In navigazione sul Lago Maggiore scopriamo quanto è vario il suo paesaggio, severo nella parte svizzera, più dolce e riposante dopo la stretta di Maccagno e Cannobio, fino ad aprirsi in un bellissimo golfo dove spiccano le Isole Borromee.
“Tutto dipende da dove sei nato, diceva un grande saggio. E per quanto mi riguarda, forse il saggio ci ha proprio azzeccato”. Così scrive il premio Nobel Dario Fo, nato sui bordi del Verbano (antico nome del Lago Maggiore), nel suo autobiografico “Il Paese dei Mezarat” (i pipistrelli, perché la gente quì è di poche parole e lavora anche di notte), ispirato al borgo di Porto Valtravaglia.Parla della sua terra.
E delle sue acque. Forse non è un caso che proprio il principe del ‘grammelot’, la lingua fatta di frammenti di lingue diverse, di etimologie immaginarie e di suoni onomatopeici sia nato qui, sui bordi di un Lago. Non solo perché il Lago unisce, mescola e confonde lingue e dialetti, costringendo i suoi abitanti ad incrociare esperienze e commerci, rotte e navigazioni, ma anche perché per intere generazioni di viaggiatori del Nord – dagli ottocenteschi dei Grand Tour, fino agli escursionisti dei nostri tempi – il Lago, le sue rive, le sue isole fluttuanti hanno rappresentato il primo assaggio dell’Italia fiorita e della sua luce agognata e ristoratrice.
Ancora oggi, per chi viene da Settentrione, l’incontro con questa luce calda così diversa da quella algida alpina, con i viali di oleandri e di palme, il profumo della verbena, la vista dei giardini botanici che fioriscono sulle isole e riscaldano i sensi in primavera, rappresenta proprio questo: una anticipazione del Mediterraneo. Per conoscere le tante storie del Lago, la sua gente, i prodotti delle difficili terre sulle sue sponde, le pietre e i giardini che sembrano galleggiare, non vi è allora modo migliore che percorrerne le acque, rispettandone i tempi come solo la navigazione può fare.
Abbiamo scelto, tra i tanti itinerari possibili, di seguirne uno da Sud, non meno affascinante di quello storico in senso opposto. Percorreremo la principale rotta di navigazione, partendo da Arona ed arrivando di sponda in sponda fino all’estremo lembo italiano a Cannobio. Da qui, oltre il Lago, è possibile vedere la catena del Monte Rosa in tutto il suo eterno innevato splendore ed immaginare oltre il confine d’acqua, citando ancora il Nobel, un esotica Svizzera dai tetti di cioccolata.
L’ITINERARIOLocalità di partenza: Arona (NO)Località di arrivo: Cannobio (VB)Chilometraggio Totale (in navigazione) 59,5 Km Il Lago unisce. Unisce innanzitutto due paesi, dal momento che la parte settentrionale rientra nella amministrazione svizzera (Canton Ticino). Il bacino italiano unisce invece due regioni e tre province: la riva orientale è tutta lombarda (provincia di Varese), quella occidentale tutta piemontese (divisa tra le province di Verbano-Chiuso-Ossola a nord e Novara a sud).
Partiamo dunque da Arona. Prima di imbarcarci (l’imbarcadero è in Corso della Repubblica, all’estremità opposta rispetto alla stazione ferroviaria), facciamo una breve passeggiata per le strade del borgo. La cittadina ha origini antiche, come testimoniano i reperti conservati nel locale Civico Museo Archeologico in Piazza San Graziano ed in età medievale rappresentava uno dei più importanti centri del traffico commerciale tra la Pianura Padana e l’area dell’attuale Canton Ticino. La memoria di questa antica vocazione si conserva ancora nella annuale Fiera del Lago Maggiore, che si svolge qui tra maggio e giugno.Il nucleo del borgo medioevale è a tutt’oggi ben conservato. Il centro della vita civile e commerciale è Piazza del Popolo, che si segnala per la presenza della quattrocentesca Casa del Podestà, con un bel porticato ad archi ogivali sovrastati da tondi con busti in terracotta. Dalla piazza si apre una bella vista sul lago e sulla Rocca di Angera sull’ opposta riva lombarda.
Arona è dominata dalla mole della statua cosiddetta del San Carlone dedicata a Carlo Borromeo, cui è possibile giungere da una strada panoramica a partire dalla statale 33. Tornati al punto d’imbarco salpiamo e, lasciataci alle spalle la monumentale sagoma del San Carlone benedicente, iniziamo il nostro itinerario solcando questo primo breve spazio d’acqua che ci separa dalla sponda lombarda, dove ci attende il borgo di Angera.
Il volto che la cittadina presenta a chi arriva dal lago è elegante, punteggiato di ville che si affacciano sull’ampia riva e dominato dalla sagoma medievale della Rocca Borromeo che si erge su uno sperone di roccia calcarea.
Lasciato l’imbarcadero in Piazza della Vittoria, è possibile percorrere l’ampio lungolago ornato con doppi filari di ippocastani o sostare in uno dei caffé all’aperto che si trovano sui prati in riva al lago dove ci si può rilassare con la vista dell’isolotto Partegora, coperto da canneti, magari sorseggiando il tipico amaro qui distillato. La maggiore attrazione di Angera è la medioevale Rocca Borromeo; probabilmente già esistente a partire dalla fine dell’XI secolo, fu oggetto di contese tra importanti famiglie (Visconti, Torriani), prima di passare definitivamente alla famiglia Borromeo nel 1449.
La Rocca si raggiunge a piedi da Piazza della Parrocchiale. Dalla torre d’ingresso è possibile salire ad un cortile terrazzato noto come il Belvedere, da dove si gode un bel panorama su questa parte di lago. Gli interni della Rocca e la loro articolazione raccontano la storia delle famiglie che vi si sono succedute: esistono infatti un’Ala Borromeo, un’Ala Viscontea ed un’Ala Scaligera, ma lo spazio artisticamente più pregevole è la cosiddetta Sala della Giustizia, sormontata da volte a crociera, che conserva un prezioso ciclo di affreschi duecenteschi che riproducono la vittoria dei Visconti nella Battaglia di Desio del 1277, con le gesta militari associate ai vari segni zodiacali. L’Ala Scaligera è occupata dal Museo della Moda Infantile, mentre le sale al piano terra dell’Ala Viscontea e una parte dell’Ala Borromea ospitano il curioso Museo della Bambola.
Ci imbarchiamo ancora e ci dirigiamo verso Belgirate, sulla sponda piemontese. Per la prima volta da quando siamo partiti, superato il promontorio a nord di Angera e lasciatolo alla nostra destra, percorriamo un braccio più ampio del Verbano, che ci dà finalmente una più chiara visione delle sue dimensioni. Il nostro approdo è ancora una volta un piccolo e grazioso borgo che si adagia leggero sulla collina detta Motta Rossa. Anche Belgirate ha una parte alta antica che si caratterizza per piccole case con logge e piccoli portici. Interessante anche la chiesa romanica di S. Maria del Suffragio che risale all’undicesimo secolo, con un sagrato a vista panoramica sul Lago Maggiore.
Nella parte bassa troviamo invece Villa Treves, dal nome dell’Editore che la acquistò nel 1892 e che divenne luogo d’incontro di alcuni tra i più importanti scrittori italiani, da Verga a D’Annunzio a Boito.Il borgo ha una notevole tradizione marinara. Qui fu fondata infatti la prima società remiera italiana, nel 1858. Lasciata la sagoma del Campanile romanico alle nostre spalle ci dirigiamo verso Stresa. Prima di giungere all’approdo possiamo osservare sulla nostra sinistra i colori caldi delle fioriture dei giardini botanici e della facciata di Villa Pallavicino, costruita nel 1850 e raggiungibile via terra attraverso la SS 33 da Stresa ad Arona.
Approdiamo alla “perla del Verbano”, Stresa, la “grande dame” della villeggiatura sul Lago, favorita dalla sua posizione invidiabile sull’antistante braccio di Verbano noto come Golfo Borromeo. Da qui la vista può spaziare a sud fino alle verdi pendici del Mottarone (1491 m), a nord fino al promontorio di Verbania e Piana del Toce – dove scese l’ultima glaciazione delle Alpi – che danno emozionante mostra di sé sullo sfondo. Al centro del Golfo lo spettacolo dell’arcipelago delle Isole Borromee. Scendiamo dall’imbarcadero che si trova in posizione centrale in Piazza Marconi.
Tra gli edifici interessanti vanno ricordati quelli di alcuni storici grand hotels (Grand hotel des Iles borromees, l’Hotel Regina Palace). Subito dietro l’approdo, l’ex Villa Ducale (1770), oggi Centro Internazionale di Studi Rosminiani. La ragione principale per cui si arriva fin qui è di vivere l’incantato piccolo arcipelago delle Borromee, che prende il nome dalla famiglia di nobili che ha segnato la storia di questi luoghi e che ci apprestiamo a visitare. Così, dopo aver assaggiato una Margheritina (tipico biscotto della tradizione dolciaria di Stresa, al profumo di vaniglia), salpiamo alla scoperta del Golfo con uno dei numerosi collegamenti disponibili.
Quasi subito incontriamo a breve distanza da Stresa l’Isola Bella. Ci avviciniamo con la lentezza propria della navigazione ai giardini terrazzati che si presentano come una sorta di anticamera immaginata dall’uomo e ornata dalla natura al Palazzo Borromeo. La forma stessa dell’isola, così come ritagliata dall’architettura del giardino, sorprende il viaggiatore che arriva dall’acqua. Chi progettò i Giardini (info: 032330556, aperti da fine marzo a fine ottobre) diede all’isola la forma di un vero è proprio vascello ancorato nel Golfo. L’origine del nome è legato alla sua storia.
Carlo III Borromeo, che nella prima metà del Seicento volle modellare l’Isola coi giardini ed il Palazzo in stile barocco lombardo, decise di chiamarla così in omaggio alla moglie Isabella d’Adda. Tra le curiosità del Palazzo ricordiamo la Sala di Napoleone, così detta perché qui l’imperatore pernottò con Giuseppina nel 1797, ma è passeggiando all’esterno che il visitatore può vedere il golfo da un altro punto di vista, immergendosi in questo giardino fatato disposto su dieci terrazze degradanti abbellite da vasche e fontane, fiorite di pompelmi, aranci, magnolie, camelie. Da visitare anche il più piccolo ed intimo Giardino d’Amore, sulla punta orientale, disegnato con quattro aiuole e delimitato da tassi secolari.
Lasciata Isola Bella approdiamo all’Isola Madre, così chiamata in omaggio alla madre di Renato I Borromeo, Margherita Trivulzio. Anche qui troviamo un palazzo cinquecentesco ed un Giardino Botanico fra i più importanti in Italia e nel quale, dato il particolare microclima, è resa possibile la crescita di piante rare e fiori esotici. Inoltre, pavoni e fagiani vi si aggirano in libertà. Una curiosità è rappresentata dal cosiddetto piazzale dei pappagalli, dove una colonia di questi animali vive all’ombra di una profumata magnolia alta più di trenta metri. Invece il più alto esemplare europeo di cipresso del Kashmir (oltre duecento anni) si staglia appunto nella cosiddetta Loggia del Kashmir, di fronte al Palazzo.
L’ultima delle Borromee che visitiamo è l’Isola dei Pescatori (Isola Superiore), l’unica abitata. Avvicinandoci con il battello è emozionante vedere questa striscia di terra con il suo borgo galleggiante: è la civiltà che affiora dall’acqua. All’interno si respira ancora l’aria dell’antico borgo di pescatori, con le strette vie che danno nella piazzetta dove è possibile acquistare oggetti dell’artigianato locale e le case con i lunghi balconi per l’essiccazione del pesce.
Tornati a Stresa – da dove è possibile compiere anche un’altra interessante escursione in barca al Santuario di Santa Caterina del Sasso – ci imbarchiamo nuovamente alla volta di Baveno, nota innanzitutto per le cave di granito rosa con cui è stato costruito il Duomo di Milano. Da Baveno, attraversato il Golfo Borromeo, ci dirigiamo a Pallanza ed Intra (riunite amministrativamente in Verbania). Mentre la seconda è per lo più un centro industriale, la prima conserva importanti ville con bei giardini. In particolare non si può non visitare Villa Taranto, dotata di un ormeggio al quale sostiamo. Il parco della villa si estende con ben 7 km di sentieri sui quali è piacevole passeggiare perdendosi tra i più di ventimila esemplari botanici provenienti da ogni parte del mondo, i giardini all’inglese e all’italiana, le serre e le fontane.
Torniamo quindi sulla riva lombarda e, passata Laveno, nota come uno dei maggiori centri di produzione di ceramica (Museo della Ceramica) e il bel litorale di Porto Valtravaglia, arriviamo sulla sponda opposta per approdare a Cannero Riviera, un piccolo borgo poco battuto dal turismo di massa che si affaccia su una costa lussureggiante di olivi, magnolie, azalee, aranci e buganvillee con una bella passeggiata. Una interessante escursione è possibile da qui ai suggestivi ruderi dei castelli di Malpaga (noti come Castelli di Cannero) che stanno su due isolotti poco al largo.
Attraversiamo nuovamente l’invaso e giungiamo sulla sponda opposta a Luino, allo sbocco della Valtravaglia. Qui si svolge, ogni mercoledì, quello che è considerato il più grande mercato settimanale europeo. Infinite varietà di salumi e formaggi italiani e svizzeri, pane appena sfornato, pizzi e sete, utensili e artigianato di ogni tipo fanno capolino sui banchi. Ripartiti, ci approssimiamo a visitare gli ultimi due borghi della nostra navigazione nel bacino italiano: Maccagno e Cannobio.
Il primo è un piccolo borgo a una decina di chilometri dal confine, dominato dalla cosiddetta Torre Imperiale, una torre difensiva parte di una cinta ancora conservata in alcuni tratti. Da segnalare, accanto al porticciolo turistico, il Santuario di Madonna della Punta, con panoramica vista sul lago e sui Castelli di Cannero. Questa parte del Lago Maggiore è nota per essere tra le più battute dal vento e quindi tra le preferite dagli appassionati di windsurf.
A Cannobio invece termina il nostro itinerario. Il borgo, di origini antichissime, è ben conservato con portali, ringhiere in ferro battuto, balconi e scalinate in pietra. Da queste è possibile tornare al lago e ai palazzi che vi si affacciano, primo fra tutti il Palazzo della Ragione, nel cui portico sono conservate testimonianze di epoca romana. Ancora una volta come in tutto il nostro viaggio, pietre che affiorano in superficie, costruite dagli uomini a segnare la civiltà di questi luoghi, pronti ad accogliere con le loro facciate fiorite il visitatore che viene dall’acqua.Proprio come la gente di qui, di poche squadrate parole, ma gentile verso chi arriva dal lago. Perché tutto dipende da dove sei nato, diceva un grande saggio.
Arona (NO) In auto: da Milano (60 km), Autostrada dei Laghi A8, direzione Varese-Gravellona Toce. In treno: da Milano, Linea Milano-Domodossola, stazione ferroviaria di Arona. Da Genova, Linea Genova-Alessandria-Arona Laveno (VA) In auto: da Milano, Autostrada dei Laghi A8 Milano-Varese, al bivio di Gallarate prendere la destra per Varese e uscire direzione Lago Maggiore, proseguire in direzione Gavirate-Laveno. In treno: a Laveno Mombello confluiscono due reti ferroviarie: è capolinea delle Ferrovie Nord Milano e stazione di transito per le Ferrovie dello Stato, collegate con la Gallarate-Milano, la Laveno-Novara e con la Laveno-Luino-Bellinzona. Stresa (VB) In auto: da Milano, Autostrada dei Laghi A8 direzione Laghi (Gravellona Toce); autostrada A26 direzione Gravellona Toce, uscita Verbania, segue strada statale direzione Verbania. Da Torino, autostrada A4 direzione Milano, segue autostrada A26 sino a Gravellona Toce, uscita Verbania, segue strada statale direzione Verbania. Da Genova, autostrada A26 sino a Gravellona Toce.
COSA COMPRARE
Grappa fresca e stravecchia e l’amaro di Angera, distillati fin dal 1847, Distillerie Rossi, Angera,Tel.0331930248 (chiuso sabato e domenica) Margheritine di Stresa, biscotti tipici al profumo di vaniglia, Bar Pasticceria Gigi, Stresa,Tel.032330225 Filetto di Pesce Persico ala Borromea (dorato al burro,con cubetti di limone,capperi e funghi) nei ristoranti dell’Isola dei Pescatori Marmellate frutta e miele dell’Azienda Agricola Mori a Zoverallo, via Stresa, 1,5 Km da Verbania
Amaretti di Pallanza alla Pasticceria Baudo, Pallanza. Ceramiche di Laveno che hanno nel borgo rivierasco una lunga e gloriosa storia che va dalla Società Cooperativa Italiana (1875) fino alla ben nota Richard Ginori. Esemplari di pregio possono essere acquistati presso le Ceramiche e Porcellane Formenti, Laveno Oggetti tipici d’artigianato e prodotti alimentari al Grande Mercato Internazionale del Mercoledì risalente al ‘500 a Luino.Tra questi la Formaggella del Luinese e i vini Ronchi Varesini IGT, noti da secoli ed apprezzati dal Cardinale Carlo Borromeo il quale trovandosi a Roma li preferiva ai più blasonati vini laziali facendosene inviare in botte dalla Valcenesio.