Un week-end con le STREGHE in Valle Argentina

19 marzo 2020 - 13:42

L’essenza montanara della Liguria, alle spalle della Riviera dei Fiori

Se non vi fosse mai capitato di attraversare l’Aurelia da Genova in direzione della Francia, cogliete l’occasione, almeno una volta, per farlo. Molto meglio dell’autostrada (non solo per i salassi che infligge l’A10), e ideale, se il tempo ve lo concede, per procedere lentamente con il finestrino abbassato, respirare il salmastro del mare e godersi il sole che qui, anche in inverno, splende come a primavera.

Allo stesso modo, durante i fine settimana è consigliabile allontanarsi dalla linea di costa e addentrarsi in una delle tante valli che incidono il variegato territorio ligure e in particolare quello imperiese. C’è solo l’imbarazzo della scelta tra le serpeggianti provinciali che si inerpicano fino alle Alpi Liguri.

La Valle Argentina esemplifica l’essenza di questa terra; il passaggio dall’arenile al rifugio montano è davvero breve, la salubre aria di montagna si miscela a quella ricca di iodio marino.

Le colline mostrano le fasce coltivate ad olivo fino a quote impensabili, i verdi pascoli, i boschi di castagno, il tortuoso percorso dei torrenti, completano questo quadro coloratissimo. Il paesaggio, qui, è il risultato di un’evoluzione morfologica ad opera della natura, ma anche del duro e tenace lavoro dell’uomo che ha piegato alle proprie esigenze, nel corso dei secoli, un territorio selvaggio e ostile.

In effetti, della valle primordiale oggigiorno non esiste più nulla.

L’uomo ha modificato l’acclività dei versanti, realizzando terrazzamenti di muretti a secco per renderli coltivabili, mettendo a dimora alberi di castagno e ulivi, trasformando le cime in pascoli per le greggi.

Nonostante l’ambiente sia stato modificato, anche in maniera radicale, dall’azione antropica, la natura continua a dominare ed a proliferare in Valle Argentina, a testimonianza di come l’uomo possa convivere con essa in modo equilibrato.

Nella relativa brevità di 40 chilometri, con la velocità di uno sguardo, si passa dalle celebrate località marine ai ripidi declivi delle Alpi Liguri con i 2200 metri del Monte Saccarello, la vetta più elevata di tutta la Liguria.

La roccia sedimentaria, che caratterizza gran parte del territorio, contribuisce anche a tipizzare le abitazioni perfettamente integrate nell’ambiente.

È questa una zona in cui la pietra riveste un ruolo fondamentale. Gli antichi borghi arroccati sulle ripide colline, i santuari, le pievi e i numerosi ponti, sembrano emergere dal cuore roccioso della Liguria di Ponente, creando un unicum di armoniose forme.

La pietra è essenza e sinonimo della valle, nel passato unico materiale utilizzato per realizzare murature, muraglioni, coperture, pavimenti, sedili, fioriere, macine da mulino, fontane, abbeveratoi, fino agli usi più impensabili e curiosi.

Pietra che, ovviamente, caratterizza anche i borghi ricchi di storia e cultura che animano e rendono affascinante il nostro itinerario che termina a Triora, dove si conservano i documenti relativi a uno dei più tristi episodi di “caccia alle streghe” del periodo della controriforma, ovvero il processo del 1587-89, intentato dalla Repubblica di Genova contro 13 malcapitati (12 donne e un uomo) che, dopo inenarrabili torture, finirono sul rogo.

Ancora oggi a Triora è possibile visitare la Cabotina o “Casa delle streghe”, luogo dove fu eseguita la macabra sentenza.

L’Itinerario turistico

→ Primo giorno

Arma di Taggia e le sue spiagge assolate sono il punto di partenza di questo itinerario alla scoperta dei tesori della Valle Argentina.

Lasciamo la costa e ci dirigiamo verso l’entroterra seguendo la Sp 548 fino a Taggia (3 km).

Da subito la valle sorprende per il verde intenso della vegetazione e per l’autentica atmosfera agreste che si respira via via che la strada inizia a salire.

In breve si arriva a Taggia, circondata da uliveti e da tracce di coltivazioni floricole: con ogni probabilità, grazie ai monaci benedettini dell’abbazia di Santa Maria del Canneto, Taggia diede i “natali” all’oliva taggiasca.

Saccheggiata ripetutamente dalle incursioni saracene, vennero fortunatamente risparmiate le opere d’arte e i palazzi; è così possibile, una volta varcata la Porta dell’Orso, ammirare l’imponente convento dei Padri Domenicani con la più ricca pinacoteca del Ponente ligure, la facciata barocca della chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, il palazzo Lercari, il santuario della Madonna Miracolosa, gli elaborati portali in pietra nera che traspaiano dai muri, addentrandosi nel centro storico.

Quest’ultimo a febbraio diventa teatro di un interessante manifestazione folcloristica: i tabiesi, rammentando un periodo storico macchiato dai saccheggi e dalle violenze dei saraceni, gareggiano per il centro storico con cavalli e asini, alla luce dei falò e delle cascate di scintille che fuoriescono dai furgari (lunghe canne di bambù stipate di polvere da sparo).

Passeggiando sotto la romantica porticata di Via Soleri, occorre ricordarsi che Taggia diede i natali a Giovanni Ruffini, autore del romanzo Dottor Antonio, l’opera che consacrò per sempre la Riviera dei Fiori come meta del turismo d’elite a livello europeo.

L’itinerario prosegue lungo la Sp 548, fino a Badalucco (11 km), antico borgo rurale del 1245 con chiese romane e seicentesche.

Altrettanto belle le sue frazioni: Ciabaudo, villaggio in posizione incantevole, fondato nel 1701 da una famiglia di Realdo; Argallo e Zerni, caratteristici borghi collinari ai piedi del Monte Pallaréa e circondati da estesi castagneti. Il tempo, poi, sembra essersi fermato tra le case in pietra e le stradine di Vignai.

A Badalucco anche il palato avrà di che appagarsi, grazie allo stoccafisso alla Badalucchese, piatto tipico che rappresenta occasione di festa, a settembre, con la “Sagra du stocafissu a baûcôgna”.

A Badalucco è famoso il fagiolo. Infatti, qui lo si coltiva grazie a terreni liberi, ben drenati, ricchi di acqua sorgiva calcarea e di sali minerali, che i contadini della valle hanno faticosamente terrazzato con muretti a secco, rendendoli adatti alla coltivazione di ortaggi dalle qualità superiori.

Queste sono le condizioni ideali per coltivare il famoso fagiolo bianco di Badalucco, presidio Slow Food: carnoso, morbido e delicato. I metodi di coltivazione sono ancora quelli di un tempo. A mano, con la zappa, si scavano i canali di irrigazione che permettono all’acqua dei ruscelli di scorrere nei solchi tra le piante, che vengono fertilizzate con concime organico.

Lasciandosi alle spalle Badaluco, si imbocca la strada che si stacca sulla destra, guadagnando quota fino al borgo di Montalto Ligure (13 km). Vale la pena fare una sosta nel suggestivo borgo per visitare la Chiesa Romanica di San Giorgio, una delle più antiche pievi paleocristiane della Liguria, scenograficamente immersa tra gli ulivi e la Parrocchiale di San Giovanni Battista.

Da Montalto Ligure, si risale la valle laterale della Carpasina, e in pochi minuti si giunge a Carpasio (19 km), borgo medioevale dei conti di Ventimiglia.

Interessante, oltre la bellezza paesaggistica e panoramica del paese, il Museo della Resistenza, realizzato all’interno di un’antica casa rurale, custodisce le testimonianze della Resistenza in questi luoghi, tra cui la documentazione della sanguinosa battaglia del Monte Grande.

Proseguendo verso Colla d’Oggia s’incontra il borgo di San Bernardo di Conio e, successivamente, il Passo di Teglia, fantastico punto panoramico a quasi 1400 metri di quota, dove bellissimi boschi si pongono alla soglia del piano montano. Con un po’ di prudenza, visto che la strada è stretta e a picco sulla valle si oltrepassa il villaggio di Drego fino a giungere ad Andagna (43 km), caratteristica frazione di Molini di Triora, con la sua spettacolare Rocca.

→ Secondo giorno

A questo punto è doveroso compiere una deviazione e raggiungere prima Molini di Triora (47,5 km), soprannominata la capitale dei mulini ad acqua. Molini, per la favorevole posizione sita alla confluenza dei torrenti Argentina e Capriolo, non solo era importante centro agricolo, ma con i suoi 23 mulini svolgeva un ruolo assolutamente insostituibile per la trasformazione del grano tenero, del grano saraceno e delle castagne, in preziosissima farina. Da non perdere a settembre la sagra della lumaca, piccolo gasteropode al quale è riconducibile anche il nome di un liquore ottenuto da erbe naturali e vera specialità del luogo: il “Latte di Lumaca”.

Posto a 42 km da Imperia e a 24 da Arma di Taggia, il borgo di Molini è dominato dal più grande centro di Triora, che lo sovrasta di circa 300 metri e che si presenta ancora con un interessante tessuto urbano medioevale (castello, Collegiata, oratorio di San Giovanni, chiesa di San Dalmazio, chiesa rurale di San Bernardino e chiesa suburbana di Santa Catrina), malgrado le distruzioni subite durante l’ultimo conflitto mondiale.

Il gioiello medioevale di Triora (54 km) è un luogo carico di mistero, noto per le condanne di stregoneria che coinvolsero, nel 1558, un gruppo di donne innocenti. Uno dei motivi d’interesse a Triora è il Museo Etnografico e della Stregoneria  che rievoca i tragici eventi del 1588.

Ma l’affascinante borgo di Triora è noto non solo per le streghe, ma anche per il celebre pane, di antiche origini.

L’importanza di questo prodotto tipico travalica il significato gastronomico in favore di un più profondo concetto culturale. Nella tradizione locale era il pane di pastori e contadini, i quali lo cuocevano una volta alla settimana, dal momento che si conservava per diversi giorni.

Gli ingredienti sono i più semplici e genuini:

  • Farina (di tipo 1).
  • Acqua.
  • Sale.
  • Lievito.

Dopo aver a lungo impastato, si fa lievitare su un velo di crusca, su tavole di legno e si inforna a una temperatura di 200° circa per 70-80 minuti. La forma è tonda e leggermente irregolare, il gusto deciso e rustico è merito sia della farina di tipo 1, sia dell’ottima acqua della zona.

Usciti da Triora, in direzione di Realdo, si lascia il territorio più propriamente ligure, per portarsi verso il “paese brigasco”, ovvero verso una regione complessa, situata alla testata di tre lunghe valli, Roia, Argentina e Tanaro, che presentano caratteristiche climatiche assai dissimili proprio per la loro diversa disposizione orografica.

Quella più mite per l’apporto del caldo e dell’umidità dello scirocco, è la valle Argentina, ovvero quella dei villaggi di Realdo e Verdeggia.

Nel primo campeggia una grande carta geografica con la scritta “Reaud, ben arivai en tera brigasca”, espressione chiaramente appartenente alla famiglia delle lingue d’oc, cui fa riferimento la “lingua brigasca”, che va distinta dal provenzale, dal nizzardo, dal valdese e dai dialetti delle valli cuneesi.

Il borgo, che si raggiunge superando Creppo e l’“Arma Pisciusa” (una caratteristica cavità rocciosa considerata il limite naturale che divide etnicamente il territorio ligure da quello brigasco), è situato in posizione spettacolare, sopra una falesia di trecento metri e domina l’alta valle Argentina.

Verdegia (Verdeggia), sito a più di 1000 metri d’altitudine, è uno dei villaggi alpini più alti della Liguria e si presenta come il risultato di una ricostruzione portata a termine dopo una spaventosa valanga che aveva distrutto completamente il piccolo borgo.

Verdeggia è nota per le cave di ardesia situate vicine al paese e per il “sugeli au brous”, un piatto tipico della cucina brigasca che consiste in gnocchi di farina di grano cotti insieme a patate crude e conditi con olio e brus, la ricotta fermentata locale fatta con latte di pecora di una razza particolare, che si chiama, neanche a dirlo, “brigasca”.

Le cave d’ardesia bucano numerose i versanti della Valle Argentina. Lunghe gallerie scavate attraversano la roccia per estrarre la preziosa pietra nera, già conosciuta e apprezzata nel Medioevo.

Oggi queste stesse cave, che in passato hanno creato problemi paesaggistici per le vaste discariche di materiale di scarto, costituiscono un importante presidio paleoindustriale.

Per capire quanto l’ardesia abbia contato nella storia dei paesi della valle, basta una semplice visit a Badalucco, Taggia o Triora.

Scritta nei centri storici, si svela la storia del secolare utilizzo della pietra nera: dai contadini che ne ricavano scandole per i tetti delle loro case o pietre per erigere muretti a secco, ai signori rinascimentali che la trasformano in sculture ornamentali per impreziosire i portali e le finestre dei loro palazzi patrizi.

Per il tragitto di ritorno bisogna tornare a Molini di Triora, rientrare sulla Sp 548 e ridiscendere la valle sul versante idrografico destro dell’Argentina, lungo la vecchia strada di fondovalle che costeggia il torrente, viaggiando immersi in un paesaggio naturale e circondati da fitti boschi che si alternano a prati.

Testi di Enrico Bottino e Davide Battaglia

 

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