Alberi da record: l’ABETE, l’albero del cuore
Alberi straordinari protagonisti della vita sul nostro pianeta: l’ABETE
Così regale e perfetto, l’albero della nostra infanzia, del nostro Natale, è unodei simboli naturali più rappresentativi della montagna italiana. A quanti di noi sarà capitato di sfogliare la pagina iniziale di qualche avventura di Paperino con la mitica 313 annaspante ai margini di un qualche lontano bosco di abeti? Le conifere di Walt Disney sono forse abeti di Douglas o dell’Oregon: quelle che incontriamo sulle nostre montagne sono invece abeti bianchi (Abies alba) o rossi (Picea excelsa), specie tipicamente europee.
Alle nostre latitudini gli abeti rossi più famosi sono sicuramente quelli della Foresta di Paneveggio dove si racconta che fosse Stradivari in persona a scegliere gli alberi più idonei alla realizzazione dei suoi violini: abeti rossi plurisecolari il cui legno, grazie alla sua particolare capacità di “risonanza”, forniva ai liutai la materia prima ideale per la costruzione delle casse armoniche.
Il legno dell’abete rosso è infatti particolarmente elastico, trasmette meglio il suono e i suoi canali linfatici sono come minuscole canne d’organo che creano risonanza. Un altro bosco famoso si trova nei pressi di Palus San Marco, circa a metà strada tra Auronzo e Misurina: il bosco di Somadida.
Donata nell’anno 1463 dalla Magnifica Comunità Cadorina alla Serenissima Repubblica di Venezia, se ne ricavavano robuste alberature per le navi. I lunghissimi alberi, una volta scelti dal mastro d’ascia, venivano trasportati via terra fino a Perarolo e da qui con zattere raggiungevano via acqua (attraverso il fiume Piave) l’Arsenale di Venezia.
Spostiamoci più a ovest per incontrare un’altra nota storica, legata in questo caso all’Abetina Reale, che occupa il lato destro dell’Alta Valle delle Dolo (siamo sull’Appennino reggiano), fino al crinale appenninico al confine con la Garfagnana: è una delle foreste di conifere che, nell’Appennino Settentrionale, sopravvivono come popolazioni autoctone relitte delle epoche a clima più freddo.
Una particolarità botanico-ambientale che si unisce alla nota storia di questa area boscata: già feudo dei Canossa, diventa nel 1415 possedimento degli Estensi, i quali cominciano quello sfruttamento di legname che ha segnato queste foreste fino al XX secolo. Tra i nuclei spontanei di preziosi e slanciati abeti bianchi secolari, coesistono esemplari di impianto antropico, derivati dall’attività economica legata alla segheria, mentre intorno si estendono le foreste di abete rosso ed altre conifere, frutto di successivi rimboschimenti.
In Piemonte, il Parco Naturale di Salbertrand è stato istituito nel 1980 per tutelare un prezioso patrimonio naturalistico e, in particolare, arboreo, come testimonia la presenza di ben 700 ettari di foresta mista di abete rosso e di abete bianco. Scendendo di latitudine, a pochi chilometri dal mare, la Foresta di Gouta è la più estesa della Liguria e presenta splendidi esemplari di abete bianco.
Scendiamo ora all’estremo sud, in Sicilia, all’interno del Parco delle Madonie, tra le conifere che caratterizzano il patrimonio forestale siciliano, dove trova la sua naturale ubicazione la popolazione di Abies Nebrodensis, che rappresenta il caso più celebre per l’interesse epiotologico, per la potenzialità forestale e per la sua condizione di specie relitta.
La specie, interessata da reale pericolo di estinzione, è stata inserita dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) nella lista delle 50 specie botaniche più minacciate dell’area mediterranea. La popolazione di questa specie è di appena 29 esemplari distribuiti discontinuamente nell’ambito della fascia altimetrica compresa tra 1400 e 1600 metri, tra il Vallone Madonna degli Angeli, Monte Scalone, Monte dei Pini e Monte Cavallo, nel territorio del Comune di Polizzi Generosa.
Alberi da record: L’abete bianco di Vesenda
Nella Valle del Bitto in Albaredo, in Provincia di Sondrio, vive un magnifico esemplare di abete bianco che in dialetto locale prende il nome di Avèzz de Üusénda, forse l’albero più noto della Valtellina. L’età dell’antica conifera è stimata tra i 300 e i 350 anni mentre le sue dimensioni testimoniano, soprattutto per chi non ha ancora avuto la fortuna di vederlo dal vivo, un aspetto maestoso e imponente. Come si legge nel cartello presente ai suoi piedi, l’albero è alto quasi 39 metri, ha una circonferenza di 5 metri e 60, un diametro a petto d’uomo di 1 metro e 79 a cui va aggiunto il volume del tronco principale di 26,60 metri cubi e quello dei tronchi secondari di 6 metri cubi.