Camerun: sulle orme di Gerald Duller – Parte 2, la “Rain Forest”

18 marzo 2020 - 4:05

Un viaggio in tre tappe nei luoghi descritti dal naturalista inglese nei suoi libri, una “terra zeppa di vulcani ammantati di giungle”. Qui Gerald Durrell mosse i suoi primi passi circondato da una miriade di bizzarri animali selvatici in via di estinzione che insieme ai suoi “segugi di Bafut” catturò e imbarcò sulla sua “arca sovraccarica”.

A “caccia” di animali rari

Ripartiamo verso l’interno sulle tracce del naturalista che dopo aver lasciato Victoria, uno dei posti più piovosi del mondo, raggiunse Kumba descritta come un “villaggio relativamente civilizzato” e con “una popolazione bianca di circa dieci anime”: la regione, forse la più interessante di questa autentica “Africa in miniatura” che è il Camerun, è tempestata di laghi vulcanici e uno di questi specchi d’acqua “di forma quasi perfettamente rotonda e la cui riva è protetta dagli alberi” fu visitato dal naturalista.

Quello che esploriamo noi, il Barombi-Mbo, si trova all’interno di una famosa riserva forestale e sovrasta Kumba; lo frequenta una discreta popolazione di scimpanzé (Pan troglodytes troglodytes) e nella penombra degli alti alberi che dall’interno del cratere si estendono fino al suo orlo osserviamo le gigantesche drupe arancioni del cacao. Arrivato a Mamfe, villaggio non lontano dall’odierno parco di Korup che protegge una “vasta, scura e profumata foresta primaria”, Durrell cominciò a esplorare lo scenario naturale che per mesi avrebbe costituito sia un banco di prova per le sue attitudini nell’allestimento di uno zoo all’aperto sia una sconfinata palestra dove esercitare praticamente la sua vocazione per l’etologia.

La città è descritta in “Luoghi sotto spirito”: l’insediamento è “appollaiato su un promontorio che dà sull’ansa di un gran fiume melmoso nel bel mezzo di una foresta pluviale” e l’aria “umida e afosa come un bagno turco” lo rende insalubre per i “diecimila Africani bercianti e i sei Bianchi” che lo animano.

Tutta l’area del Cross River, proprio per il clima estremo, si sarebbe rivelata pullulante di forme di vita tanto sfuggenti quanto bizzarre, adatte in ogni caso a soddisfare appieno gli istinti di caccia e di studio del giovane scienziato: vi avrebbe catturato di volta in volta rospi “educati”, pangolini “tristi”, drilli “capricciosi” per il quali ebbe sempre un debole, cercopitechi naso-bianco che “sembrano pagliacci” e turachi giganti “acrobati provetti” che riteneva essere, secondo noi a ragione, “i più belli fra gli uccelli della foresta”.

La “rain forest” di Gerald Durrell

Le descrizioni di Gerald Durrell della foresta di notte, coi suoi suoni, le sue ombre e le sfuggenti creature cui dà ricovero dovrebbero essere lette da ogni appassionato di ecoturismo, e sono oggetto di approfonditi confronti con le sensazioni che proviamo percorrendola durante i nostri trekking notturni.

Nel folto della gocciolante rain forest camerunese Gerald Durrell si lasciò inebriare dal turbinio degli odori e rimase spaesato per la miriade di rumori sovrapposti, alcuni “tanto apparentemente vicini quanto in realtà emessi da animali invisibili o lontanissimi”. A volte, aggirandosi per ore nella foresta, confessò di provare una grande frustrazione meditando sui mille occhi che lo scrutavano senza che lui potesse individuare altro che alberi e liane, quasi che quel “vasto spazio di luce verdastra diffusa sotto la volta formata dagli alberi, come quella che rischiara un acquario, fosse assolutamente vuoto”; in altre occasioni al contrario la caccia fruttò un buon bottino per la sagacia dei suoi “segugi” camerunensi. Durrell riconosceva proprio alle sue fidate guide africane che chiamava” “i miei segugi di Bafut”, dal nome di una città camerunese, un ruolo di primo piano nel successo della missione affidatagli dalla Zoological Society: catturare animali rari, in quanto i nativi “conoscono ogni abitudine delle creature della selva e ogni suo cespuglio come le loro tasche”, così che individuavano e talvolta catturavano animali rarissimi che altrimenti sarebbero risultati imprendibili.

Come avvenne ad esempio sullo N’da Ali, un enorme vulcano spento che si osserva dal villaggio di Manfe, dalla “sagoma velata di nebbia, che tutto sorveglia dall’alto delle sue cime custodite da pareti scoscese di granito butterato, sulle quali nessuna pianta poteva crescere”: è qui, in una radura nascosta nella fitta foresta, dove lo condusse l’unica guida-stregone cui era permesso salire sulla montagna a causa di un antico ju-ju (così i locali chiamano ancor oggi lo spirito che protegge un certo luogo dagli intrusi), che Durrell poté incontrare finalmente alcuni branchi di cercopitechi mona (Cercopithecus mona), uno tra i primati più variopinti di tutta l’Africa centrale che, con un po’ di fortuna, incontriamo anche noi in una delle nostre scorribande nella rain forest.

Leggi anche

La prima puntata: Camerun: sulle orme di Gerald Duller – Parte 1, impressioni d’Africa

L’ultima parte del viaggio: Camerun: sulle orme di Gerald Duller – Parte 3, verso la Guinea

Testo e foto di Riccardo Nincheri

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