El Camino de Piedra – Cordigliera delle Ande
Anni fa sentivamo parlare tra i vecchi campesinos delle Ande (i discendenti degli Incas) di una “ruta antigua” utilizzata dai loro quadrisavoli, che percorreva granparte del territorio peruviano.
La cosa subito ci incuriosì, ne parlai con i nostri ragazzi che frequentavano la “Escuela Don Bosco en los Andes” nacque così l’idea di esplorare questo percorso e ne derivò uno studio che ancor oggi continua, vista la lunghezza mastodontica di questa rete stradale.
Le prime esplorazioni iniziarono dal più conosciuto e studiato sito di Chavin de Huantar e ci portarono fino a incrociare il Camino Real che sovrasta l’altipiano andino a più di 4000 metri sugli altopiani tra Huari, Huachucocha e Yauya.
Percorrendo questi tratti abbiamo avuto la sensazione di essere immersi in un misterioso viaggio a ritroso nel tempo, mentre camminavamo sui lastricati di pietra larghi fino a 12-14 metri.
Ingegneri a quattro zampe…
Come fecero i popoli precolombiani a costruire questa strada, senza conoscere il nord e il sud, l’est e l’ovest, non conoscendo l’uso della bussola, non avendo altri strumenti di orientamento? Chi tracciò questa Ruta Imperial?
L’idea chiarificatrice ci venne ascoltando i campesinos, quando in una riunione a Vicos (villaggio autoctono delle Ande peruviane) dissero che in assenza di un ingegnere per fare la strada mandavano avanti gli asini e dove andavano gli animali si sarebbe fatta la strada.
La stessa cosa probabilmente fecero gli incas utilizzando i lama, che avrebbero potuto marcare, con il senso dell’olfatto, del pericolo e dell’orientamento parti del “Capaq Ñan”.
Nel mondo andino precolombiano le comunicazioni terrestri crearono una ragnatela di vie di comunicazione.
Le notevoli differenze climatico-ambientali esistenti fra una regione e l’altra, data l’inclemenza dei vasti territori che si possono incontrare nei differenti livelli altitudinali di una stessa regione, indussero i nativi sin dalla più remota antichità a spostarsi per procurarsi le risorse proprie di ciascun ambiente naturale, trasportando beni e prodotti da un capo all’altro delle Ande.
Troviamo evidenze di questo tipo all’inizio della Quebrada Honda (Perù – regione Ancash) nel sito di Honcopampa, luogo dove le popolazioni della valle del Conchucos, passando per la Quebrada Juitush, scolliando le Ande, scendevano fino a valle scambiando i loro prodotti con patate, mais e animali.
Le comunicazioni fra le differenti regioni del Perù si fecero particolarmente fluide e rapide, come prova la repentina e ampia diffusione di innovative tecniche tessili e metallurgiche, di nuovi stili ceramici, di particolari oggetti sciamanici connessi con l’uso di droghe e di determinati motivi iconografici, espressione di un culto avente nel centro cerimoniale di Kotosh (2000-2500 aC) e successivamente nel sito di Chavín de Huantar (900 a.C.), situati entrambi nella Sierra settentrionale all’incrocio di differenti vie fra le valli andine, la foresta amazzonica e la costa, luoghi sacri per eccellenza e punti di snodo e di scambio.
Fu comunque nel periodo successivo, l’Intermedio Antico (II sec. a.C. – VI sec. d.C.), con il sorgere di formazioni statali a carattere regionale, che si stabilirono i primi collegamenti pienamente organizzati fra valli mediante la costruzione e la manutenzione di vere e proprie arterie.
A nord di Tiahuanaco (Bolivia) sono state individuate strade connesse con questo centro dell’altipiano del Titicaca, che manteneva collegamenti stabili con le valli orientali della Bolivia, con il Perù meridionale e con il Cile settentrionale.
I vari insediamenti Huari, quali Pikillacta (Cuzco), Viracochapampa (Cajamarca) e Jincamocco (Ayacucho), appaiono sempre associati a vie di comunicazione, talora pavimentate e con gradinate; la stessa rete viale è evidente anche nel regno di Chimor (Chimù).
Successivamente molti di questi tracciati vennero incorporati nella grandiosa rete stradale creata dagli Inca e da essi chiamata Capac Ñan, ossia Via Imperiale.
Nel lasso di tre generazioni, dalla metà del 1400 d.C. fino al 1532, gli Inca aprirono, ristrutturarono, allacciarono e dotarono di infrastrutture almeno 7.500 km di strade, considerando solo quelle di cui si possiede una seppur sommaria documentazione di evidenza archeologico-storica; così non è esagerato supporre che la Via Imperiale, con tutti i suoi tratti secondari andati distrutti nel tempo o non ancora censiti, al momento dell’arrivo degli spagnoli aveva raggiunto una estensione complessiva prossima ai 10.000 km.
La via del mare e quella delle montagne
La Via Imperiale si strutturava fondamentalmente in due arterie maestre parallele, una in gran parte costiera e l’altra montana, raccordate da una serie di cammini trasversali. La lunga via costiera partiva ai confini meridionali dell’Ecuador arrivando nel Cile centrale, attraversando tutti i deserti e le valli della costa peruviana, per poi inoltrarsi nell’entroterra di Arequipa e raggiungere l’alto corso del Loa, San Pedro de Atacama e quindi ridiscendere al litorale fino alla valle del Maipo (Santiago).
L’altra arteria, quella degli altipiani, era composta da due strade che partivano in direzioni opposte dal centro del Cusco: la via del Chinchaysuyu, diretta a nord-ovest, lunga oltre 2.500 km, era la più importante dell’impero, in quanto passava per tutti i maggiori centri amministrativi Inca (Vilcashuaman, Hatun Xauxa, Huánuco Pampa, Cajamarca, Tumibamba, Ingapirca, Quito), arrivando agli estremi confini settentrionali dell’Ecuador: quella del Collasuyu, a sud-est, conduceva all’altopiano del Titicaca e alla valle di Cochabamba (Bolivia centrale) e da lì scendeva attraverso il Tucumán (Argentina nord-occidentale) sino alla valle di Mendoza.
Le principali vie trasversali che congiungevano la cordigliera e la costa erano quella del Cuntisuyu, che collegava il Cusco con la regione di Arequipa, quella da Vilcashuaman a La Centinela, nella valle del Chincha, lungo la quale si trovavano una serie di importanti complessi conquistati dall’esercito Inca, quali Incahuasi, Huaytará, Tambo Colorado e Lima la Vieja, e quella da Hatun Xauxa, nella valle del Mantaro, al grande centro di Pachacamac, nella valle del Lurín, via Huarochirì.
Le strade lastricate portavano dal versante orientale delle Ande fino alla foresta amazzonica, da cui gli Inca traevano legno, coca, miele, cotone e droghe, queste permangono in gran parte sconosciute, fatta eccezione per un tratto iniziale della strada dell’Antisuyu, che si originava al centro del Cusco, e per il famoso cammino inca del Machu Picchu, interamente lastricato, con lunghissime scalinate di pietra e muri di sostegno alti fino a 8 metri.
Le arterie dell’impero incaico
Tutte queste strade sovente presentavano caratteristiche assai eterogenee.
La ruta in terra battuta, di origine Moche-Chimù, che correva lungo la costa settentrionale peruviana era, in aree agricole vicine a corsi d’acqua, relativamente stretta (3-4 metri) e chiusa lateralmente da alti muri in blocchi di argilla (costruiti con la tecnica del tapial).
All’ingresso e all’uscita delle valli aumentava la larghezza (4,5-25 m), con bassi muretti di pietra laterali e talora era addirittura affiancata da due corsie supplementari, come a nord del monte Chocofòn (Lambayeque), dove raggiungeva l’ampiezza di 140 m; essa diveniva in pieno deserto una semplice pista, marcata da una serie di pietre e di paletti di legno.
Nel deserto di Atacama (Cile settentrionale), il Capaq Ñan si riduceva quasi a impercettibile cammino segnato solo da rari mucchietti di pietre.
Con l’esplosiva forza espansionistica del Tahuantinsuyo (il Tahuantinsuyo non era il nome dello Stato o della nazione come oggi lo si pensa, se non un equivalente del territorio secondo la concezione andina della redistribuzione, più che del possesso della terra) applicando ingegnosi e dissuasivi procedimenti di conquista, l’espansione territoriale aumentò con straordinaria grandezza, diventando la rete viale del Tahuantinsuyo che univa le quattro regioni, partendo dal rio Pasto in Colombia, passando per Ecuador, Perù, Bolivia, Cile fino ad arrivare in Argentina.
La grandezza di questo impero rappresentava la forza maggiore di tutto il Sud America. Tutto era basato su uno spirito di collaborazione, che trovò il nesso ideale nel mistico lavoro comunitario e nel desiderio di sviluppo di una società in evoluzione.
Nacque cosi la Ruta Imperial, assai curata e in vari tratti pavimentata, con un’ampiezza da circa 4 m fino a 8 m, facendosi un po’ più larga sugli altipiani e dove necessario, veniva dotata di muri di sostegno della massicciata, con canaletti di scolo o di drenaggio delle acque piovane, e di maestose scalinate in pietra, con cui si risaliva pendii particolarmente ripidi.
Di regola la via imperiale, per rendere sicura la massima celerità delle comunicazioni, seguiva percorsi il più possibile rettilinei, in genere correndo lungo il fondo o nei fianchi delle valli oppure sugli altipiani, ma all’occorrenza anche risalendo impervi passi montuosi e attraversando altissimi valichi fino a superare i 4000 metri.
I fiumi, vallate e le gole più profonde erano superati mediante ponti sospesi, con piano di piccoli tronchi o tavole di legno e con cavi in fibre vegetali di sostegno ancorati a grossi massi di pietra.
Uno di questi ponti, quello di Accha, sull’Apurímac, lungo ben 45 metri, rimase in uso sin verso la fine del diciannovesimo secolo.
Per i corsi d’acqua e gli avvallamenti minori, di pochi metri, si usavano invece ponticelli con travi di legno o lastre di pietra gettate da una parte all’altra: i più elaborati, come l’obelisco di pietra lungo più di 3 metri che troviamo a Ayash, nella regione Ancash (blocchi di andesite perfettamente squadrati, avevano gli appoggi di estremità muniti di mensole per il sostegno dei lastroni del piano di calpestio).
I messaggeri della Ruta
Lungo la via imperiale (approssimativamente ogni 15- 25 chilometri, e comunque ad una distanza non superiore ad un giorno di cammino l’uno dall’altro) si trovavano speciali rifugi, chiamati Tambo. Di preferenza costruiti in prossimità di fonti d’acqua e di zone agricole.
I Tambo servivano innanzitutto da punti di sosta e di ristoro per nobili, funzionari, militari, tecnici, corrieri, artigiani, portatori di merci che si spostavano per prestare differenti servizi allo stato, nonché come ricoveri per i lama delle carovane in transito e come posti di controllo e di raccolta dei tributi, e sopratutto per alloggiare i Chasqui (emissari-corridori che portavano messaggi e merci da un capo all’altro dell’impero).
Sono stati censiti più di 1000 Tambo lungo il CapaqÑan, tutti costruiti in modo differente, per struttura e dimensioni, ma la maggior parte di essi si caratterizzava per la presenza di un grande recinto rettangolare delimitato da un muro perimetrale, con all’interno una serie di piccole costruzioni di un solo ambiente, a pianta rettangolare, disposte tutt’intorno, che dovevano servire da alloggi per le persone in transito.
Le fondamenta di questi edifici erano costruite con una doppia, e talora tripla, fila di pietre grezze o semilavorate, legate con mescole di fango, sabbia, sterco, argilla e paglia.
Nei tambo del Tahuantisuyo, si possono incontrare tipiche costruzioni Inca, come lunghi edifici rettangolari per riunioni e attività cerimoniali (kallanka) e piccole torri cilindriche o quadrangolari (colca) per la conservazione di cereali e di altri prodotti. Infine, ampi recinti per Camelidi, chiusi da muretti di pietre grezze alti almeno un metro.
Oltre ai tambo, lungo il “cammino di pietra” ogni pochi chilometri si trovavano piccole costruzioni, in genere a pianta rettangolare, totalmente aperte sul davanti e non di rado disposte a coppie da una parte e dall’altra della strada, nelle quali stazionavano permanentemente un paio di Chasqui, i messaggeri-corridori che, mediante un efficiente servizio a staffetta, assicuravano una rapidissima trasmissione degli ordini e delle notizie in tutto l’impero.
Ogni Chasqui percorreva un massimo di 20-25 chilometri e quindi ripeteva più volte un breve messaggio orale, eventualmente accompagnato da un quipu (strumento mnemotecnico costituito da una corda principale cui era appesa una serie di cordicelle di differenti colori e con vari nodi utilizzate per trasmettere dati e messaggi ancora oggi non correttamente decifrati), ad un collega pronto a sua volta a dirigersi di corsa verso il posto di staffetta (chasqui-huasi) successivo.
Si calcola che con questo sistema le informazioni potessero viaggiare ad una velocità di circa 250 chilometri al giorno, consentendo così ai signori del Tahuantinsuyo di stare in permanente e rapida comunicazione con tutte le province del loro vasto impero.
Il commercio a dorso di lama
Data la natura impervia e estremamente accidentata del territorio, caratterizzato sulla sierra da valli scoscese e lungo la costa da deserti arenosi e pietrosi, gli antichi abitanti delle Ande (non conoscendo il trasposto su ruota) per il trasporto impiegarono unicamente uomini e lama.
Gli uomini caricavano sulla schiena pesanti sacchi di prodotti agricoli e fardelli vari, sostenendoli con una corda, una fascia o una tela, passante sugli omeri, annodata sul petto e trattenuta durante la marcia con una mano.
In alternativa, soprattutto per carichi meno pesanti, la corda poteva essere fissata sulla fronte del portatore, anziché sul petto, lasciandogli così libere le mani.
I personaggi di più alto rango venivano trasportati su lettighe di legno fornite di schienali o su portantine, con due assi parallele di sostegno rette da due, quattro o più lettighieri. Oltre all’uomo, l’altro grande “mezzo” di trasporto terrestre andino fu il lama (Lama glama).
Il maschio adulto di questo animale è infatti in grado di trasportare a grandi distanze carichi fino a 30-35 kg, percorrendo da 15 a 25 chilometri al giorno, mentre per spostamenti brevi può arrivare a portare agevolmente più di 40 kg.