MADAGASCAR: sulle tracce della biodiversità

19 marzo 2020 - 10:57

Cercare una specie rara e non ritrovarla: questo sembra ormai divenuto l’incubo dei biologi in quanto il numero di specie viventi della Terra diminuisce con un andamento che alcuni ritengono addirittura irreversibile.

“Per ora sull’isola non è stato ancora trovato il fungo patogeno che attacca le rane”, questo il recente annuncio di alcuni erpetologi impegnati nella conservazione degli anfibi del Madagascar: ottima notizia poiché il famigerato Batrachochytrium dendrobatidis è responsabile del drammatico declino, dal punto di vista del numero di popolazioni, di molte specie e quelle malgasce sono quasi tutte endemiche: assolutamente giustificato il timore per gli effetti di una sua introduzione accidentale!

Il WWF e l’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) misurano costantemente questo fenomeno: alcuni biologi hanno messo a punto un indicatore, detto Indice Pianeta Vivente, fondato sui censimenti regolari della fauna e della flora nei cosiddetti hotspot, che ha dimostrato un capitombolo del 27% della biodiversità su scala globale tra il 1970 e il 2005.

Il Madagascar è proprio uno degli importantissimi hotspot del nostro pianeta: così sono definite alcune regioni della Terra straordinariamente ricche di vita animale e vegetale, con una elevata percentuale di specie endemiche e dove è accertata la perdita di almeno il 70% della copertura vegetale primaria.

L’Isola Rossa è costantemente sotto i riflettori: da un lato interi ecosistemi come le rain forest di pianura, nella costa orientale, e le foreste secche dell’Ovest risultano già estremamente frammentate per la pratica tradizionale del tavy, la versione locale del “taglia e brucia”; dall’altro il ritmo serrato con cui si scoprono specie nuove di vertebrati non mostra flessioni: alle 144 specie di rane malgasce segnalate nel 1990 se ne sono aggiunte, dopo nemmeno vent’anni, almeno altre 100, inducendo i conservazionisti a ridisegnare la rete di parchi adattandola ai nuovi, mutevoli, “pattern” di biodiversità.

Ma cosa si intende, alla luce delle nuove scoperte dei sistematici e delle nuove istanze del mondo della conservazione del patrimonio biologico mondiale, con la parola biodiversità?

Uroplatus fimbriatus, comune sull’isola di Nossy Mangabe, sui sentieri che si dipartono dal Centro di ricerca (Ph Riccardo Nincheri)

Biodiversità esprime un concetto nuovo, “introdotto” alla fine degli anni Ottanta dai biologi americani Wilson e Peter, divenuto rapidamente di uso comune soppiantando termini quali natura e risorse naturali. Andiamo però con ordine. La diversità biologica era già da tempo oggetto di studio da parte dei biologi in quanto correlata positivamente ad ambienti particolari come la foresta pluviale tropicale, il cui apparente stato di maturità e stabilità si è presto rivelato pari all’estrema fragilità dell’area.

La ricchezza in termini di specie presenti era stata poi associata all’integrità ecologica secondo alcuni studi pionieristici che dimostravano la correlazione tra l’impoverimento di specie e l’involuzione di un determinato ambiente ad uno stato più semplice, causata dall’uomo oppure da certe catastrofi naturali più frequenti di quanto si potrebbe immaginare: pensiamo ad esempio alle foreste protette nei parchi del Madagascar devastate in media, ogni 40 anni, dai ricorrenti uragani formatisi nell’Oceano Indiano.

Nasceva quindi una vera e propria biologia della conservazione, come scienza dei metodi per preservare tutte le diversità insite nella vita e biodiversità era proprio il neologismo che sintetizzava meglio i bisogni sorti dal rischio di estinzione proprio di un numero crescente di specie e di ecosistemi.

Era ovvio che il termine “biodiversità” avrebbe soppiantato, in virtù del suo “taglio” decisamente tecnico, estremamente appropriato per quantificare il tasso di ricchezza in specie animali e vegetali presenti in un dato ecosistema, il termine ormai obsoleto “natura”.

Il Madagascar si rivela un’area davvero affascinante per lo studio della biodiversità, sebbene, per la stessa definizione di hotspot, la stessa resti concentrata solo in poche aree. Dunque i primi trekking nelle magnifiche foreste color smeraldo della “terra promessa per gli appassionati di natura”, susciteranno una grande meraviglia per ciò che fortunatamente è rimasto intatto ma anche un forte rimpianto per tutto quel che è andato irrimediabilmente perduto per sempre.

Questo è, nel bene e nel male, quel che oggi rappresenta un’avventura sull’Isola Rossa, ancora in parte ignota e selvaggia, meta prescelta da veri amanti della natura.

Perché il Madagascar è “iperdiverso”?

Il numero di specie presenti in Madagascar dipende certamente dall’estensione dell’isola, quasi il doppio dell’Italia, e dalla sua elevata piovosità, ma non solo; anche le sue peculiari caratteristiche topografiche e la varietà di habitat a disposizione degli esseri viventi – che anticamente vi abitarono e che in questo territorio insulare chiuso si evolvettero – concorrono a delineare un quadro estremamente favorevole all’esplosione di forme di vita riscontrata nelle sue foreste.

Dai pochi antenati primigeni si generò progressivamente una lunga serie di forme biologiche le cui caratteristiche esemplificano meglio di qualsiasi esperimento di laboratorio le leggi dell’evoluzione. L’attuale scarsità di specie animali presenti sull’isola è infatti la conseguenza della povertà faunistica del Madagascar al momento in cui, in piena era secondaria, si separò dall’Africa mentre il suo pendant è la straordinaria radiazione adattativa cui sono andate incontro queste poche forme di vita nel pressoché completo isolamento, occupando tutte le nicchie ecologiche disponibili in assenza delle forti pressioni selettive agenti altrove.

In Madagascar mancano del tutto i felini; conseguentemente i lemuri malgasci (lemuri, sifaka, ayé ayé e altri), non solo non hanno mai dovuto confrontarsi con gli scoiattoli e con le scimmie delle foreste africane nella competizione per il cibo, ma non conoscono neppure la minaccia dei predatori, nota invece ai loro consimili africani (galagoni, potto, artocebo). Inoltre nelle foreste dell’isola la densità di popolazione dell’unico predatore temibile, il fossa, un “incrocio” tra una faina e un gatto, sembra essere ovunque molto bassa.

Villaggio contadino tipico dell’altipiano malgascio presso Anjozorobe, sullo sfondo, raggiungibile con un agevole trekking, la foresta rimasta purtroppo ridotta a lembi (Ph Riccardo Nincheri)

La natura insulare è caratterizzata da un elevato tasso di endemismo: l’86% delle angiosperme sono presenti solo sull’isola mentre quasi tutti i rettili sono endemici e il Madagascar possiede da solo la maggior parte delle specie di camaleonti oggi conosciute.

Notevole poi la presenza di molte specie nane tra lemuri, rane e camaleonti. Il paese è famoso per le sue orchidee, presenti per lo più nelle foreste con un migliaio di specie; di particolare rilievo anche una pianta appartenente al genere “gondwaniano”, la Taktajania riscoperta solo recentemente nella rain forest di Masoala, ritenuta un fossile vivente poiché mostra i caratteri delle piante da fiore più arcaiche.

Testo e foto di Riccardo Nincheri

 

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