MADAGASCAR: IL PAESE DAI MILLE VOLTI
Emozioni e suggestioni di viaggio nelle mille diverse realtà di un paese così diverso e variegato da poter essere consideratoun “piccolo Continente”
Quello dei grandi parchi o delle spiagge incontaminate? Delle lunghe camminate o del relax all’ombra delle palme? Quello dei villaggi di pescatori o delle città trafficate? Quello delle donne col volto cosparso dalla bianca polvere di mais o delle malgasce dalla pelle olivastra come il mogano? Quello dei lavoratori delle miniere di zaffiri che si consumano i polmoni nelle viscere della terra alla ricerca di un riscatto che, forse, non arriverà mai? O quello delle ricche famiglie che indossano queste pietre preziose concedendosi svaghi e divertimenti? Quello delle dune, delle alte montagne rocciose e delle vaste savane e praterie? Non ha importanza quale Madagascar perché la grande isola malgascia è tutto questo e tantissimo altro ancora. Un prezioso scrigno che galleggia nell’Oceano Indiano e, una volta aperto, lascia uscire tutte le sue gemme.
Nella terra dei lemuri
Una di queste gemme sono gli occhietti attenti dei lemuri, animali endemici di questa isola-continente, dalla lunga coda a dal musetto che ricorda quello del gatto. Con curiosità, osservano i viaggiatori arrivati da paesi lontanissimi che si inerpicano lungo i ripidi sentieri del loro habitat, camminando con gli occhi rivolti all’insù nella speranza di scorgerli e fotografarli.
E che dire dei secolari baobab che ornano una delle vie più strabilianti del mondo sul cui dritto orizzonte si adagia l’infuocata palla del sole, fino a scomparire. È Morondava!! I suoi baobab protendono le loro radici verso il cielo e si dice che furono gli spiriti a punire l’albero a causa della sua superbia, sradicandolo e conficcandolo capovolto nel terreno. Ci sono poi, sperduti nella boscaglia, due baobab avvinghiati che la tradizione vuole portino fortuna agli innamorati. È da qui che parte la via che conduce agli Tsingy, luogo molto ambito da escursionisti e scalatori.
Dopo un piccolo tratto d’asfalto si prende una pista molto sconnessa e polverosa che porta sulle rive dello Tsiribihina dove caricheremo la nostra jeep su una chiatta per passare dall’altra parte. Un’operazione avventurosa, su un traghetto spartano formato da due barche a motore appaiate e collegate da assi di legno su cui prendono posto alcuni mezzi di trasporto e una cinquantina di “indigeni” vocianti. Dall’altra parte del fiume, a una ventina di chilometri, c’è Belo sur Tsiribihina, da dove prosegue la pista sempre più sconnessa che porta nel Parco di Bemaraha. È l’alba di un giorno di agosto, il sole tropicale è appena sorto da qualche parte illuminando i piccoli e grandi Tsingy che puntano le loro affilate lame di pietra verso il cielo. Per “scalarli” ci si deve arrampicare lungo stretti pertugi, arrancare sulle scale di ferro conficcate nella roccia e attraversare oscillanti ponti di assi sospesi nel vuoto. Per salire ancora sono necessarie corde e attrezzatura da scalata. Un percorso non semplice né adatto a tutti, percorribile solo tra aprile e novembre. Le profonde grotte di queste bizzarre formazioni carsiche offrirono, in passato, un riparo sicuro ai misteriosi Vazimba, i primi abitanti del Madagascar, che qui celebravano antichi riti sacri. Le grigie rocce degli Tsingy contrastano con i possenti massicci di arenaria del Parco dell’Isalo, luogo di selvaggia bellezza dove, fra canyon, cascate e piscine naturali si snodano sentieri che attirano trekkers da tutto il mondo.
Il Canyon Makis si raggiunge con una giornata di cammino da Ranohira ed è consigliabile fermarsi per la notte. Una lunga camminata che attraversa il Canyon Des Singer porta a una bella piscina naturale alimentata da una cascata dove ci si può rinfrescare con una nuotata e anche qui si può passare la notte in un campo tendato. Il parco è un vero paradiso ma, alle sue porte, si trova un inferno che si chiama Ilakaka; una città nata dal nulla, patria di avventurieri senza legge e senza dio.
Ombre, che una volta erano persone, si aggirano in buchi profondi armati di pale e setacci alla ricerca di uno zaffiro o di una pepita d’oro, evento che può cambiare una vita altrimenti inesorabilmente grama.
Verso sud
Un grappolo di colline ospita oltre 40.000 ettari di foresta umida, spesso avvolta nella nebbia. È il Parco di Ranomafana, dove le rocce lasciano il posto alla fitta vegetazione nella quale si nascondono ben dodici specie di lemuri. Ma il padrone assoluto della notte è un furetto, considerato il fantasma del parco. Corre e rumoreggia per spaventare gli escursionisti che partono col buio ma, appena spunta il sole, si dilegua e sparisce. Tanti giurano di avere visto la sua ombra seguirli insistentemente per ore, mentre gli abitanti del villaggio non si addentrano mai nel parco prima dell’alba.
I camaleonti, numerosi in questo territorio, sembrano piccoli e inanimati capolavori naturali, tanto è immobile la loro postura, mentre assumono sfumature analoghe a quelle dell’ambiente che li circonda per nascondersi agli occhi di eventuali predatori. Il cambio d’abito non è la sola particolarità, questi magnifici sauri hanno anche la capacità di ruotare gli occhi separatamente, mettendo a fuoco allo stesso tempo oggetti diversi. Per catturare gli insetti lanciano fuori a grande velocità la lunghissima e appiccicosa lingua sulla quale restano “incollate” le prede. Ancora più a sud, la Riserva di Nahampoana è attraversata da un breve sentiero da cui è possibile avvistare i lemuri catta dalla lunga coda ad anelli e gli occhi sempre attenti a controllare ogni piccolo movimento, e i sifaka, i simpatici lemuri ballerini, così chiamati per la loro buffa andatura, saltando con le due zampe posteriori mentre mantengono quelle anteriori sollevate. “Balletto” necessario per percorrere il più velocemente possibile il loro territorio cercando di sfuggire così ai predatori.
Dalla vicina Fort Dauphin, situata sulla punta più a sud del Madagascar, con un’imbarcazione corriamo lungo canali luccicanti ombreggiati da piante e palme del viaggiatore, raggiungendo il villaggio di pescatori di Evatra, immerso in un isolamento totale. I viottoli in terra si snodano attorno alle poche capanne di paglia dove le donne sono impegnate nella costruzione delle stuoie mentre tengono a bada sciami chiassosi di bambini. Le donne malgasce, specialmente quelle dei villaggi lungo la costa, sui fiumi o nelle isole, si dipingono il volto con un impasto ottenuto dalla macinatura di un ramo dell’albero di masonjoany e un po’ d’acqua. Si ottiene una crema che, spalmata sul volto, crea una maschera utile a proteggere la pelle dal sole rendendola morbida ed elastica. A completare il tutto, un cappellino di paglia traforato dai brillanti colori e ornato di fiori che ricama i visi di bizzarri riflessi.