A cento anni dalla sua creazione, il National Park Service – l’agenzia federale che gestisce i parchi nazionali degli Stati Uniti d’America – apre le sue porte agli investitori privati.
La crisi economica si è da tempo abbattuta anche sui preziosi patrimoni naturali d’oltreoceano, obbligando l’NPS a ricercare nuove forme di finanziamento tra i privati. Fino ad oggi i contributi di grandi società e multinazionali avevano avuto un perso specifico ridotto nel bilancio complessivo, limitandosi a sfiorare il 9% del totale.
Fin dalla sua creazione, l’NPS aveva cercato di limitare il più possibile la commercializzazione delle aree protette statunitensi, ma a fronte di una drastica riduzione di fondi necessari alla copertura delle spese di amministrazione e manutenzione delle oltre 400 aree protette, è stata scelta la strada del privato. L’agenzia nazionale si trova infatti a fronteggiare un deficit da 11 miliardi di dollari, precedentemente coperti dai fondi del governo federale.
Cosa succederà, in parole povere: il parco più antico del mondo non verrà rinominato in “Coca Cola Yellowstone National Park” e le rocce del Bryce Canyon non verranno ridipinte con i colori di Starbucks.
Per la prima volta però, i loghi delle imprese sponsorizzatrici saranno visibili sulle pareti dei centri di visita, sulle guide, sui pulmini e sulle autovetture del parco, così come sulle staccionate, sui gadget e sul materiale informativo distribuito. Sarà anche concessa la possibilità di costruire e mantenere edifici di proprietà all’interno delle aree protette.
Sono molte le proteste in risposta a questo provvedimento, la maggior parte delle quali insiste sul rigetto dell’idea di una commercializzazione dei parchi per preservarne il mantenimento.
Sul web è stata anche lanciata una petizione di protesta per contrastare questo provvedimento (consultabile cliccando su questo link).
Foto di Michele Dalla Palma. In apertura, il Parco di Yellowstone. Foto di Alexander Kirchmair.