Sono molteplici le minacce che, nel silenzio più assordante, stanno mettendo a rischio il nostro patrimonio più grande, il territorio!
Al giorno d’oggi il mondo dell’informazione sta vivendo un periodo molto difficile, ma le ragioni che si celano dietro tale situazione non sono così complesse come potrebbeapparire, in sostanza si tratta di una cronica carenza di “qualità”, elemento che in ogni campo e settore, è sinonimo di decadimento.
Stiamo vivendo in una sorta di doppia realtà parallela, ovvero ci troviamo di fronte ad un ritratto diverso del nostro paese ogni volta che sbattiamo le palpebre, con ricostruzioni del mondo che sono tra loro contrastanti.
La cosa peggiore sta però nella completa assuefazione a tali logiche, tale da nascondere la estrema drammaticità della situazione.
Il tutto somiglia in modo preoccupante al bipensiero di Orwelliana memoria, ovvero quella capacità del Grande Fratello, emblema del pubblico potere, di fornire al popolo due verità tra loro contrastanti facendole apparire entrambe accettabili, riuscendo così a mettere in atto un efficace controllo psicologico.
Questa premessa costituisce la base per un approfondimento su quello che sta accadendo al nostro paese, al suo territorio e alla sua anima. Una nazione che, con una mano, fotografa e mostra con orgoglio al mondo le sue inimitabili bellezze mentre, con l’altra, si ferisce e deturpa con schizofrenici impulsi di autolesionismo distruttivo.
Tra i tanti mercati profondamente mutati dalla globalizzazione sicuramente vi è anche quello del turismo, tanto che l’Italia si è trovata a perdere diverse posizioni in graduatoria, scivolando alle spalle di Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina, circostanza che ha rotto la bolla di presunzione nostrana, rendendo palese l’assoluta necessità di valorizzare e tutelare il nostro paese, per mantenerlo competitivo.
Fino a qui non sembrerebbe esserci nulla di strano, del resto è sufficiente accendere la tv oppure lo smartphone, per notare come sia ormai comune sentire parlare di valorizzazione del sistema Italia, della sua crescita e del suo sviluppo partendo dal turismo di qualità, che mira a far riscoprire l’Italia nascosta, ricca di bellezze e tesori.
E, se ci fermassimo alla superficie, l’orizzonte sembrerebbe privo di pericoli o incongruenze, con la rotta puntata verso un paese che tutela e protegge un patrimonio territoriale che non ha eguali, in grado di reggere la competizione con qualsiasi altra grande nazione e di diventare volano per una decisa ripresa economica “sostenibile”.
Torna qui in gioco quanto si è detto sopra, in merito alla scarsa qualità del mondo dell’informazione, di cui sua macroscopica manifestazione è l’incapacità di far sapere ai cittadini che votano e versano le tasse, che qualcosa non funziona come dovrebbe, che davanti ad una rassicurante facciata di ragionevolezza e armonia, si cela una realtà parallela che sfiora da vicino l’assurdo.
Qualche tempo fa, l’Istituto Superiore per la Ricerca e Protezione Ambientale, ha pubblicato il suo annuale rapporto sul consumo del suolo che, con una rapidità quasi destabilizzante, spazza via in un solo soffio quel rassicurante “va tutto bene” che spesso abbonda nel vocabolario dei nostri “amministratori”.
Questo rapporto prende le mosse da una considerazione granitica, ovvero il suolo è una risorsa sostanzialmente non rinnovabile, questo significa che ogni suo mutamento definitivo rischia di essere un colpo mortale per tutto il sistema paese. Date le premesse, molti immagineranno che la direzione presa nelle politiche territoriali e urbanistiche sia quella del massimo contenimento possibile di questo “consumo”.
Per quanto il suolo, inteso come insieme di elementi naturali che costituiscono il territorio, insieme al resto della biosfera, costituisca un elemento imprescindibile per i cicli biologici che consentono alle specie viventi (non lo siamo anche noi?) di sopravvivere in un habitat naturale, la via che si continua a percorrere è quella di una indiscriminata aggressione al territorio.
Un paese sotto attacco, da molti “nemici”, tutti ugualmente letali e tutti con uno stesso alleato, il silenzio. Ma esigenze di tempo impongono di concentrarsi su quello che probabilmente è il maggiore responsabile del degrado territoriale Italiano, oltreché di una moltitudine di altri fenomeni “naturali” di cui spesso si sente parlare, ovvero la cementificazione.
In Italia si continua a consumare suolo molto più che in passato, decisamente più che negli anni del boom economico.
Si pensi che negli anni 50 la percentuale annua di consumo era pari al 2,7% e, nel 2014, siamo arrivati a toccare il 7% con un incremento di 4,3 punti percentuali. Le aree più colpite sono quelle del settentrione, con Lombardia, Piemonte e Veneto a contendersi il podio dei maggiori “mangiatori” di terra con la Puglia e la Campania.
Ed ecco che il velo è tagliato e la luce entra a fare un po’ di chiarezza. Siamo ben lontani da quegli anni ’60 del miracolo economico in cui ogni iniziativa decollava, o anche dal 1970, decennio che ha visto una lunga schiera d’imprenditori fare fortuna con l’immobiliare, costruendo quartieri ed ecomostri che oggi somigliano a cattedrali nel deserto, che ancora deturpano coste e montagne, ergendosi ai nostri occhi quali moniti di errori passati da non ripercorrere.
E invece si continua a costruire molto più che in passato, compromettendo irrimediabilmente una risorsa che non si può più rigenerare, destinata a rendere sempre più instabile e precario l’ecosistema nostrano.
Questo nonostante i fiumi di parole di chi sostiene di avere in tasca la verità, ma da costoro è sempre bene diffidare, salvo non si tratti di geni, ma questi sono rari e le soluzioni non sono mai semplici.
Il citato rapporto ISPRA ricorda, con estrema chiarezza, come la tutela del capitale naturale sia uno dei cardini per la sostenibilità della vita dell’uomo sulla terra e, al contempo, la cementificazione rappresenti una della principali cause di degrado del suolo in Europa e in Italia, accrescendo il rischio di inondazioni, contribuendo al riscaldamento globale e minacciando la biodiversità.
Ma dato che, ormai, non ci facciamo impressionare da certi enunciati generali e di principio, è doveroso prestare orecchio a circostanze più a contatto col nostro quotidiano, ed ecco che il rapporto ci fa notare come l’ampliamento delle aree urbane e la conseguente brutale impermeabilizzazione dei suoli, sia diretta responsabile di un clima sempre più caldo e soffocante nelle città, causa la mancanza della traspirazione vegetale e di ampie superfici refrattarie del calore, causando l’effetto “isola del calore”.
Ecco perché dovrebbe suonare un campanello d’allarme, ma molti dati rimangono nascosti e sono presentati in modo frammentario, così da evitare che si possa logicamente collegare la catena dei fatti per individuare la causa principe del problema.
Ormai le estati fanno rima con città torride e siccità, l’autunno spesso mostra il lato duro e violento di madre natura, riversando inondazioni e alluvioni su città e popolazioni.
Ma è proprio quando ci troviamo dinanzi a questi problemi che dovremmo tenere a memoria quanto sta accadendo, perché la responsabilità di tanti “disastri naturali” è ascrivibile a chi dovrebbe tutelare il nostro territorio, con programmi di lungo periodo, sarebbe troppo comodo puntare il dito su madre natura, lei ci ha donato un ecosistema equilibrato, noi lo stiamo distruggendo a colpi di betoniere e gru, salvo poi lamentarci di quelle che sono solo conseguenze dei nostri atti.
Serve a poco amplificare messaggi inneggianti a un’Italia da scoprire, incentrando la comunicazione su bellezza, storia e patrimonio culturale, quando i dati rilevati evidenziano che stiamo compromettendo ettari di suolo ogni anno.
Stiamo devastando l’unica vera risorsa del nostro paese, il suo territorio, senza che vi sia alcun tipo d’intervento incisivo a livello governativo per arginare questa pericolosa deriva.
La stessa Unione Europea, dopo aver emanato una comunicazione dal titolo: “Verso una strategia per la protezione del Suolo”, si era spinta coraggiosamente verso l’emanazione di un atto vincolante, una Direttiva, che avrebbe dovuto dettare le linee generali, vincolanti per tutti gli stati membri, per la protezione e l’uso sostenibile del suolo ma, come spesso è accaduto, le pressioni dei singoli stati hanno “suggerito” il ritiro della proposta.
Sembra che il cambiamento debba partire dal basso per risultare vincente ed efficace, non a caso le prime disposizioni normative a favore di un uso razionale del suolo arrivano dai Consigli Regionali di Puglia, Campania, Lazio, Liguria e Abruzzo.
Ma la strada da fare è ancora molto lunga e il tempo stringe. È necessario che questi temi tornino all’ordine del giorno, è prioritaria un’azione coordinata del governo che miri ad una politica di riutilizzo e riciclo di tutte quelle aree edificate in disuso.
Certo i buoni esempi scarseggiano e quelli, persino paradossali, non mancano. Basti pensare ad una delle manifestazioni che più ha fatto parlare di se negli ultimi tempi, ovvero EXPO, il cui tema portante dovrebbe essere “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, in apparenza incentrato sul rispetto per la natura, la sua tutela e la sua conservazione.
Con un pizzico di razionalità, si sarebbe potuta pianificare un’opera di recupero di aree abbandonate, di riciclo e riutilizzo di suolo già cementificato e non altrimenti recuperabile, per donare a questa manifestazione una casa temporanea, dando concreto esempio di rispetto per il pianeta.
La storia purtroppo narra fatti diversi, si è assistito all’ennesima opera di costruzione nell’hinterland Milanese, che ha trasformato una zona semi agricola in un’area urbana totalmente impermeabilizzata, assestando un altro bel gancio al fianco dello sviluppo sostenibile.
La cosa drammaticamente eccezionale di tutta la vicenda, è che rappresenta perfettamente l’attuale situazione del sistema Italia, si deturpa e si sacrifica il territorio salvo poi confezionare il tutto con un bel cartello che esprima precisamente il principio opposto di quello che si è messo in atto, “nutrire il pianeta”.
Una frase che dovrebbe sempre guidare governi e governati recita più o meno così:
“Non ereditiamo il pianeta dai nostri genitori, ma lo riceviamo in prestito dai nostri figli.”
e, se ci fermassimo un secondo a riflettere, ci renderemmo conto che alle future generazioni rischiamo seriamente di lasciare un paese privo della sua risorsa vitale, il suolo su cui vivere.
Per ingenuità, presunzione o semplice autodifesa si tende spesso a pensare che alcuni problemi tocchino sempre “gli altri” ma, questa volta, le conseguenze rischiano di essere dannatamente eque e di coinvolgere tutti senza distinzione di classe sociale, religione o razza.
Perché un ecosistema messo sotto pressione rischia seriamente di arrivare al punto di rottura, giunto il quale sarà tardi per cercare colpevoli e responsabili, in quel momento avremo fallito tutti, come individui, come cittadini e come Italiani, colpevoli di aver fatto morire uno dei territori più belli al mondo.