imminente avvio di una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, per non essersi conformata alla disposizione normativa europea che “liberalizza” la produzione di formaggio anche attraverso il latte in polvere. Secondo i principi sanciti dai trattati, questa circostanza lederebbe gli operatori economici nostrani che si troverebbero ad operare in un mercato più vincolato e imbrigliato rispetto ai colleghi Europei.
Ed ecco che ci si trova davanti all’ennesimo paradosso dell’Unione, in sostanza per garantire un mercato libero e paritario, la soluzione sembrerebbe essere l’abbassamento del livello qualitativo dei prodotti, rischiando di cagionare un danno enorme ai nostri ineguagliabili sapori, alla nostra economia e all’enorme mercato del turismo enogastronomico che rappresenta uno dei più forti attrattori del nostro paese.
La disposizione legislativa messa sotto accusa dall’UE è la Legge 38 dell’11 aprile 1974 che vieta in modo assoluto l’utilizzo di polveri di latte per la produzione di formaggi, yogurt e altri prodotti caseari. La norma ha garantito standard qualitativi elevati nella produzione lattiero casearia e ha permesso al nostro Paese di presentarsi, sul mercato nazionale ed internazionale, con un’incredibile varietà di formaggi che, da nord a sud, regalano vere e proprie estasi alle papille gustative dei fortunati assaggiatori e, alla nostra economia, un forte ritorno attraverso l’esportazione.
L’Unione Europea ha deciso, quindi, che è giunta l’ora di garantire anche produttori e consumatori Italiani. Come? Permettendo l’ingresso nel nostro mercato di prodotti caseari a base di polveri di latte, rischiando di pregiudicare seriamente una cultura alimentare che meriterebbe di essere non solo tutelata, ma studiata ed esportata. Ma, come ci fa notare Carlo Petrini, in una delle stanze dei palazzi di Bruxelles si è deciso che il formaggio si fa anche senza latte e tanto basta per far si che al Governo Italiano si imponga
la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito nella fabbricazione dei prodotti lattiero-caseari.
Ci troviamo dinanzi all’ennesima prova del lavoro che l’UE sta continuando a porre in atto, troppo legato a principi economici e a decisioni prese sulla carta e poco attento alla tutela dei beni storici e del patrimonio culturale del vecchio continente, dimenticando che l’anima delle grandi nazioni europee è fatta di tradizioni e culture, dalle quali muovere per una vera maturazione del gigante Europeo, che non dovrebbe omologare a tutti i costi, ma semmai tutelare e promuovere le peculiarità di ogni popolo.
Questo non è che l’ultimo attacco alle eccellenze enogastronomiche nostrane, in passato Bruxelles ha già fornito prova di grande acume politico dando il via libera al cioccolato senza cacao, al vino senza uva consentendo, addirittura, la commercializzazione dei micidiali wine-kit che, attraverso l’unione di una polvere con l’acqua, restituiscono al consumatore un beverone al sapor di vino, sulla cui qualità è inutile dilungarsi. Adesso con il formaggio senza latte «siamo di fronte all’ennesimo diktat di un’Europa che tentenna su emergenze storiche come l’immigrazione» denuncia il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo:
ma poi è pronta ad assecondare le lobby che vogliono costringerci ad abbassare gli standard qualitativi dei nostri prodotti alimentari.
L’impressione, a voler credere nella buonafede, è che l’Unione Europea debba ancora fare un lungo cammino verso una maturazione istituzionale, per cercare di staccarsi dalle fredde e astratte logiche economiche di mercato, per diventare un ente che tuteli le eccellenze e le diversità di ogni singolo popolo, vera ricchezza di questo continente. Nella cattiva fede, invece, non vogliamo proprio credere.
L’Opinione di
Italo Clementi