Attraversando regioni montane dagli aspri rilievi o colline morbidamente rivestite di bassa vegetazione che si muove flessuosa al vento, capita che lo sguardo sia catturato dal luccichio del sole che balugina sulla superficie di un lago artificiale: ed è subito meraviglia per queste creazioni dell’uomo.
Spesso chi ama la natura, con un riflesso automatico che gli appare naturale come il gesto di allacciarsi gli scarponi o sorridere all’incontro con il primo fiore dellastagione, tende a criticare qualsiasi intervento invasivo dell’uomo sull’ambiente.
Eppure, quando le mani dell’uomo sono mosse da amore, rispetto e consapevolezza possono creare realtà in armonia con il territorio circostante.
Vi si inseriscono così bene da sembrare quasi ideate da Madre Natura.
Così accade per alcuni dei numerosi laghi artificiali che punteggiano il nostro Paese, talvolta occhieggiando benigni da ampie valli montane e striando di un blu vivace stretti passaggi tra i pendii.
Tuttavia, non possiamo fingere che alcune tra le tragedie ancora oggi più vive nell’immaginario collettivo non siano legate alla brama di spingersi troppo oltre.
Le valli del Gleno e del Vajont sembrano ancora risuonare del rombo cupo delle acque che trascinarono con sé, con tutta la loro potenza, migliaia di vite e di sogni rimasti irrealizzati.
Senza dimenticare la prudenza e il riguardo imparati dalle esperienze del passato, è però giusto celebrare gli esempi che mostrano come queste opere possano diventare un dono alla natura.
Energia ed ecosistemi
Da sempre, dai tempi immemori in cui si sostituì la forza dell’uomo e degli animali con quella dell’acqua e dei primi mulini, questo elemento accompagna la civiltà nel suo sviluppo.
E l’Italia, benedetta dall’abbondanza di risorse idriche, riesce a coprire un sesto della produzione nazionale di energia con l’idroelettrico.
È un’energia pulita e rinnovabile, particolarmente scenografica quando i fiumi vengono sbarrati da dighe e formano bellissimi laghi.
Gli ingegneri incanalano poi le acque in condotte che le portano alla centrale più in basso, dove un sistema di turbine le trasforma in elettricità.
Da nord a sud, uomo e natura sono stati capaci di collaborare.
Hanno modificato il paesaggio in modo tale da garantire un perfetto adattamento ambientale e, nei casi più fortunati, ecosistemi preziosi e delicati.
Fortunatamente numerosi sono gli esempi di bacini artificiali divenuti veri e propri rifugi per l’avifauna.
Gli appassionati si radunano sperando nell’incontro con un airone, una folaga o uno svasso, dai laghi della Sila Ampollino, Arvo e Cecita.
Il Lago di Busche ad esempio, pur vicinissimo ad un centro abitato, è forse il miglior sito del Bellunese per osservare anatidi ed altre specie nidificanti o soltanto di passaggio.
Laghi artificiali, bacini pieni di vita
Altrettanto varie sono le località che saltano alla mente agli appassionati di pesca, che sanno come questi laghi, opera dell’uomo, abbiano saputo accogliere la fauna ittica.
Carpe, cavedani e trote hanno trovato un habitat ideale dal lago Salto, nel Lazio, a quello di Suviana, in Emilia Romagna.
Avere reso questi ambienti così favorevoli alla fauna ittica e avicola sembra quasi un modo per risarcire la natura dell’innegabile impatto che deriva dalla costruzione di una diga.
Un riassestamento morfologico che a livello locale si fa senz’altro sentire molto, ma che globalmente diventa una risposta “verde” alle sempre crescenti esigenze energetiche.
Oltre che per pesci, gamberetti e uccelli, migratori o stanziali che siano, i laghi artificiali costituiscono spesso un paradiso per gli sportivi.
Per citarne solo alcuni, i laghi di Brasimone, ancora in Emilia Romagna, o quello di Barcis, in Friuli, sono mete rinomate per gli appassionati di canoa e kayak.
Non si può perdere un avventuroso giro in mountain bike dei laghi di Ceresole, in Piemonte (regione le cui valli alpine sono un continuo e meraviglioso avvicendarsi di bacini artificiali), o di Coghinas in Sardegna.
Paesi sommersi
Un mondo fatto anche di storie poetiche e tristi, quello dei laghi artificiali.
Spesso considerati solo in rapporto all’ambiente naturale in cui si sono inseriti e poco nel loro impatto sulla vita delle persone, nascondono invece storie dense di drammaticità.
Oggi possiamo ripercorrerle, magari con una meravigliosa escursione, o ascoltando le parole dei nostri vecchi.
I laghi di Vagli in Garfagnana e di Resia in Val Venosta celano nelle loro acque che riflettono il cielo le tracce del loro passato e gli echi di molte storie.
Il lago di Vagli restituisce una volta ogni dieci anni circa, quando viene effettuata la manutenzione della diga, l’antico borgo che le sue acque hanno sommerso.
Si tratta di Fabbriche di Careggine, i cui abitanti furono fatti trasferire più in alto, su quelle che oggi sono le rive del bacino.
In queste occasioni si può osservare ciò che resta del paese medioevale e della chiesa di San Teodoro, sempre tenendosi prudentemente a distanza dagli edifici.
La sera, illuminato artisticamente da fioche luci, Fabbriche sembra rivivere misteriosamente sussurrando al vento tutta la sua storia.
Simile la vicenda del lago di Resia, celebre per l’iconica immagine del campanile che spunta dalle sue acque tranquille.
Per realizzare questo invaso venne sommerso il paese di Curon Venosta, ricostruito più in alto.
La leggenda vuole che ancora le campane della chiesa risuonino, nonostante la loro rimozione prima dei lavori.
Eppure forse è proprio così, si sentono, e sono un malinconico monito a rispettare la natura e i suoi equilibri.
Gleno e Vajont, le tragedie simbolo
Quella di Longarone, paese travolto dalle acque tracimate dal lago del Vajont, è tristemente la storia più nota che salta alla mente quando si sente parlare di bacini artificiali.
Era una sera d’ottobre come tante, nel 1963, quando una grossa frana si staccò dal Monte Toc.
Precipitò nelle acque del bacino recentemente realizzato, provocando un’onda che superò la barriera della diga riversandosi nella valle sottostante.
All’alba, gli alpini giunti sul posto non poterono fare altro che liberare i quasi duemila corpi dal fango e dalle macerie.
Quarant’anni prima, una storia molto simile si era verificata fra la valle di Scalve e la Valcamonica.
Il 1° dicembre 1923 le troppe piogge unite a difetti strutturali della diga del Gleno causarono la caduta di sei milioni di metri cubi d’acqua, fango e detriti sui borghi sottostanti, ancora addormentati nel gelido mattino.
L’itinerario: dalle cascate del Toce alla diga Vannino
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