Uno scatto del Naga Parbat all'alba - Foto di Mian Ali Humayun1/Flickr
Nel 1953 una spedizione austro-tedesca guidata da Karl Maria Herrligkoffer conquistò finalmente la vetta, poche settimane dopo che una spedizione Inglese conquistò l’Everest.
Il Nanga Parbat per lungo tempo ha avuto la fama di Montagna inaccessibile, tanto che le popolazioni locali della regione himalayana, la chiamano “la mangia uomini” o la “montagna del diavolo“.
Una fama meritata, infatti 31 persone avevano trovato la morte nel tentativo di raggiungere la sua vetta.
Tra queste c’era anche Willy Merkl, il fratellastro dell’organizzatore della prima spedizione ad aver raggiunto la vetta del gigante di pietra.
ùIl suo nome era Karl Maria Herrligkoffer e dopo la morte del fratello, salire su quella montagna maledetta era diventata una ossessione.
All’inizio degli anni ‘50 iniziò a progettare la spedizione, organizzando la salita nei minimi particolari per evitare errori, ragione per cui affidò il ruolo di capo spedizione a Peter Aschenbrenner che aveva già tentato la salita del Nanga Parbat e sapeva come affrontare una spedizione Himalayana.
Prima di provare la salita finale alla vetta si sarebbero dovuti allestire ben otto campi base, l’avvicinamento doveva essere graduale, l’obiettivo era infatti portare in cima alla montagna tutto il gruppo, per incidere nella storia dell’Alpinismo il nome della spedizione.
L’uomo, però, è avaro di successo anche a costo di rischiare la vita, specie quando ci si mette di mezzo anche la spericolatezza della giovane età.
All’alba del 3 Giugno del 1953 uno dei membri più giovani della spedizione, l’alpinista austriaco Hermann Buhl, decide di partire da solo per percorrere i 1300 metri di dislivello che lo separano dalla vetta.
Il ragazzo non ha ossigeno e la scalata è molto faticosa, il gruppo si accorge della sua assenza dall’accampamento quando ormai è troppo tardi.
La salita è molto complicata, ci vogliono diverse ore per l’avvicinamento, sono ormai le 19:00 quando Bull raggiunge finalmente gli 8126 metri della vetta.
Non c’è tempo però di godere del traguardo, è essenziale ricominciare immediatamente la discesa verso il campo base.
Il giovane alpinista aspetta che i raggi della luna illuminino la neve e inizia la via del ritorno, è stremato, ha il fiato corto e ma non può fermarsi. In un passaggio particolarmente difficoltoso perde anche un rampone.
Proseguire è quasi impossibile, ma la forza di volontà del ragazzo e un’ottima resistenza gli permettono di far ritorno al campo base dopo oltre 40 ore ininterrotte di scalata.
L’accoglienza del gruppo è piuttosto fredda, il sogno di Karl Herrligkoffer di raggiungere la vetta in omaggio del fratello svanisce e il gruppo deve fare ritorno a casa.
Per il mondo dell’Alpinismo però rimarrà una giornata da ricordare e un traguardo storico, dopo il Monte Everest conquistato dagli Inglesi qualche giorno prima, ora anche la vetta del Nanga Parbat era stata raggiunta da un uomo.