Storia di una vita cambiata grazie al cammino
"Ciascuno di noi può fare una rivoluzione, la mia è stata iniziate camminare! Un passo dopo l'altro la mia vita ha preso un altro ritmo." Un racconto breve di una vita cambiata grazie al potere del cammino e alla capacità di rallentare il proprio passo.
Una vita in campagna
Sono nato negli anni ’80 in una paesino della campagna Toscana.
Ho vissuto li i primi anni della mia vita, fino alle scuole medie, per trasferirmipoi a Roma insieme alla mia famiglia per seguire mio padre, direttore dell’ufficio postale del paese trasferito poi in città.
Un grande cambiamento per noi abituati a vivere in un piccolo borgo dove tutti si conoscono, catapultati nella capitale, in mezzo a quell’intricato mosaico di strade e palazzi inondati da un traffico costante.
Potrà sembrare strano, ma noi gente della campagna siamo abituati ad usare la macchina anche per attraversare la strada.
La mancanza di mezzi pubblici, il traffico inesistente e la rivalsa sociale dell’avere un motore sotto il sedere ci ha fatto dimenticare di avere due gambe da utilizzare per spostarci.
Forse per quello mio fratello, quando mangiavamo in giardino, si presentava col suo Ciao direttamente davanti alla tavola reclamando la sua razione di pasta col motore ancora acceso.
Ricordo ancora quello che accadde una sera di primavera. Ero appena uscito dalla casa di Lucy, un’amica americana di mia madre, ci andavo ogni weekend per prendere ripetizioni di inglese
Mia madre doveva venire a prendermi per le 7 e 30 ma, davanti a casa, non c’era nessuno ad aspettarmi. Lucia era corsa ad accompagnare la figlia in stazione e io ero rimasto solo ad aspettare. Il tempo passava, prima mezz’ora, poi un’ora, ma nessuno si faceva vivo.
La notte precedente mia madre era stata male e quel pomeriggio, dopo avermi accompagnato, era tornata a casa per riposare un po’, finendo per addormentarsi. Si risvegliò solo alle 9 passate quando mio padre rientrò a casa con mio fratello, dopo aver visto la partita al bar, e le chiese come mai non fossi a casa.
Solo allora mia madre realizzò che l’ora di ripetizione era ormai ampiamente passata e si precipitò a prendermi preoccupata.
Io me ne stavo li fermo, non ero nemmeno agitato, sapevo che sarebbe tornata Lucia o che, comunque, qualcuno sarebbe arrivato a prendermi. Ai tempi non mi sembrò una situazione così drammatica, solo oggi ne riesco a cogliere i profili paradossali.
Infatti casa di Lucia distava dalla mia non più di sei chilometri e se, anziché aspettare due ore, mi fossi messo in cammino probabilmente non avrei impiegato più di quaranta minuti per arrivare a casa.
Ma quel pensiero non sfiorò nemmeno la mia testa, come se al posto della strada ci fosse un corso d’acqua impossibile da attraversare.
In realtà si trattava di una stradina di campagna poco trafficata, la vera barriera era nella mia testa, che ormai aveva smesso di considerare le gambe come un mezzo di trasporto utile a raggiungere una meta.
Pochi mesi dopo quell’episodio ci trasferimmo a Roma. Un ambiente totalmente diverso da quello cui ero abituato, una grande città, con le sue grandi strade e il traffico che dominava ogni via.
La nuova avventura coincideva con l’inizio del Liceo Scientifico, la scuola era vicina al mio quartiere, per arrivarci però ci mettevamo più di un’ora, in macchina con mia madre si andava come lumache.
Compiuti 14 anni ho iniziato a chiedere ai miei genitori il motorino che, dopo mesi di estenuanti trattative, mi regalarono una vespetta usata.
Vecchiotta, ma bellissima, con il cambio a 3 marce, bianco perla e 50cc di cilindrata, una special, proprio come quella che avrebbero cantato i Lunapop qualche anno più tardi.
Oggi costerebbe un occhio ma, ai tempi, si trovava a buon mercato, cose vecchie che nessuno voleva.
Ero al settimo cielo, il primo giorno ero troppo agitato e non ero riuscito nemmeno a metterla in moto, avevo quasi paura di toccarla. Dal giorno successivo ogni timore era sparito e il mio bolide dalla marmitta bucata mi ha accompagnato nel tragitto casa – scuola fino all’agognata maturità.
Avevo preso la patente al primo tentativo e potevo usare la vecchia 500 di mia madre, ma agli esami volevo presentarli solo con lei… la mia 50 special.
L’università
Era arrivato il tempo dell’università, mi ero iscritto a Scienze Politiche e tutto iniziava a cambiare, l’università non era più a portata di Vespa, e le strade erano così trafficate che tra la macchina e la Vespa il divario non era più così marcato. Per arrivare in tempo alle lezioni dovevo partire di casa un’ora e mezza prima.
Avevo anche iniziato a giocare a Rugby, mi aveva sempre affascinato lo spirito che animava quello sport. Con l’inizio dell’Università, però andare agli allenamenti diventava sempre più difficile.
Dopo le lezioni avevo solo un paio d’ore prima di uscire per andare al campo di allenamento, a pochi chilometri di casa, ma con una strada sempre molto trafficata.
I primi due anni di università sono andati lisci tra lezioni, studio e allenamenti.
Al terzo anno però le cose sono cambiate, avevo fatto amicizia con alcuni compagni di corso e avevo conosciuto una ragazza, stavamo benissimo insieme. Amici e ragazza significava uscire più spesso, andare a cena e al cinema, e magari anche qualche vacanzina in giro.
La paghetta dei miei genitori non bastava più e così avevo deciso di trovarmi un lavoretto per arrotondare. Un amico di mio fratello aveva aperto un locale a Trastevere e, nell’ora dell’aperitivo, aveva bisogno di una mano in sala, mi proposi e mi prese.
Alla fine del terzo anno però la mie giornate erano diventate così piene che avrei avuto bisogno di 48 ore.
La mattina all’università, al pomeriggio gli allenamenti, qualche ora di studio, prima di andare a lavorare. Ero sempre più teso e stressato, a casa non parlavo più con nessuno, ero scontroso e irascibile.
Con Monica, la ragazza conosciuta ad inizio anno, le cose andavano male. Ero nervoso, sempre più nervoso e stanco, il weekend lavoravo molto e non riuscivo a riposare.
Durante una lezione di Economia Politica, mentre ero seduto a prendere appunti, sentii improvvisamente l’aria intorno mancarmi, la fronte iniziava a grondare di sudore e sentivo degli strani brividi. Avevo provato ad uscire dall’aula ma, poco prima di uscire dalla mia fila di sedie, svenni accasciandomi su un paio di sedie vuote.
Poco dopo mi ero risvegliato ed ero circondato dai compagni preoccupati, una volta seduto avevo rassicurato tutti ma, quando si offrirono di accompagnarmi alla macchina, non riuscivo più a ricordare dove l’avessi parcheggiata. Rimasi in questo stato confusionale per diversi minuti, ma poi tornai in me, raggiunsi la macchina e tornai a casa.
La mattina dopo ero dal medico con mia madre che, non appena ascoltò il racconto dell’accaduto, mi disse che avevo avuto un forte attacco di panico per lo stress e mi consigliò di rivolgermi ad uno specialista per risolvere alla radice il problema.
Avevo bisogno di qualche giorno di riposo lontano dall’Università, dal campo di Rugby e anche dal lavoro.
I primi passi
Mi ero svegliato al venerdì mattina senza avere nulla fare, per la prima volta da molti mesi, e avevo pensato di fare qualcosa di diverso.
Ero uscito di casa senza prendere le chiavi della macchina o della Vespa, volevo andare a fare un giro a piedi.
Mi misi in cammino per il mio quartiere e già dopo pochi minuti fui pervaso da un grande senso di stupore, a pochi passi da casa mia c’era un bellissimo negozio di dischi, pieno di Vinili e CD quasi introvabili, indugiai ad osservare la vetrina, e notai addirittura una copia di “Una donna per amico” di Battisti autografata, incredibile!
Decisi di andare avanti a camminare e non passava metro senza che scoprissi qualcosa di nuovo, ormai erano anni che vivevo in quel quartiere, ma non lo conoscevo per niente. C’erano ancora piccole botteghe e negozietti di alimentari che credevo estinti, mi sentivo catapultato in una di quelle serie tv anni ’90.
Dopo un po’ mi trovai proprio davanti allo stradone che ogni mattina percorrevo in macchina per andare in Università, decisi di attraversarlo e proseguire oltre. Mentre aspettavo il verde guardai il mio orologio e notai con stupore che ero uscito di casa solo da venti minuti.
Con la macchina impiegavo solitamente mezz’ora per arrivare a quel semaforo. Attraversai la strada, e all’angolo dei volontari di Emergency mi regalarono la copia di una rivista, diedi una rapida occhiata alla copertina quando un’insegna richiamò la mia attenzione, era la metropolitana.
Dato che non avevo nulla da fare, guidato dalla mia curiosità, decisi di scendere le scalette. Mi trovai davanti al cartello col tracciato della linea, lo seguii col dito indicando una stazione dopo l’altra fino a quella della della mia università, c’erano solo cinque fermate per raggiungerla.
Avevo tutta la mattinata e nulla da fare, decisi così di prendere un biglietto e salire sulla metro.
Mi sedetti e iniziai a leggere la rivista che mi avevano dato prima. C’erano un paio di articoli veramente interessanti sul legame tra i cambiamenti climatici e le grandi migrazioni, ebbi il tempo di leggerli entrambi e di scendere comodamente alla fermata.
Salite le scale, che dalla metro portavano in strada, mi guardai intorno, riconoscendo in lontananza il profilo del palazzo dell’università, decisi allora di mettermi in cammino guidato solo dal suo profilo che si stagliava in lontananza.
Attraversai diversi vicoletti cercando di disegnare il percorso più breve, mi fermai anche in un baretto antico per un buon caffè, attratto da un meraviglioso dolcetto che faceva bella mostra di se in vetrina.
Dopo pochi minuti ero davanti all’ingresso dell’Università, istintivamente controllai l’ora. La mia espressione cambiò, come se avessi visto qualche incredibile numero di magia.
Erano passati solo 50 minuti da quando ero uscito di casa! La metà del tempo che ci impiegavo di solito con la macchina.
Avevo avuto anche il tempo di fare colazione e leggere qualche articolo, mi sembrava quasi un miracolo, non me lo spiegavo, ero riuscito a fare molte più cose del solito ma ci avevo messo molto meno tempo. Come mai?
Ci ripensai continuamente fino al rientro a casa. Non riuscivo a darmi una spiegazione, così decisi che non mi sarei fermato nemmeno al pomeriggio.
Non avevo in programma di allenarmi, ma decisi comunque di raggiungere il centro sportivo, anche questa volta usando sole le mie gambe.
Scesi in strada e mi incamminai verso il campo, attraversai molti dei vicoletti al centro del mio quartiere, stradine che non avevo mai percorso, o almeno non a piedi.
C’erano negozi di cui non immaginavo nemmeno l’esistenza e, addirittura, una piccola chiesetta nascosta tra le case. Incontrai anche un’erboristeria, entrai incuriosito e alla fine comprai una particolare tisana rilassante consigliata dal medico.
Il giorno prima l’avevo cercata senza successo in quattro supermercati e alla fine l’avevo trovata in quella bottega, ancora gestita dall’anziana proprietaria. Ricordo che in quel momento pensai a quante cose si possono trovare se solo si riuscisse a guardare.
Camminavo fischiettando, con l’orecchio teso ad ascoltare i discorsi delle persone per strada, quando il rumore del fischietto del mio allenatore mi riportò in me.
Ero già arrivato al campo! Esitando per qualche secondo, guardai l’orologio. Ero uscito di casa alle 17:00 e le lancette segnavano le 17 e 28. Meno di mezz’ora, senza dover prendere la macchina, ed ero perfino riuscito a trovare quella tisana.
La sera tornai a casa sconvolto. Ripensavo alle mie giornate fino a quel momento e al tempo che avevo trascorso chiuso in auto, bloccato nel traffico per arrivare all’università, ad allenamento o anche solo in un negozio.
Quel giorno invece avevo raggiunto tutte le mete nella metà del tempo e senza stressarmi nel traffico selvaggio, concedendomi pure il lusso di scoprire posti mai visti.
La cosa che non riuscivo a digerire, di cui proprio non mi capacitavo, era che fosse così dannatamente facile, bastava farlo! Nulla di più e nulla di meno.
Era sufficiente lasciare le chiavi della macchina in casa e uscire a piedi. Muoversi solo con i propri piedi e qualche mezzo pubblico, trasformando gli spostamenti in occasioni per conoscere.
Non riuscivo a credere che la soluzione dei miei problemi fosse sempre stata li, nelle mie gambe e, io, non avessi mai avuto la forza di vederlo.
Una nuova vita
I giorni successivi ripresi tutte le mie abitudini quotidiane, dall’università al lavoro, passando per gli allenamenti di Rugby.
Ma tutto era cambiato , la macchina in settimana non la usavo più, mi spostavo a piedi e con i mezzi pubblici per i trasferimenti più lunghi.
Avevo comprato un bellissimo zainetto che mi consentiva di muovermi comodo per le strade e i quartieri della città.
I primi mesi furono tra i più intensi della mia vita, scoprii intere vie di Roma che non avevo mai visto, avevo trovato piccoli cinema, teatri e locali in cui andare a bere qualcosa con gli amici. Anche la mia vita sociale era cambiata, incontravo molte persone, alcune più volte alla settimana.
Non solo negozianti ma anche altri studenti che si spostavano a piedi, avevo avuto modo di conoscere molte persone sulle strade che “camminavo” ogni giorno e avevo preso l’abitudine di fare l’ultimo tratto di strada prima dell’università con una ragazza che incontravo ogni mattina sulla strada dell’università.
Non avevo più avuto attacchi di panico, l’ansia era diminuita ed ero riuscito a perdere anche qualche chiletto di troppo che nemmeno il rugby riusciva a buttare giù.
Qualche mese più tardi avevo deciso di investire qualche mio risparmio per un citybike, così non dovevo prendere più nemmeno la metropolitana.
Insomma, da quando avevo iniziato a camminare, ero un uomo nuovo. Ero così entusiasta che riuscii a trasmettere questa abitudine ai miei genitori, impresa difficile, specie per mio padre, che non aveva nessuna attitudine per lo sport, ma era un uomo curioso.
Questa fu la leva del mio successo, quando gli feci scoprire quel che si poteva imparare camminando per la città, iniziò anche lui ad usare un po’ di più le sue gambe.
Tanto che il giorno prima della mia laurea fu perfino costretto ad acquistare un nuovo abito perché, passo dopo passo, negli ultimi due anni aveva perso ben sedici chili.
Tra le varie cose che aveva perso strada facendo c’erano anche il colesterolo e i trigliceridi, che erano tornati normali dopo tanti anni di cure.
Lo ricordo ancora bene quel giorno. Quando riguardo le vecchie foto di quella giornata rivedo mio padre in uno stato di forma e di salute che non aveva più da anni, era ringiovanito.
A fianco a lui quella ragazza con cui passeggiavo ogni mattina fino all’università che, nel frattempo, era diventata la mia fidanzata. Un’immagine chiara di come la mia vita sia stata cambiata da un gesto semplice come quello del camminare, mi è servito solo trovare il coraggio di farlo.
Vi posso solo dire che ogni giorno è un giorno buono per iniziare a muovere il primo passo!
Ora scusate, ma non posso continuare a scrivere, perché devo accompagnare i miei bimbi a scuola e stamattina tocca a me guidare il pedibus!
No… non si tratta di un nuovo tipo di autobus!
Si tratta di un nuovo tipo di trasporto, sono i bambini che si portano a scuola da soli, con le loro gambe, camminando tutti insieme con alcuni genitori verso la scuola.