Tarlin ha sempre amato il trekking e questo percorso è per lui un punto di riferimento. Percorrerlo tutto, almeno una volta, quasi una ragione di vita. Ne aveva già calpestato il tracciato altre volte, percorrendone piccoli tratti, ma ora è il momento della grande sfida.
Le chiacchierate con quei trekker che passavano vicino alla falegnameria, i racconti delle esperienze vissute lungo il sentiero lo hanno spinto a seguire la sua vocazione. Mettersi in cammino sul quel percorso, un appuntamento rimandato da troppo tempo.
E’ il 1995 quando decide di partire, in tasca qualche soldo guadagnato con i lavoretti saltuari, sulle spalle un grosso zaino con dentro la sua vita, un paio di scarpe comode ai piedi e al collo i medaglioni di suo padre che portava sempre con se.
Dopo il primo giorno di cammino, qualcosa nella sua testa inizia a cambiare, sente un’energia particolare provenire dagli alberi, dalle montagne intorno a lui, quasi come fosse tornato a casa, come se quel posto fosse sempre stato lì per lui.
Quell’irrequietezza che sentiva dentro fin dalla morte dei suoi genitori, che lo turbava al punto di avergli fatto perdere la famiglia finalmente abbassa la sua voce. Un acufene fastidioso, un disturbo fisico, che un passo dopo l’altro lascia la sua morsa.
Oltre la California, oltre New York e Miami, oltre quell’America che ci arriva attraverso la televisione e il cinema, esiste un’altra nazione, quella degli stati industriali, delle grandi campagne, città dove le strade non hanno nome, esiste un’America operaia e contadina che non ha nulla a che spartire con Hollywood o Broadway.
In quell’America è cresciuto Tarlin e in quella stessa America, proprio in quegli anni, c’è un musicista che sta diventando un vero e proprio mito per molti americani, grazie all’incredibile capacità di raccontare con le sue canzoni lo spirito e l’anima di quegli Stati Uniti lontani dalle luci della ribalta.
Il suo nome è Bruce Springsteen, soprannominato il Boss, il musicista che meglio di chiunque altro ha cantato la vita di città come Philadelphia, di stati come il Nebraska e di tutte quelle zone degli Stati Uniti che dall’altra parte dell’oceano non riusciamo nemmeno ad immaginare.
Tarlin ascoltava spesso le sue canzoni durante i lunghi anni passati in solitaria tra un lavoro e l’altro. All’inizio quella voce così intensa e profonda passava in radio raramente, ma negli anni quel ragazzo scalava le classifiche musicali.
In una notte, di quelle notti senza sonno, in cui pensi alla famiglia mentre sei solo in un posto di cui non conosci nemmeno il nome, in cui il tuo cuore è affamato d’amore e di casa.
In quella notte, dalla radio accesa, arrivano le note di un ballata rock del Boss, si chiama Hungry Heart, Tarlin è sdraiato sul letto, stordito da qualche bicchiere di whisky di troppo, ma improvvisamente si riprende.
Nella prima strofa della canzone Bruce canta “Got a wife and kids in Baltimore, Jack i went out for a ride and i never went back, like a river that don’t know where it’s flowing. I took a wrong turn and i just kept going.”.
“Ho una moglie e dei figli a Baltimora, Jack sono uscito a fare un giro e non sono mai tornato indietro, come un fiume che non sa dove scorre, ho preso una svolta sbagliata e ho continuato ad andare.”
Questo dice la canzone e Tarlin forse ha dentro di se anche quella sensazione, forse questo lo ha spinto a continuare a cercare una strada, una direzione.
Da quando è sul cammino quella maledetta voce ha iniziato ad affievolirsi, finalmente può liberarsi di quel peso, finalmente non ha più bisogno di quei versi che tanto lo avevano aiutato.
Quando una canzone ti sostiene in un momento difficile per riconoscenza alcuni si tatuano alcune frasi sulla pelle, Tarlin deice di fare qualcosa di più. Da quel momento si sarebbe fatto chiamare Baltimore Jack.