Walter Bonatti: Tra mito e leggenda!
Ogni epoca ha i suoi idoli. I bambini di oggi si identificano con i Valentinirossi, i Totti, gli Schumacher e i miti effimeri dei film e
delle canzonette.
Io volevo essereWalter Bonatti. Erano i primi ’60. Il tempo delle grandi avventure e delle grandi tragedie sul Monte Bianco. La neonata cronaca televisiva, affamata di sensazionalismo ed eroi, portava dentro le case le emozioni e le storie dell’alpinismo e dei suoi protagonisti. Sia pure attraverso la cronaca distorta del dramma umano, un mondo che fino ad allora era rimasto confinato entro una ristretta cerchia di “eletti”, coinvolgeva, appassionandola, la gente comune.
Nelle mie “esplorazioni” ogni sasso diventava una “aghidupeterè”; nella fantasia identificavo questo suono esotico, che spesso ricorreva nelle telecro- nache di Emilio Fede, con la montagna più difficile del mondo. Mi arrampicavo dappertutto. Sugli alberi, sui muri in pietra a vista delle case, sui ter- rapieni delle strade, sugli stipiti delle porte!
Le ginocchia perennemente spelate e doloranti testimoniavano le mie conquiste. E arrampicandomi, o anche solo percorrendo un nuovo sentiero, alla scoperta di un angolo sconosciuto di bosco, spesso tra me e me ripetevo ossessivamente, come una nenia: “sono Walter Bonatti sull’aghidupeterè… sono Walter Bonatti, il più grande alpinista del mondo”.
Poi sono cresciuto. Ho imparato ad accarezzare le rughe della roccia, a stare in equilibrio, appoggiato su qualche millimetro di ramponi e piccozze, su lastre verticali di cristallo gelato, a sopportare la furia del vento a ottomila metri, a nascondermi come un topo in un buco scavato nel ghiaccio per ripararmi dalla bufera. Ho scalato grandi montagne, ho conosciuto grandi scalatori e alpinisti. Ho condiviso con loro l’emozione proibita di sfidare la natura.
E considero Walter Bonatti “colpevole”, pur senza saperlo, di avermi obbligato a vivere inseguendo i miei sogni. Oggi Walter ed io siamo amici, legati da quel groviglio di pensieri che spesso fa dimenticare la realtà per inseguire fantasie.
Ascolto i suoi racconti, che nella semplicità della descrizione contengono gli elementi del mito e della leggenda. Perché lui è l’ultimo, grande e fortunato esploratore del nostro mondo.
Chiunque sia stato ragazzo quarant’anni fa ha conosciuto i luoghi più selvaggi del pianeta attraverso le sue immagini e racconti d’avventura, pubblicati a puntate su una prestigiosa rivista negli anni ’70.
Seguendo le tracce invisibili degli avventurieri romantici, da Livingstone a Lewis e Clark, da Schakleton ad Alberto De Agostini, ha raccontato con straordinari reportages gli ultimi segreti della Natura.
Prima che l’inganno della “realtà virtuale” e l’ubriacatura di informazioni che caratterizza i nostri giorni uccidessero la fantasia.
Un sogno nato sulle rive del Po
“Ho vissuto la mia fame di avventura fin da bambino, sulle rive del grande fiume italiano; a stretto contatto con la natura, sia pure nell’ambiente rurale della bassa padana, ho scoperto la curiosità, la capacità di sognare.
Nella mia fantasia i sabbioni del Po diventavano deserti, i piop- peti grandi foreste, e la linea azzurrina delle Prealpi Bresciane sull’orizzonte lontano, irraggiungibile, rappresentava per me il tetto del mondo.
Un tronco portato dalla corrente diventava una nave per viaggiare e scoprire mari sconosciuti. Materializzavo nella realtà quotidiana, con la fantasia, le suggestioni di cui mi nutrivo leggendo quelli che consideravo i miei “vangeli”: le straordinarie avventure di Jack London, Melville, e tutti i grandi viaggiatori, esploratori e avventurieri della letteratura.
La mia prima, grande avventura è stata attraversare a nuoto il Po, che ai miei occhi di ragazzino pareva un’impresa titanica. Poco importava se la riva emiliana e quella lombarda erano assolutamente identiche; tra loro c’era l’o- stacolo e il pericolo, rappresentati dalla corrente, e in gioco la paura da vincere e l’apparentemente impossibile da superare.
Sono state queste le premesse della mia vita. Il passo verso le cime è stato breve, probabilmente ineluttabile: nei soggiorni estivi presso i parenti di mia madre, che vivevano in Val Seriana, nel bergamasco, i miei cugini, un po’ più grandi di me, mi portavano alla scoperta del bosco e della montagna.
Sempre spinto da un’invincibile curiosità, mi sono soffermato ad ammirare quell’ambiente affascinante, e dai sentieri l’avvicinarmi alle pareti che li sovrastavano è stato inevitabile.
Ricordo la prima volta che ho appoggiato le mani sulla roccia, e ho capito che avrei dedicato la mia esistenza all’alpinismo.
Ho regalato alle montagne una grande parte della mia vita, sposando incondizionatamente gli ideali dell’alpinismo classico, quello del periodo tra le due guerre, che si coniugava perfettamente con il mio desiderio di avventura, e per vent’anni le pareti verticali sono state il palcoscenico su cui sfidare i miei sogni e le mie paure.
Ad un certo punto però, intorno alla metà degli anni sessanta, mi sono reso conto che rimanendo coerente con il tipo di alpinismo che mi ero imposto, avevo raggiunto il limite oltre il quale non sarei riuscito ad andare.
La salita della parete nord del Cervino d’inverno ha rappresentato il confine invalicabile per il mio modo di intendere l’alpinismo, con i mezzi tecnici che avevo deciso di utilizzare, magari arcaici, ma che consentivano, senza bluff o “aiuti” tecnologici, la massima espressione delle proprie capacità, sia fisiche che psichiche.
Mi resi conto che continuando su quella strada avrei soltanto potuto raggiungere ancora quel confine, ma certamente non superarlo.
Il bisogno di indagare le emozioni, per mezzo della mia curiosità, mi ha “costretto” allora ad allargare l’orizzonte al mondo intero, e in particolare alla natura selvaggia che attraverso le storie dei grandi narratori d’avventure avevo percepito ma non ancora conosciuto.
Ho trasposto, con tutte le sue componenti psicologiche, l’avventura verticale rappresentata dall’alpinismo nell’avventura orizzontale alla scoperta del mondo, in quel momento altrettanto affascinante e galvanizzante per il mio bisogno di scoprire e vivere nuove emozioni.”
Se ti nasce il gusto di scoprire…
“Come già avevo messo in pratica nel mio alpinismo, che si rifaceva alle grandi imprese degli anni ’30, anche nell’esplo- razione ho scelto di confrontarmi coi protagonisti dell’epoca eroica delle scoperte geografiche, che dalla metà del 1800 ai primi decenni del XX° secolo hanno rivelato gli ultimi segreti del pianeta.
Lasciando ben poco spazio alla modernità e alle tecnologie. Ho cercato di “reinventare” alcune delle storie che avevano suggestionato per sem- pre la mia fantasia, ripercorrendo le tappe del viaggio che Melville descrive nel suo primo romanzo, ammirando gli spazi del Grande Nord raccontati da London.
E ho scoperto che, nella loro grande arte, non avevano fatto altro, con le parole dei loro racconti, che “fotografare” la realtà. Una realtà così lontana dalla nostra da diventare immaginazione, leggenda, fantasia.
Questi grandi narratori non hanno inventato nulla, ma solo vissuto e descritto la realtà del mondo oltre i confini della consuetudine e della quotidianità. Anch’io ho cercato di regalare emozioni raccontando il mondo, senza distorsioni o abbellimenti romanzeschi e artificiosi.
Mentre nel mio confrontarmi con la montagna volevo superare limiti e “frontiere” raggiunte da chi mi aveva preceduto, l’andare alla scoperta del mondo selvaggio non è stato un lottare e cercare di vincere “contro” qualche cosa, bensì la ricerca di un punto di incontro con la Grande Natura e i suoi protagonisti, i popoli ancora svincolati dalle regole della nostra realtà e soprattutto i grandi animali selvaggi.
Ho vissuto avventure straordinarie, e ancora una volta è stata la suggestione provocata dai grandi narratori a spingermi, a mia volta, a raccontare queste emozioni.”
L’emozione più grande
“A volte, come nella mia esplorazione delle coste della Patagonia cilena, all’e- stremo meridione del continente sudamericano, ho vissuto la consapevolezza di essere il primo uomo a calpestare un territorio sconosciuto. È una sensazione grandiosa. Contemporanea alla convinzione, maturata in un attimo di ragionevolezza nella follia di quell’impresa, che esistono luoghi dove l’essere umano, con le sue sole forze, non può sopravvivere. Per le condizioni climatiche, per l’assenza totale di possibilità di trovare del cibo sia vegetale che animale, per l’idea di abban dono e solitudine che ti aggrediscono mentre ti accorgi che, per quanto tenace e determinata possa essere la tua volontà, la forza della Natura è infinitamente superiore alla tua.” L’ultima frontiera “I miei sogni nascosti non hanno un nome, un luogo, un paese.
Rappresentano semplicemente il desiderio di far succedere qualche cosa in grado di mantenere vive le emozioni che ho inseguito per tutta la vita. Non importa se poi questo succede in capo al mondo o a casa mia.
Il mio sogno nel cassetto è di poter continuare a inseguire le mie fantasie, conoscermi, scoprirmi.
Io la propongo sempre come una battuta, ma contiene un fondo di verità: mi manca la vecchiaia che di solito si attribuisce a un settantenne, perchè a dispetto dei capelli bianchi non riesco a superare i diciotto anni che mi sento addosso, mentre se analizzo le esperienze e i drammi vissuti mi sembra di averne duecento
. Percepisco uno sfasamento tra la mia vita biologica, fisica ed emotiva. Pertanto sono arrivato alla conclusione che la vita vera non è rappresentata dagli anni trascorsi, ma dalle esperienze e conoscenze accumulate. Altrimenti uno potrebbe vegetare anche mille anni senza aver vissuto realmente.”
Esiste l’Avventura?
“Se parliamo di luoghi geografici, esiste ancora sul nostro pianeta qualche piccolo angolo sconosciuto, in Africa, tra le montagne himalayane, nelle solitudini sconfinate del Grande Nord, ma senza grande interesse scientifico
. Tuttavia la valenza “straordinaria” è quella che noi siamo in grado di dare alle nostre esperienze.
È vero che l’ignoto geografico non esiste più, ma l’Avventura è l’ignoto che abbiamo dentro di noi, un luogo immaginario e fantastico che può farti vivere emozioni straordinarie anche dentro le mura di casa tua.
Il mondo geografico è ormai tutto esplorato, ma l’universo infinito che ci portiamo dentro non riusciremo mai a percorrerlo completamente. È questa la grande Avventura di ogni uomo.”