Lago Vivo, invece, è la magia di uno specchio d’acqua cangiante nei colori e nella forma; un piccolo gioiello della natura che fa sua la legge del mutamento. È vivo perché non lo si rivedrà due volte uguale, perché cambia con esso la strada, cambia il cielo, cambiano gli odori.
È vivo perché nelle sue acque si raccolgono i racconti e le esperienze di coloro che si soffermano sulle sponde oppure semplicemente sui bordi del pianoro ad ammirare lo spettacolo che neppure la calura estiva e la siccità riescono a scalfire, semmai solo a cambiare.
Lago Vivo è il regno dei lupi e delle fate, che da sempre convivono pacificamente, protetti dall’atmosfera di beatitudine che lo avvolge come una nebbiolina piacevole, come quell’effetto flou tanto amato dai fotografi di cerimonia. Il suo cuore batte e alimenta un respiro pacato e lento.
Una vallata bianca, un lago ampio calmo e freddo, una pozzanghera, un grande prato verdeggiante, una distesa quasi brulla, e poi di nuovo una vallata bianca e la storia si ripete, in un Samsara eterno che rispecchia il susseguirsi delle stagioni, anche di quelle mezze stagioni che altrove non ci sono più. Ma non c’è bisogno di rompere il ciclo infinito per raggiungere il Nirvana; bastano poche ore di cammino e un cuore puro.
Con tanta pazienza ho lasciato passare gli anni e ho rivisto questo luogo nelle sue vesti sempre rinnovate; ho cercato di respirare con il suo ritmo, ma quando pensavo di poter prevedere la settimana in cui le sue acque erano al culmine, mi sorprendeva una nevicata inaspettata che rinviava il rituale di un bagno solitario e gelido; e se volevo fotografare il carminio delle foglie cadenti che si confondeva con il rosso del tramonto, trovavo gli alberi ancora verdeggianti.
E così ho imparato ad accettarlo mutevole e imprevedibile, come una donna fatale che non vuole farsi scoprire e conoscere. Rivederlo ogni volta è, ancora oggi, una sorpresa rinnovata e imperdibile.
È la prima volta che mi avventuro verso Lago Vivo; me ne hanno parlato e sono curioso di vederlo. Con l’automobile mi sposto lungo la SR 83 Marsicana che da Villetta Barrea, sede del mio campo base nel cuore del Parco, conduce a Barrea.
Supero il paese e proseguo in direzione di Alfedena; al km 67 c’è uno spazio dove parcheggiare l’auto. È un giorno infrasettimanale, lontano dalle vacanze natalizie, con il turismo che ristagna un po’ e non ci sono problemi a trovare posto; ben diversa è la situazione nei giorni di maggiore afflusso, quando il sentiero per Lago Vivo è meta ambita di escursionisti che cercano l’emozione di una passeggiata tra i boschi con uno sforzo non eccessivo.
Di media difficoltà, durata complessiva 5 ore: così è stimato dalla carta ufficiale del Parco il sentiero K4 che mi appresto a percorrere. La tabella del Parco, all’ingresso del K6, che si congiungerà più in avanti con il K4, mostra una cartina del territorio e alcune informazioni sui divieti in essere.
Chi è in compagnia del proprio amico a quattrozampe dovrà, purtroppo, scegliere altri sentieri, perché questa zona è sottoposta a vincoli di protezione che, per questioni scientifiche, non consentono l’accesso ai cani, neppure al guinzaglio. Per fortuna stavolta ho lasciato la mia amica a casa e quindi sono libero di affrontare la salita munito di binocolo e macchina fotografica.
Il sentiero attraversa il vallone dell’Inferno, snodandosi nel bosco per un lungo tratto, circa due terzi del percorso complessivo, tra rocce e foglie secche che fanno da soffice tappeto. Cammino piano per non disturbare gli animali che sicuramente ci sono, mi osservano, ma lasciano poche tracce e pochi segnali della loro presenza; solo un occhio attento noterà gli escrementi delle volpi e le penne di un uccello che ha lottato contro il suo predatore prima di soccombere.
Un coro di cinguettii mi accompagna, l’umidità si fa sentire profondamente; la salita diventa più impegnativa, mentre attraverso il vallone lungo il fondo di un torrente ormai in secca. Poco più su frequenti formazioni rocciose, su cui se fossi stato fortunato avrei intravisto la sagoma possente e al tempo stesso agile di un cervo, mi anticipano le estensioni calcaree che incontrerò in prossimità dello specchio d’acqua e che testimoniano la natura carsica della zona.
Il piede affonda nella prima neve, che più avanti diventa sempre più corposa, tingendo di bianco l’intero paesaggio. Le piccole impronte che compaiono qui e lì potrebbero essere di una volpe, oppure di una magica creatura dei boschi molto brava a camuffarsi agli occhi dei viandanti, ma incapace di nascondere i suoi passi sulla neve.
Si respira davvero aria di favola, man mano che la neve ricopre gli alberi giocando con i riflessi del sole e con le ombre. Si continua a salire, lasciando ora sulla sinistra la valle, fino ad incontrare un’edicola sacra dedicata alla Madonna delle Grazie, detta anche Madonna del Buon Passo, che dagli anni ’40 del Novecento saluta gli escursionisti di passaggio.
A quel punto, la fatica volge al termine: il sentiero si apre su una zona quasi pianeggiante, ormai ai margini del bosco. La neve ricopre tutto e, magicamente, il corridoio di alberi diventa il gioco divertito di una schiera di alfieri dalle spade sguainate, che aspettavano il mio passaggio per divertirsi a far cadere sul capo nudo gelide sorprese.
E quando supero gli ultimi alberi, mi ritrovo su un ampio pianoro dove il lago purtroppo ha lasciato il posto a una candida distesa di neve, quasi immacolata, e ghiaccio. Spostandomi sul bordo della valle, mi rendo conto che non sono da solo: impronte fresche di lupi creano una ragnatela intrecciata.
Sono in tanti, non li vedo; potrebbero essere ovunque, ad annusare il mio odore, chiedendosi se io sia una preda o un predatore, se il mio sangue caldo possa essere una delizia oppure un veleno. Ma il Lupo teme l’Uomo, e si terrà a debita distanza, lasciandomi la serenità di continuare la passeggiata.
Il bacino è dormiente sotto la coltre spessa di neve e dovrò attendere molto perché cambi la sua veste con un abito più colorato e leggero.
È una bella giornata di inizio maggio, con il cielo limpidamente azzurro e l’aria tiepida ma non ancora calda, anzi a tratti frizzante, specialmente di buon mattino. Lungo il K6 e poi il K4 il sentiero non è più completamene spoglio come in inverno, ma i rami degli alberi cominciano a tingersi di quel verde sgargiante e luminoso tipico solo della primavera; e gli uccellini quasi assordano con il loro canto ininterrotto.
Ogni tanto un fruscio furtivo mi avvisa della presenza di qualche animale che ha avvertito la mia presenza e spaventato cerca rifugio. Alla fine della salita rivedo la Madonna del Gran Passo, ma resto un po’ deluso, perché da qui in poi il sentiero ha perso quel mistero e quella magia che solo la neve riusciva a creare.
Sarò ampiamente ricompensato, pochi minuti dopo, dalla vista del lago in tutto il suo splendore: una distesa d’acqua limpidissima, che riempie parte del pianoro, tra il riflesso delle montagne circostanti (a Nord-Est i monti Petroso e Iamiccio, a Sud-Est il monte Altare) e delle poche nuvole che spezzano la regolarità quasi monotona del cielo.
Basta dare un’occhiata in giro per rendersi conto di come le quattro stagioni si siano tutte concentrate in questo piccolo paradiso: l’erba fresca e l’acqua cristallina; la neve di fronte a me, sul pendio con cui riprende il sentiero K4; le foglie secche dell’autunno scorso lungo il tratto appena percorso; il sole intenso che picchia sulla mia pelle nuda.
Quattro stagioni tutte insieme. Sul margine sinistro del pianoro scorgo la Fonte degli Uccelli, una sorgente naturale che garantisce all’escursionista un gradevole momento di ristoro, prima di riprendere il cammino; a volte completamente coperta dalla neve nel periodo invernale, qualche volte quasi secca nei momenti di maggiore siccità, adesso offre un getto d’acqua fredda costante e intenso.
Si avvicina l’ora di tornare a valle: il sole non resterà alto in cielo ancora a lungo, ma decido ugualmente di concludere l’anello. C’è da fare un bel po’ di salita sull’unico versante ancora coperto dalla neve, nella quale si affonda abbondantemente oltre la caviglia; ma è davvero l’ultima fatica, perché per il resto avrò da affrontare solo una lunga discesa.
La salita lungo il K4 è resa più difficile dal caldo, ma per fortuna il bosco è sufficientemente fitto da ostacolare i raggi del sole. Il verde brillante della faggeta che ho potuto godere in primavera è ora sostituito da un colorito più maturo e non c’è più segno delle rare chiazze di neve che ancora si intravedevano nei punti più coperti e poco soleggiati fino a qualche mese fa.
Il lago è sparito, al suo posto delle zacchere fangose e l’erba a tratti ingiallita dal sole cocente; anche la Fonte degli uccelli ha perso il suo vigore e mi offre un getto smorto, che mostra tutta la stanchezza di questa estate calda e affannosa.
Nonostante la piattezza dei colori e delle forme, il paesaggio resta affascinante, con i monti che si stagliano decisi facendo da sfondo al pianoro del lago, che ancora una volta ha dato prova della sua mutevolezza. C’è solo fango, ma il lago resta vivo, pronto a cambiare le vesti con la prossima stagione.
Lo spettacolo è garantito: dalla Valle dell’Inferno al pianoro del Lago Vivo è tutto una tavolozza di colori, che sfumano l’uno nell’altro, che si alternano e si sommergono a vicenda. L’arancio e il rosso-bruno del faggio, prevalente in tutta la zona, e le tinte particolari dell’acero che, pur raro, fa la sua comparsa lungo il sentiero, appaiono in tutte le tonalità possibili rendendo agli occhi uno spettacolo di rara meraviglia.
Del lago, ovviamente, resta un ricordo, ma la sua latitanza è ben sostituita dal paesaggio e dai suoi colori. Lago Vivo, uno spettacolo per i sensi che, tutti insieme, si inebriano di una bellezza tanto rara quanto tangibile e dove magia, misticismo e romanticismo tessono la trama e l’ordito del velo per la sposa più bella che si possa immaginare: Madre Natura.
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Testo e foto di Luigi Civita