Madagascar: diario di un viaggio in bicicletta
Siamo seduti a terra con le cartine sparpagliate lungo tutta la casa. I miei compagni di viaggio indicano un lembo di terra nel Nord-Est dell’isola.
“Secondo me quellaparte in bici non si può fare” dico. “Il terreno è fangoso e sabbioso e ci sono troppi fiumi da attraversare.”.
Gli altri invece dicono che si può fare. Io replico: “si potrebbe fare, ma sarà un massacro.” Andiamo alle votazioni. 3 si, un no (il mio) e un astenuto (era in bagno a fare pipì). Deciso, si fa.
Siamo ad Antalaha, una piccolissima città all’inizio della penisola di Masoala, nel Nord-Est del Madagascar, la cosiddetta costa della vaniglia e dei pirati.
Scaricati i bagagli, all’appello manca una bici. Il tizio dell’aeroporto ci guarda e ci dice: “La bici arriva giovedì, in questo aereo non ci entrava”. Noi urliamo come scimmie impazzite che è lunedì e che dobbiamo partire subito altrimenti non riusciremo a prendere l’aereo di ritorno per l’Italia. Lui ci guarda e con un sorriso sdentato dice: “La bici arriva giovedì”.
Il tempo in Africa ha un valore diverso. Il piccolo aeroporto si svuota e le mucche e le galline riprendono a vagare spensierate sulla pista di atterraggio.
Gerard, la nostra guida, si fa prestare una bella bici africana con tanto di portapacchi fatto con barre di ferro saldate. Si parte. Si inizia con tranquillità, una pedalata agile e un buonumore di quello che ti senti leggero.
La sera ci fermiamo in dei bungalow in mezzo alla foresta, ci mettiamo a tavola, dei ragazzi suonano una chitarra fatta con un pezzo di legno e dei fili di nilon, tutti e cinque cantano una canzone africana, qualcuno da il tempo battendo sul tavolo. Per cena aragosta e del buon pesce. Un buonissimo liquore alla vaniglia ci da la buonanotte.
Fa un caldo tremendo, ci saranno 40 gradi all’ombra. Meno male che io sono sotto il sole.
Il terreno è diventato sabbioso e si procede a passo d’uomo zoppo. Ogni tanto da una curva salta fuori una baia stupenda, di quelle che ti viene da sdraiarti e non spostarti neanche a martellate.
Tutte le volte che possiamo ci spogliamo e ci buttiamo in acqua, facciamo una nuotatina stando attenti agli squali e ripartiamo. Il sale marino e il sudore formano una simpatica miscela che irrita e scartavetra la pelle.
Ottimo per le irritazioni. Per farle venire intendo. Il caldo tremendo è intervallato da piogge tropicali di quelle che ti arrivano a secchiate d’acqua per mezz’ora e poi ritorna tutto come prima. In pratica tra il sudore e la pioggia si sta sempre bagnati.
Ci sono diversi fiumi da attraversare in piroga, questo ci rallenta molto, ma siamo in Africa, qui tutto scorre “M’ora M’ora” piano piano.
Questa è la filosofia di un intero continente, piano piano e con il sorriso aggiungerei io. Qualcosa che noi occidentali abbiamo dimenticato. Il valore della lentezza. Il valore del sorriso.
Una volta in un film ho sentito che il segreto della felicità sta nella lentezza. A guardarli mi sembrano sereni. La sera, odore di legna bruciata e candele dentro le capanne.
Abbiamo percorso 150 chilometri e dopo un breve trasferimento in barca siamo arrivati nel parco di Tampolo dove un simpatico francese ci accoglie nei suoi puliti e confortevoli bungalow.
Da lì parte un trekking dentro la foresta pluviale, un mondo fatto di suoni e odori meravigliosi e da un’umidità da bagno turco.
Basta fare pochi passi all’interno per avere la sensazione di avere una coperta bagnata sulle spalle. Ma è un mondo a parte.
Uccelli, insetti, e animali vari suonano una sinfonia perfetta, che ti accompagna e ti invita a fare yoga sotto un albero. Effettivamente il mondo è stato creato con la colonna sonora. E i profumi. È come respirare dentro una bottiglia di bagnoschiuma fragranza Bouquet Tropicale, fantastico.
Dopo poco riusciamo a vedere i lemuri, stanno in cima a grossi alberi e si fanno i fatti propri.
Durante la camminata incontriamo anche un geco perfettamente mimetizzato sul tronco di un albero, dei camaleonti di diverse specie, uccelli e insetti dalle forme curiosissime, una rana nana, o almeno così ci dice la guida, e per un attimo sono stato fermamente convinto di aver visto tra gli alberi il fantomatico leone del Madagascar, poi purtroppo ho scoperto che era solo il nostro compagno di viaggio Ciccio detto “il Peloso” in preda a smottamenti intestinali.
La sera rifacciamo un altro trekking nella foresta ed è pazzesco vedere come i suoni, gli odori e gli animali siano completamente diversi dal mattino. La natura ha organizzato i turni per tenere coperto il servizio.
Dicono ci sia la cosiddetta “ora blu”, un momento di silenzio all’imbrunire quando si può vedere una striscia blu all’orizzonte, quando gli animali diurni vanno a dormire e quelli notturni non hanno ancora timbrato il cartellino. Tutto si ferma per un attimo e di colpo tutti insieme ripartono.
Dopo un altro emozionante trekking nell’isola di Nosy Manga Be arriviamo in barca a Maroantsetra, lì salutiamo le nostre guide Gerard e Pascal e continuiamo da soli verso Sud, in direzione di Tomasina.
Qui il terreno è molto sabbioso, i villaggi sorgono proprio sulla sabbia, la loro economia è basata principalmente sulla pesca e sul commercio della vaniglia.
Dopo due giorni partiamo da Manombalosy, un triste villaggio che vuole a tutti costi fare la città, pochi chilometri dopo siamo a Mananara dove ci sediamo in una locanda e per colazione ordiniamo: pane, burro e marmellata, omelette, pesce fritto, patatine, papaia, banane e ananas flambé il tutto annaffiato dalla famosa birra Three Horses.
Un caffè e siamo pronti per ripartire. Il tipo del bar ha la faccia sconvolta, sembra non abbia mai visto mangiare così tanto e così male in vita sua. Si riparte sotto un sole da “farsi alla brace” e con la pancia che scoppia. Dopo poco iniziano le salite, un sali e scendi con una pendenza che ti sembra di cappottare all’indietro.
È sera e siamo accampati in un posto da sogno. Una baia deserta, con la vista dei fuochi del villaggio in lontananza. Il capo villaggio ci viene a trovare e si siede accanto a noi vicino al fuoco.
gesti e in un francese traballante ci raccomanda di non mettere le tende sotto le palme da cocco perché se di notte te ne casca una sulla tenda muori nel sonno.
Purtroppo due dei nostri compagni di viaggio hanno problemi di stomaco, un po’ di febbre e vomito. Diciamo che il terreno attorno alle nostre tende è un campo minato. Meglio non andare in giro scalzi. Due di noi oggi non potranno pedalare. Il capo villaggio ci aiuta a farci salire su un taxi brousse, un fuoristrada carico di persone, cose, galline, maiali. Un viaggio psichedelico di 24 ore per percorrere 64 chilometri.
Arrivati in condizioni pessime a Ivongo prendiamo una sorta di aliscafo per l’isola di Sainte Marie, qui nel 1695 i pirati hanno creato l’”Utopic Republic of Pirates”, ma dopo poco tempo furono messi KO da febbri e malattie tropicali di vario genere.
Siamo ospiti di Libertalia, un confortevole complesso di bungalow, anzi per i miei gusti anche troppo lussuoso. Appena arrivati ci scoliamo un paio di drink alcolici a base di cocco e vaniglia. È ora di pranzo e siamo già allegri.
Al mattino partiamo per il giro dell’isola, una piacevole pedalata di 54 chilometri, ottima per riprendersi dalla stanchezza dei giorni precedenti. Nella parte centrale dell’isola incontro dei bambini che giocano disegnando sul terreno con un pezzo di legno, mi fermo a salutarli e incominciano a tracciare la silhouette della mia ombra.
Quando hanno finito hanno fatto un disegno bellissimo, un Bazah (uomo bianco) in bicicletta, mi viene da prendere questo pezzo di terra e portarlo a casa. L’accoglienza di questa gente riscalda il cuore, i bambini salutano e ti danno gioia senza chiedere niente in cambio. I vecchi davanti le capanne guardano divertiti la nostra piccola carovana che attraversa i villaggi alzando la polvere e l’umore.
Siamo al porto, stiamo per salire sulla barca che ci riporta a Ivongo. È l’alba, l’acqua è piatta, l’aria è immobile. Qualche cane già stanco cerca un posto al riparo prima che il sole incominci a tirare legnate.
Qualcuno al baretto beve un succo di pomodoro corretto con alcol che a vederlo non so come non ho vomitato. Il motore ha qualche problemino. In cinque o sei smanettano, smontano pezzi, qualcuno tira qualche cazzotto agli ingranaggi. Dopo mezz’ora di sudore e parolacce in malgascio sembra che tutto si sia sistemato.
80 chilometri d’asfalto volano via in un soffio e siamo a Mahambo. Ancora con i caschi arriviamo in bici fino quasi a toccare il mare, ci spogliamo e via con l’ultimo tuffo nell’oceano indiano. Il sapore amaro della via di ritorno si fa sentire. Anche questo viaggio è concluso e saluto questo fantastico continente con le parole di un mio amico africano che vive in Italia: “Per vivere in Africa devi essere un guerriero nella vita.
Un africano vive felice dovunque, vive con poco, vive senza paure.
Da noi i bambini giocano insieme e non stanno davanti alla televisione o davanti al computer, gli amici fanno parte della famiglia come fratelli di sangue, la parola vale più di un contratto, le persone anziane sono fonte di saggezza e non vengono chiuse nelle case di riposo, tutto quello che si cerca è il necessario per vivere, il resto è superfluo”.
Abbiamo molto da imparare dall’Africa.
Ringraziamo i nostri compagni di viaggio Francesco Ciancitto (detto “Ciccio pelo”), Fabio Faranda, Gianfranco Lombardi.
Le tappe del viaggio
Il nostro tragitto in bici inizia dalla città di Antalaha sulla costa Est del Madagascar.
La prima parte del viaggio si svolge tutta all’interno della penisola di Masoala, la più grande area naturale del Madagascar e patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Il parco comprende una diversa varietà di ecosistemi che va dalle foreste primarie alle barriere coralline, dalle foreste di mangrovie sino alla foresta pluviale ed ospita una grande biodiversità floristica e faunistica, tra cui diverse specie endemiche di camaleonti e lemuri.
Prima tappa
Nei primi 3 giorni abbiamo percorso circa 150 chilometri da Antalaha (dove si trova l’ingresso nord del parco) fino ad arrivare a Cap Masoala (nella punta sud del parco).
Il tragitto ha poco dislivello, ma il fondo a tratti è molto sconnesso con parti di sabbia e fango e diversi fiumi da attraversare in piroga, la pista si snoda tutta tra la foresta pluviale e la costa dell’oceano indiano con bellissime insenature ricche di barriere coralline e diversi villaggi incontaminati dove è possibile rifornirsi di acqua in bottiglia e frutta. Per quanto riguarda l’alloggio si dorme in tenda o in bungalow nei villaggi.
Seconda tappa
Dalla punta sud del parco (Cap Masoala) abbiamo proseguito il nostro viaggio in barca, poiché la foresta diventa troppo fitta e il sentiero troppo sconnesso da fare in bici.
Dopo 3 ore di navigazione siamo arrivati nel villaggio di Tampolo, un paradiso naturale dove la foresta primaria incontra il mare. In questa zona si possono fare belle escursioni nella foresta per ammirare la lussureggiante vegetazione e le diverse specie endemiche di camaleonti e lemuri.
3a tappa
Il quinto giorno abbiamo proseguito in barca per l’isola di Nosy Mangabe, una piccola area protetta nella baia di Antogil a 2 chilometri al largo di Maroantsetra.
La prima impressione che si ha arrivando nell’isola è di essere arrivati a Jurassic Park. Sull’isola non ci sono strutture turistiche, ma esiste un campo attrezzato con bagni e cucine.
Dopo una bella escursione a piedi nell’intricata foresta con una guida locale, dove abbiamo avvistato diversi lemuri, camaleonti e gechi, abbiamo proseguito in barca per la città di Maroantsetra (alloggio in bungalow).
Quarta tappa
Il sesto giorno siamo partiti da Maroantsetra in direzione sud verso la costa della vaniglia, il percorso diventa meno sconnesso rispetto alla prima parte del viaggio e dopo circa 90 chilometri e diversi fiumi attraversati in piroga, siamo arrivati nel villaggio di Manompalosy.
Il villaggio offre poche strutture ricettive e quelle poche lasciano molto a desiderare!
Quinta tappa
Il settimo giorno è stato il più duro di tutto il viaggio, dopo aver attraversato la città di Mananara la pista si inoltra nella foresta con ripidi pendii in salita e discesa, con tratti molto sconnessi con parecchio fango e rocce forse più adatti a una bici da downhill che alle nostre bici stracariche! La notte l’abbiamo passata in tenda nel villaggio di Ivontaka.
Sesta tappa
L’ottavo giorno 2 del nostro gruppo non riuscendo a proseguire in bici per dei problemi intestinali hanno continuato in jeep, mentre con il resto del gruppo abbiamo proseguito in bici per 35 chilometri e abbiamo preso anche noi la jeep per gli ultimi 50 chilometri che ci separavano da Ivongo (pernottamento in tenda).
Settima tappa
La mattina dopo abbiamo preso un battello da Ivongo per l’isola di Saint Marie.
L’isola è un paradiso tropicale anche se più turistica rispetto alla selvaggia Costa della Vaniglia.
Per pernottare si trovano diverse strutture dagli spartani bungalow ai resort di lusso, noi abbiamo optato per dei bungalow di media categoria per ritemprarci delle fatiche dei giorni scorsi.
Ottava tappa
Dopo un giorno di riposo il decimo giorno abbiamo fatto il periplo dell’isola in bici (50 chilometri circa) dove si possono ammirare stupende spiagge e la zona interna con dei tipici villaggi.
Nona tappa
L’undicesimo giorno abbiamo percorso qualche chilometro in bici per andare a vedere l’Ile aux Nattes, un isolotto a sud di Saint Marie dove si trovano alcune delle più belle spiagge di tutto il Madagascar.
Decima tappa
Il dodicesimo giorno abbiamo ripreso il battello per Ivongo e percorso gli ultimi 80 chilometri tutti su asfalto per arrivare a Mahambo, tuffo finale nell’oceano indiano e grigliata a base di aragoste e pesce!
l giorno dopo siamo tornati ad Antanarrivo con un bus privato.
Pernottamento in un’accogliente pensione di un francese e baldoria finale per i locali della capitale.
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Gli autori
Marco Tomasello è guida vulcanologica e maestro di sci. Fabio Consoli è Graphic Designer e illustratore.