Storie di montagna: le Alpi, porta per l’Italia dei viaggiatori

Il Col di Tenda, il Moncenisio, il Piccolo e Gran San Bernardo, il Sempione, e tutti gli altri valichi alpini, erano un punto di passaggio obbligato per entrare in Italia e raggiungere la fertile pianura e le coste soleggiate.

19 marzo 2020 - 12:24

Dopo la furia distruttiva delle campagne napoleoniche, dal 1815 in poi riprendeva la consuetudine del “Grand Tour in Italia”, che durante il Settecento aveva rappresentato una delle tappe fondamentali per il bisogno della nobiltà europea di scoprire il mondo.

Ma era cambiata l’estrazione sociale di chi viaggiava; nel primo ventennio dell’Ottocento, infatti, a spostarsi non erano più solo i ceti ricchi, ma anche scrittori, artisti, ecclesiastici, scienziati e intere famiglie borghesi. Non subirono alcuna modifica le mete di destinazione; gli straneri prediligevano sempre Firenze, Roma, Napoli, Venezia e nelle calde estati le ville di Lucca, Siena e Perugia.

Per accedere alla tanto amata penisola italiana c’era però un problema non da poco, una sorta di oblazione che i turisti dell’epoca dovevano tributare alla natura: l’attraversamento della barriera alpina.

Mi son fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte sulle cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che s’immergono nel cielo e tutto biancheggia e si confonde; da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. (Ugo Foscolo)

Le Alpi ostacolo romantico

Nei primi decenni del diciannovesimo secolo le condizioni di viaggio erano migliorate: le carrozze avevano subito numerose modifiche ispirandosi alla famosa berlina di Napoleone con la quale il “piccolo corso” aveva attraversato mezza Europa.

Nonostante queste modifiche, le Alpi restavano un passaggio alquanto faticoso e, nella testa di chi doveva oltrepassarle, si materializzavano timori di ogni sorta. Come ricorda lo scrittore inglese John Evelyn le Alpi erano un ostacolo impenetrabile fatto di “strani e spaventosi dirupi, abitati di orsi, lupi e capretti selvatici”.

La nuova sensibilità romantica cambiò radicalmente la descrizione di questi giganti: il ricordo delle imprese eroiche di Annibale e Napoleone cancellavano ogni apprensione, la loro leggenda nutriva i turisti di nuove suggestioni, spaventati, ma nel contempo ammirati da tanta magnificenza.

Uno dei passi più frequentati era quello del Moncenisio. Una volta giunti ai piedi della montagna le carrozze dovevano essere smontate per poi essere rimontate una volta giunti sull’altro versante. I passeggeri non erano più costretti a percorrere i sentieri con le slitte, bensì, come ricorda lo storico britannico Edward Gibbon, venivano accompagnati su una lettiga: una sedia in vimini montata su delle stanghe in legno.

Ugo Foscolo, nel suo viaggio italiano, dimostrò poco entusiasmo per il passaggio del Col di Tenda che collegava Nizza a Torino.

Lo scenario da lui descritto era una sorta di “fine del mondo” fatto di sensazioni orride compreso un alloggio, precursore di un moderno rifugio, raccontato come un tugurio dove “postiglioni, portatori, milordi e maiali” dormivano insieme.

Il fascino magnetico delle Alpi è ben descritto da Mary Shelley che, nel suo Frankenstein, ci regala una racconto del Mer de Glace: uno spettacolo “d’una desolazione spaventosa” che, non appena le nuvole si aprirono sul Monte Bianco, trasformarono il paesaggio in qualcosa di sublime.

Per Charles Dikens, nel 1845, la traversata del Sempione fu una vera e propria avventura. Da una descrizione puntuale della topografia alpina si lasciò prendere dall’enfasi epica narrando di passaggi sotto i ghiacci, impetuose cascate e frane di granito.

Il passaggio delle Alpi, il cui fascino rendeva ancor più seducente l’arrivo in Italia, era già dal Settecento il luogo prediletto da coloro che studiavano la natura: scienziati di ogni branca trasformarono questo luogo inospitale in un immenso laboratorio a cielo aperto.

Il viaggio scientifico

Nell’Europa delle Accademie e dei periodici scientifici numerosi uomini di scienza si spinsero sulle montagne per studiare “dal vivo” le mutazioni geologiche del pianeta e osservare da vicino nuove specie floreali o animali alla ricerca di novità naturalistiche.

Il francese Brochant de Villers (1772 – 1840), membro dell’Académie des Sciences effettuò diversi viaggi in Tarantasia, in Valle d’Aosta e sul Monte Bianco per ricercare delle miniere di piombo; il tedesco Leopold Christian von Buch (1774 – 1853) analizzò le rocce delle alpi trentine e tirolesi con diverse escursioni in Val di Fassa e Val di Fiemme.

Tra tutti, però, spiccano i nomi di Déodat de Dolmieu (1750 – 1801) che per primo studiò il particolare tipo di roccia predominante nelle Dolomiti, che a lui devono il nome, e di Alexandre von Humboldt (1769 – 1859) che compì diversi viaggi “geologici” sulle Alpi svizzere, lombarde, tirolesi e nelle prealpi venete.

Il versante occidentale fu terreno di ricerca per il veneto Giuseppe Marzari Pencati (1779 – 1836) che esplorò, oltre il monte Baldo, anche le Alpi della Savoia, e per Ermenegildo Pini (1739 – 1825), un sacerdote che indagò la mineralogia delle alpi piemontesi e lombarde.

 

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