Dal Pollino alle Dolomiti Lucane: le perle montane della Basilicata
Con i suoi 192.000 ettari, il Parco Nazionale del Pollino è il più esteso d’Italia: scrigno di bellezze naturalistiche contrastanti, lussureggianti e selvagge nel suoversante tirrenico, più brulle e rocciose man mano che ci si avvicina allo Jonio.
Il Parco annovera all’interno del suo perimetro le vette più alte dell’Appennino meridionale: la Serra Dolcedorme (cima più alta, con 2267 metri), il monte Pollino (2248 metri) e la Serra delle Ciavole (2130 metri).
Il parco è dimora di una ricchissima avifauna che comprende rapaci di grossa taglia come l’aquila reale, il nibbio, il grifone, il capovaccaio e il gufo reale, mentre tra i mammiferi le specie più comuni sono il lupo appenninico, il gatto selvatico, il cervo, il capriolo e la lontra.
Il simbolo del Pollino è una particolare specie arborea: il Pino loricato. Questa rarissima varietà appartenente alla famiglia delle pinacee, è un vero e proprio reduce dell’ultima glaciazione.
Le sue robuste forme sono contorte, attorcigliate e modellate nei secoli dal vento, dal gelo e dagli eventi atmosferici.
Alcuni degli esemplari più longevi possono arrivare a vivere circa mille anni, capaci di sfidare anche le condizioni climatiche più dure e proibitive.
Nel resto d’Europa i pini loricati si trovano solo in alcune zone dei Balcani con sparute presenze, mentre nel Parco regalano scorci maestosi con le loro cortecce che ricordano le antiche corazze romane (da cui il nome).
Nel territorio del parco si trovano due comuni da cui si diramano i sentieri più suggestivi per godersi i boschi e le vette del Pollino, Viggianello e Rotonda.
Viggianello, soprannominato il Paese delle ginestre, si erge a strapiombo sulle pareti del Monte Serra ed è uno dei punti di inizio per le escursioni verso la vetta del Pollino.
Rotonda è invece un borgo dominato dai ruderi di un antico castello, in cui a giugno si svolge un curioso rito arboreo in cui un faggio e un abete bianco vengono abbattuti nel bosco, portati dai buoi in paese e uniti in una sorta di “matrimonio” propiziatorio.
L’alta Val d’Agri e il Parco dell’Appennino Lucano
Poco più a nord c’è invece il più giovane tra i Parchi nazionali italiani, il Parco dell’Appennino Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese. Nato nel 2007, dopo una gestazione durata più di dieci anni, il Parco dell’Appennino Lucano si inserisce tra le vette del Pollino e il Parco Nazionale del Cilento (in Campania), ricoprendo un’area di quasi 69.000 ettari.
Il suo territorio è un luogo ideale per gli amanti degli sport all’aria aperta, ed in particolar modo per gli sciatori. Le vette più alte del massiccio della Maddalena, insieme ai monti del Sirino, sono infatti i luoghi migliori dove praticare gli sport invernali in Basilicata.
Nel cuore del Parco si trova anche il Lago di Pertusillo, uno dei principali bacini della regione.
Delimitato da una diga artificiale, è il posto ideale per chi ama il birdwatching. Nelle vallate del Parco è bello perdersi ad ammirare i numerosi borghi adagiati sulle alture, come Laurenzana e il suo castello del XIII secolo, o Marsicovetere, da cui partono diversi itinerari naturalistici per gli amanti del trekking.
A pochi chilometri da queste vette immacolate, ci sono poi degli importanti siti archeologici che testimoniano l’importanza che Valle dell’Agri ha ricoperto in passato: è il caso di Grumentum, un’antica colonia romana che è oggi una delle aree archeologiche meglio conservate del Sud Italia.
In seguito all’invasione dei Saraceni, che obbligò la popolazione a rifugiarsi sui fianchi delle montagne, il centro fu abbandonato. Oggi rimane ben visibile la struttura urbanistica originaria con l’acquedotto, il teatro, il foro e il tempio.
Le Dolomiti Lucane: guglie e scorci alpini a due passi da Potenza.
Una delle caratteristiche più pregevoli della Basilicata, è la sua capacità di non lasciare mai indifferente il viaggiatore davanti ai suoi paesaggi.
Le Dolomiti Lucane rappresentano uno dei casi che meglio esemplifica questa peculiarità.
Queste montagne, la cui nascita risale a circa 15 milioni di anni fa, nel periodo del Miocene, si stagliano a ridosso della valle del Basento nel Parco regionale di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane.
Come si intuisce dal nome, ispirato alle ben note “sorelle maggiori” del Triveneto, le Dolomiti Lucane sono delle vere e proprie cattedrali di arenaria, sulle cui pendici l’uomo è stato abile a costruire nei secoli dei piccoli e scenografici centri abitati.
Le cime più alte, dai contorni aguzzi e bitorzoluti, non superano i 1.500 metri, ma danno luogo a paesaggi fuori dal tempo, in cui le forme sono state modellate da una millenaria azione erosiva.
I profili bizzarri delle rocce hanno scatenato la fantasia delle popolazioni locali, che hanno dato dei nomi rappresentativi alle sue cime: Aquila reale, Incudine, Grande Madre, Civetta, Corvo, Leone a seconda delle fattezze delle montagne.
Il modo migliore per godersi le Dolomiti è percorrendo le piccole strade provinciali che passano per i borghi del parco: su tutti Castelmezzano, Pietrapertosa e Accettura.
Dai tre centri abitati è possibile imboccare i sentieri che portano ai luoghi da cui godersi gli scorci più suggestivi sul paesaggio circostante che, contrariamente, è caratterizzato da forme più dolci e arrotondate.
Un altro modo per ammirare al meglio lo spettacolo delle Dolomiti Lucane è sull’omonima via ferrata. Il percorso attrezzato parte dall’area “Antro delle Streghe”, in un punto del fondovalle da cui si diramano i versanti rocciosi di Castelmezzano e Pietrapertosa. La via ferrata raggiunge i due centri abitati (circa tre ore di percorrenza ciascuno) offrendo viste spettacolari su tutta l’area protetta.
Vulture: l’eden di Federico II
Risalendo verso nord, il paesaggio cambia ancora man mano che ci si avvicina alle pendici del monte Vulture, un antico vulcano spento ricoperto da boschi di castagno.
I toni gialli della Murgia si intensificano e lasciano spazio alle fitte foreste cosparse qua e là di ruscelli, torrenti e laghetti.
Sono antiche terre vulcaniche in cui si incontrarono Dauni e Sanniti, Romani e Longobardi, Bizantini, Normanni e Svevi.
Fu proprio Federico II a scegliere quest’area come luogo in cui edificare grandi masserie e castelli, tra cui quello di Melfi, da lui ampliato e reso inespugnabile. In questo angolo di Basilicata le città fortificate si dividono il palco con le colline ricoperte da vigneti, ulivi e frutteti.
Nell’area del Vulture si susseguono una serie di piccole città d’arte come Venosa, Rapolla, Montemilone, Palazzo San Gervasio e Banzi, dove le vestigia dell’epoca federiciana si mescolano ai siti archeologici di epoca romana.
Il Vulture è anche famoso per i suoi vigneti: le fertili terre di origine vulcanica sono il luogo ideale per la coltura della vite, che qui trova la sua massima espressione con l’Aglianico del Vulture, una produzione vinicola DOCG già celebrata ai tempi del poeta Orazio.
Il modo migliore per degustare questa particolare qualità di rosso è direttamente nelle caratteristiche cantine scavate nel tufo, dove i vini vengono conservati in grandi botti di legno.
Il momento migliore per godersi il paesaggio del Vulture è l’autunno, quando i vigneti e i boschi pennellano con sfumature rosse, marroni e gialle la grande tela di vegetazione che ricopre questi luoghi.
Per chi vuole trascorrere piacevoli giornate immerso nella natura, nella zona del Vulture si trovano i laghi di Ripacandida, due specchi d’acqua di origine vulcanica situati proprio ai piedi della montagna.
Sul più piccolo dei due laghi, si specchia la bellissima abbazia di San Michele del XI secolo, che pare appesa sulla roccia.
A questo luogo sono legate storie di maghi e fattucchiere, folletti, spiriti e briganti che utilizzavano questi boschi impenetrabili come nascondiglio.
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