Trekking sulle orme del camoscio: gli itinerari per osservarlo

18 marzo 2020 - 4:55

Quando si pensa al camoscio, l’immaginario corre subito a un animale elegante, dalle caratteristiche corna curve rivolte all’indietro, animale tanto amato dagli appassionati naturalisti così come dagli escursionisti e dai bambini.

Ancora ai giorni nostri, avvistarne un esemplare è un’esperienza particolare che corona una giornata trascorsa in montagna. Sono ungulati elusivi e circospetti, tuttavia in alcuni mesi dell’anno sulle Alpi e sull’Appennino l’incontro con questo animale non è un evento raro e oggi il rischio di non rivederli più è fortunatamente svanito.

La salvezza del camoscio in Italia è legata alla nascita dell’idea stessa di salvaguardia del territorio: basti pensare alla istituzione nel 1923 del Parco Nazionale d’Abruzzo per proteggere gli ultimi esemplari di Rupicapra pyrenaica ornata che sopravvivevano nella Camosciara.

Missione compiuta visto che all’epoca se ne contavano appena una ventina di esemplari, mentre oggi ne sono censiti più di 700 e rappresentano un valore aggiunto per il Parco Nazionale, dove è possibile avvistare anche altre specie spettacolari e rappresentative dell’area protetta, come l’orso bruno marsicano, il lupo, il cervo e l’aquila reale.

Camoscio appenninico (Archivio Parco Nazionale Abruzzo Lazio Molise)

Tra le aree più selvagge e spettacolari del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise troviamo le montagne molisane, dall’aspetto imponente e dirupato, le cui vette di oltre 2.000 metri di quota dominano dall’alto i boschi di faggio secolari e vallate ricoperte in primavera da splendide fioriture.

Sono il regno del camoscio appenninico, presente sui monti della Camosciara, sul Monte Meta, sulle Mainarde, sul Monte Amaro, sul Monte Marsicano e sulle montagne che circondano la Val Canneto.

Il camoscio alpino, agile e sicuro

La Rupicapra rupicapra vive invece sulle Alpi ed è facile osservarla sulle montagne piemontesi dove si concentrano più del 60% di unità (soprattutto il Parco naturale delle Alpi Marittime, con circa 4500 esemplari), ma è tutto l’arco alpino ad essere interessato dalla presenza del camoscio, fino alla provincia di Trento e le Prealpi Veronesi.

In questo caso in numeri sono ancora più importanti rispetto al cugino appenninico: nel 1995 la popolazione di camosci alpini italiani contava più di 100.000 esemplari, dall’ultima rilevazione statistica (2008) sono in netta espansione con più di 124.000 capi.

Arti solidi e robusti, corpo agile e piccoli zoccoli gli permettono di muoversi con sicurezza tra i pendii e i declivi più difficili; una destrezza che gli ha consentito di sfuggire agli uomini quando ancora il bracconaggio rappresentava una minaccia per la sopravvivenza di questo animale.

Camoscio alpino (archivio Parco Orsiera Rocciavré)

Le femmine vivono in branchi guidati da un esemplare anziano, mentre i maschi restano in piccoli gruppi fino alla stagione degli amori.

E proprio le stagioni segnano il tempo della vita di questi animali e offrono, nei cambiamenti del loro aspetto, un curioso elemento per chi va in cerca di un avvistamento.

Così il passaggio dai mesi caldi a quelli invernali è visibile nel mutamento di colore del mantello, che da scuro in inverno diventa più chiaro in primavera, mentre dalle corna si può scoprire l’età di un individuo, perché si forma un nuovo anello ogni anno.

E sempre nella stagione buona nascono i piccoli e, con loro, rinasce la magia senza tempo di questo eterno abitante delle montagne.

 

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