Fotoreportage: Raccontare con le immagini

18 marzo 2020 - 3:52

Ogni fotografo è un uomo (o donna, perché in questa epoca di “uguaglianza” coatta è un reato grave non livellare, omologandole e confondendole, sensibilità, capacità e competenze, mentre invece, da inguaribile anarchico, mi piace pensare che ognuno di noi sia un unicum, ineguagliabile, dotato di meravigliose, piccole o grandi, ma comunque irripetibili, differenze).

Ma non ogni uomo (o donna) è un fotografo! Ben lungi da essere una boutade, è il concetto fondamentale che differenzia chi vede e chi, invece, guarda.

Vedere è un’azione meccanica e automatica che compie ogni animale, e attiva l’occhio, strumento che nessuna scienza è ancora stata in grado di imitare nella sua perfetta complessità, e gli consente di percepire luci e ombre, colori e sfumature.

Vedere è un meccanismo per molti aspetti involontario, come il pulsare del cuore o l’espansione dei polmoni, che riprogrammiamo in continuazione, per tutta la vita, e ci serve per avere sempre, in tempo reale, la percezione precisa del nostro essere nello spazio.

Dei milioni di immagini che catturiamo con gli occhi, giorno per giorno, ne conserviamo nella memoria una parte minimale, perché vedere è un senso che serve istante per istante, e di cui ricordiamo solo pochi messaggi fondamentali, quelli che servono per ripetere quell’azione, quel percorso e poche altre informazioni. Uomini, donne, animali, in ogni istante della loro vita, a esclusione dei periodi di sonno, vedono.

Guardare, invece, ha nel vedere soltanto l’azione iniziale. Guardare significa mettere in funzione un complesso insieme di percezioni, che dall’immagine complessiva separano dettagli e particolari, li analizzano, li ricompongono.

Li fermano nella memoria. Li immagazzinano con l’obiettivo di ricostruire quella visione anche quando è svanita. Guardare ha, come finalità, il tentare di impossessarsi dell’essenza, dell’anima di ciò che si vede, fissandole nel ricordo, a volte anche al di là dell’apparente chiarezza dell’immagine.

Guardare significa indagare le sfumature, dar loro vita, e usare la luce e l’ombra, i contrasti e le assonanze, i colori o la loro mancanza, per creare una rappresentazione di “quella” realtà.

Guardare è un’azione volontaria, che compiono pittori, fotografi, artisti e spie. A noi interessa lo sguardo del fotografo. Non me ne vogliano i tanti utilizzatori di incredibili oggetti, dotati di autonomia propria, che scattano montagne di immagini… non basta possedere una fotocamera (o uno smartphone o qualsiasi altra diavoleria che oggi permette di catturare fotografie) per essere un fotografo.

Solo dopo infinite immagini non scattate, ma immagazzinate invece nella memoria, si può intuire di avere uno “sguardo fotografico”. Da quel momento in poi, il desiderio di imprigionare il tempo, quell’attimo unico e irripetibile, quell’inquadratura, quella luce, per sempre in uno scatto, diventerà una malattia da cui è molto difficile guarire. Ma ci accompagnerà, invece, stimolando le nostre sensibilità, le nostre prospettive, le nostre intuizioni, a conoscere un po’ più a fondo noi stessi.

I dieci comandamenti

Dopo trentanni di attività, in ogni angolo del pianeta, e centinaia di racconti fotografici pubblicati, ho messo a punto una mia “filosofia”, che insegno in corsi e workshop nell’ambito della Nikon School Travel di cui sono un docente master.

Non è certo possibile sintetizzare in poche pagine l’esperienza e i piccoli e grandi “segreti” imparati, però credo di aver individuato dei punti essenziali, facilmente comprensibili, che offrano degli spunti concreti a chiunque voglia avvicinarsi alla fotografia di reportage.

Imparare a guardare

Osservare, mettere in comunicazione occhi ed emozioni, percepire l’insieme di quello che vediamo e al tempo stesso dettagli e sfumature. Dare uno “spazio” e un senso alla nostra immagine prima di osservarla attraverso il mirino della fotocamera. Immagazzinare infinite “immagini tipo” nella memoria, saranno il nostro “database” di riferimento.

Il cuore dell’Antelope Canyon è costituito di anonima roccia grigia, ma nel breve attimo in cui il sole penetra attraverso la stretta fessura sommitale diventa questo… Guardare significa riuscire a immaginare, prevedere che una anonima roccia possa trasformarsi in un delirio di colori. E saper aspettare che accada!

Antelope Canyon – Nazione Navajo, Arizona, USA

Imparare a conoscere

Per trovare il filo conduttore di una storia è necessario conoscere l’essenzialità, “l’anima” e la parte più genuina di una realtà. Per “capire” cosa raccontare, è sicuramente necessaria una seppur minima “cultura” del territorio che si vuole scoprire, soprattutto relativa a storia, filosofia, spiritualità, usi e costumi. Il modo migliore per costruirsi questa “cultura” è leggere racconti, letteratura, diari di viaggio.

Donne Akah vanno al mercato – Stato di Shan, Myanmar

Imparare a previsualizzare

La “previsualizzazione” ipotizzata dal grande maestro Ansel Adams è la capacità di vedere le cose prima che accadano. Nulla di magico, se non la conoscenza e la capacità di “guardare” del fotografo. In questa foto, lo scatto, realizzato col cavalletto, è solo l’ultimo dettaglio di un’immagine studiata e preparata osservando e “prevedendo”, con uno studio analitico, il momento in cui sarebbe accaduta.

Monaci in processione –  Mandalay, Myanmar

Imparare a costruire il palcoscenico

Un’immagine, per me, non deve mai essere frutto del caso o di un attimo fortuito, bensì la formalizzazione di un momento che accade dentro un palcoscenico precostituito.

Come in questa piazza di Sana’a, che mi ha colpito per i suoi contrasti e dove, dopo aver piazzato la fotocamera sul cavalletto, ho atteso l’azione del soggetto che, a sua insaputa, ho scelto per rappresentarla.

Mezzogiorno a Sana’a – Yemen

Imparare a diventare invisibili

Il fotografo deve essere regista e mai “attore”; deve essere in ombra quando il protagonista è in piena luce, e deve praticare l’arte dell’invisibilità.

Come in questa immagine in cui, pur essendo a pochi centimetri dai soggetti inquadrati, sono da loro totalmente ignorato mentre svolgono le loro azioni quotidiane. Frutto di esperienza e molta pazienza…

Capanna Surma – Sud Etiopia

Imparare a rispettare

Per “catturare” l’essenza di un momento, bisogna conquistare e non “rubare” la fiducia dei nostri protagonisti. Con molta pazienza e assoluto rispetto, come nel caso dei due tuareg che ho raccontato nel momento della preghiera.

Aspettando la sera in un punto imprecisato del Sahara – Libia

 Imparare a immaginare

L’occhio del fotografo è sempre in azione, anche finché svolge altre attività. Sto guidando verso sud sulla A14, ma l’occhio percepisce le nuvole che, spinte dal vento, si rincorrono creando sul terreno particolari giochi di luce e ombra. Basta aspettare che una nuvola avvolga la collina centrale, lasciando in luce gli altri piani, per ottenere questa suggestiva inquadratura della campagna marchigiana.

Campagna intorno a San Severino Marche

Imparare a essere pazienti

Il Cerro Torre, forse la montagna più affascinante del mondo, non si lascia ammirare spesso, sempre avvolta com’è da una coltre impenetrabile di nuvole e tempesta. Per “sorprenderlo” bisogna avere molta pazienza, mettere in conto lunghe attese, ma essere sempre pronti a “catturarlo” nell’attimo in cui si svela… mettendo in conto, però, che può anche non accadere!

L’urlo di Pietra, Patagonia – Argentina

Imparare a capire il momento

La vita, e la realtà, sono fatte di attimi. Conoscere, previsualizzare, rispettare, e aspettare l’attimo giusto è l’essenza di un’immagine che, in un singolo frammento, può riuscire a raccontare un’intera storia meglio di mille parole.

Davanti alla grandiosità del Mondo, non serve un qualsiasi dio per abbandonare una preghiera nel cielo… – Verso il K2, Circo Concordia – Pakistan

Imparare a non rinunciare

Per un’immagine, il fotografo è capace di trovare energie anche quando è sfinito… Da due giorni vaghiamo sulle pareti di ghiaccio di questa montagna; adesso bisogna solo scendere, prima della notte.

È l’impresa più faticosa: durante la scalata l’adrenalina ti sostiene, ma adesso tutta la fatica pesa come un macigno. Mi giro,  distratto, per vedere se va tutto bene, e vedo mio fratello illuminato da un’aura irreale. “Fermati”. Mi maledice.

“Torna indietro due metri” gli grido, mentre cerco nello zaino la mia Nikon. “Ma sei scemo? Andiamo giù”. “Aspetta un attimo…”. In quel momento ho capito che fotografare è una droga.

A 6.000 metri, dopo due giorni di fatica immane, le mani e i piedi massacrati, e addosso solo la voglia di una zuppa calda al campo base, la percezione di una linea di luce che disegna la neve riesce a far dimenticare ogni cosa e tutti i pensieri si concentrano solo sul desiderio di rubare quell’attimo al tempo.

Scendendo dal Chopicalqui, 6.354 metri – Cordillera Blanca, Perù

A scuola di fotoreporter

È possibile condividere l’esperienza di un professionista del racconto fotografico partecipando ai corsi e workshop che Michele Dalla Palma organizza periodicamente, e ai suoi viaggi-avventura, realizzati in collaborazione con la Nikon School Travel, focalizzati sul fotoreportage.

Gli aspiranti fotoreporter potranno imparare a costruire una storia per immagini “on field”, sul campo, dove accadono realmente le cose, utilizzando anche le migliori attrezzature – obiettivi e fotocamere – utilizzate dai professionisti, messe gratuitamente a disposizione da Nital.

Per informazioni: info@micheledallapalma.com

FOTOREPORTAGE: Esperienze, Trucchi e Segreti di un professionista del racconto fotografico
Edizioni Hoepli, Milano, 320 pagine, Euro 29

Un volume che ingloba trent’anni di esperienze “on the road”, tra Asia, Africa, Europa, Americhe, inseguendo una curiosità che ha “costretto” l’autore a un nomadismo intellettuale e fisico, con la smania di guardare il mondo, anzi infiniti diversi mondi, prima che cambino e, a volte, finiscano.

Curiosità che è diventata un mestiere, condiviso con le fedeli Nikon che sono sempre state pronte, in ogni situazione e clima, a congelare “quell’attimo” unico, irripetibile, che è il divenire realtà dei nostri pensieri, delle nostre immaginazioni, delle nostre fantasie.

Questo libro ben poco ha in comune coi manuali di fotografia pieni di numeri, nozioni accademiche, formule per realizzare la “foto perfetta”; indica, piuttosto, un approccio curioso alla realtà, fatto di attenzione per i dettagli e insegnando qualche trucco, frutto di esperienza e non di “letteratura”, in grado di far diventare quei dettagli uno specchio in cui osservare i nostri pensieri e svelare, a volte, “l’anima” di un’immagine. Perché la fotografia, quando priva di manipolazioni e travisamenti, è uno straordinario linguaggio universale.

Tra gli argomenti trattati troviamo: L’approccio con la realtà; Le basi etiche e filosofiche del fotoreportage; Come costruire una storia con le immagini; La “grammatica” del fotoreportage; Il racconto in uno scatto.

Non un libro di tecnica, quindi, ma di esperienze maturate sul campo, senza troppa teoria e con moltissimi esempi per capire come “far parlare” le immagini; utile a chiunque desideri imparare a guardare, con lo scopo di catturare, in un fotogramma, frammenti di realtà.

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